“Un album non da primo ascolto, fatto a strati: anche io mentre ci lavoravo mi rendevo conto che cambiava la percezione che avevo sulle canzoni in base al tempo che ci dedicavo”. Gnut
‘Nun te ne fa’, il quarto e ultimo disco del cantautore, musicista e produttore Claudio Domestico, in arte Gnut, venuto alla luce dopo una gestazione lunga oltre 7 anni, recupera una dimensione temporale che valorizza il senso di una qualità creativa non imposta dai canoni attuali della società. Un’opera corale, nata dalla contaminazione di più talenti: oltre a Gnut, hanno contribuito alla sua realizzazione il poeta Alessio Sollo (che dell’album ha scritto 8 testi su 10) e il musicista e produttore Piers Faccini (che ha accolto Gnut nella sua etichetta Beating Drum).
‘Nun te ne fa’ si carica di radici partenopee e vibra di suoni internazionali: il risultato è attuale, romantico e sincero. “Sono tempi – racconta Gnut – in cui è importante ritornare a emozionarci, condividere ciò che autenticamente sentiamo”.
‘Nun te ne fa ’è il titolo del tuo ultimo album e un messaggio per chi ti ascolta: che cosa intendi con questa frase?
‘Nun te ne fa’ è un modo di dire napoletano, una traduzione a senso in italiano è ‘non dare troppo peso ai problemi, non stare a pensarci troppo’. È il titolo anche di una canzone dell’album che amo in maniera particolare (qui le date del tour ). Con Alessio Sollo abbiamo scritto insieme la seconda strofa, perché la poesia che avevamo musicato inizialmente finiva al primo ritornello. Ci ha emozionato la soluzione che abbiamo trovato insieme. Con Alessio abbiamo trascorso il pomeriggio a piangere ascoltando questo pezzo.
Sono connessioni che capitano raramente nella vita, sono legato a quel momento e a questa canzone, che mi emoziona ogni volta suonare. Nun te ne fa è anche un piccolo omaggio nascosto ai Nirvana, perché sarebbe una traduzione a senso di Never Mind. Peraltro, il suono di questa frase mi piace molto, essendo un disco che esce pure in Francia mi piaceva immaginare come i francesi potessero pronunciare Nun te ne fa.
Cantautore, chitarrista, produttore e compositore di colonne sonore. La scrittura e la musica come espressione di se stessi. Che cosa raccontano di te queste due arti?
Da quando ho iniziato a suonare la chitarra a 14 anni e con i primi accordi ho scritto la prima canzone mi si è aperto un mondo, si trattava di un linguaggio che non conoscevo prima, grazie al quale potevo esprimere lati del mio carattere che altrimenti sarebbero rimasti nascosti. Ho scoperto questa attitudine che ho alimentato e che mi ha accompagnato in tutte le fasi della mia vita.
Quando mi chiedono che genere suono, rispondo: ‘autobiografico’, la maggior parte delle canzoni che ho scritto racconta in maniera più sincera possibile le fasi della mia vita.
La scrittura di canzoni e di musica mi ha donato una forma espressiva, che con gli anni è diventata il mio mestiere. È bello condividere momenti con chi mi viene ad ascoltare dal vivo, attraverso l’arte le persone si incontrano. Capita anche a me da ascoltatore: quando una canzone mi emoziona, mi sento meno solo, perché percepisco che un artista è riuscito a cogliere qualcosa che ho dentro. Quando capita con le mie canzoni, si crea sintonia con chi mi ascolta, sono sentimenti così intimi e sinceri che quando qualcuno si riconosce mi dà sollievo.
Da dove nasce il bisogno di comunicarti?
È un istinto, un’urgenza che in alcuni momenti ti assale, c’ è qualcosa che sento in maniera fortissima e devo cercare di esprimere in qualche modo: la chitarra, la musica e le note mi danno una mano, da qui parte una comunicazione, all’inizio principalmente con me stesso e dopo da condividere con gli altri.
Qual è l’urgenza di questi tempi?
Stiamo vivendo un periodo in cui bisognerebbe recuperare i sentimenti.
È importante ritornare a emozionarci, offrire il nostro lato più romantico.
È un periodo di distanze anche senza il covid, internet sembra aver accorciato le distanze, così i social, in realtà ci siamo allontanati come essere umani, perché i rapporti sono diventati più freddi, futili, superficiali. Secondo me è importante raccontare le proprie fragilità, mettersi a nudo e confrontarsi in maniera sincera con gli altri.
Che cosa è necessario veramente in questo momento alle persone secondo te?
Il problema principale di oggi è che mettiamo in vetrina il nostro alter ego, ognuno condivide momenti di apparente felicità, aumentando il malessere di chi magari non sta vivendo la stessa gioia. Magari c’è chi si trova solo in casa e, sbirciando sui social, vede tutti bellissimi, felici, contenti e si sente ancora più solo. Il giorno dopo questo qualcuno va al ristorante e alimenta egli stesso questo circolo vizioso, mostrandosi a sua volta felice. Tutto questo porta insoddisfazione. Bisogna ricominciare a condividere le proprie fragilità, che ci accomunano agli altri e ci fanno sentire meno soli.
Quanto ti rappresentano questi tempi?
Poco. Ho creato il mio piccolo mondo con la mia famiglia e la mia musica, una bolla nella quale coltivare la mia serenità. Fortunatamente condivido questo approccio e questa esperienza quando suono e il pubblico mi ascolta. È un momento storicamente complicato, ho iniziato a fare questo mestiere negli anni ‘90, a quei tempi era più difficile incontrarsi con gli altri ma anche più affascinante, si dava a ogni momento un valore più alto.
Una comunicazione veloce con i social a fronte di un tempo di realizzazione per l’ultimo album di 7 anni. Che cosa rappresenta la dimensione temporale in quello che fai?
Per fare le cose per bene c’è bisogno del tempo giusto. In questi 7 anni non ho realizzato solo questo album, ho prodotto altri progetti paralleli, che mi hanno di fatto consentito di lavorare e suonare in giro. Per queste canzoni e il disco avevo bisogno del tempo che serviva.
Contro la velocità dei tempi oggi ti consigliano di lavorare non più al formato album, ma a dei singoli, di uscire con una canzone alla volta, di scrivere testi che abbiano il ritornello che parta entro 30 secondi dall’inizio, perché altrimenti l’attenzione di chi sta ascoltando può calare. Ho sempre pensato che sia un limite enorme alla creatività e ho lavorato in maniera contraria.
Ho voluto fare un album che necessitasse del tempo giusto, sia per la scrittura che per l’ascolto.
Nel 2019 ho realizzato L’orso ‘nnammurat con il poeta punk con il quale collaboro, Alessio Sollo. Con i testi volevamo realizzare un libro – disco di poesie e ci avevano consigliato di lavorare una canzone alla volta. Abbiamo optato per un’opera di 66 poesie e 14 canzoni, che invita chi vi si vuole approcciare a dedicarsi qualche ora per entrarci. Secondo me per allontanarsi dalla velocità e dalla futilità c’è bisogno di contenuti che abbiano bisogno del tempo giusto per esserci percepiti, così come per essere lavorati. Da qui i 7 anni, quasi 8 per realizzare l’album.
Piglt nu poc ‘e ben, prenditi un poco di bene… che cosa è ‘nu poc pe ben’ per te?
La canzone (nata nel 2018 per un esperimento sociale di Fanpage.it dedicata alle prostitute ndr) ha l’intento di far distrarre rispetto ai problemi che ciascuno di noi ha. Il testo parte dalla riflessione che a volte, un po’ come Nun te ne fa che è arrivata dopo, per affrontare i momenti difficili un buon metodo è staccare.
Non è semplicissimo, per me i momenti in cui riesco a non pensare coincidono con quando suono o leggo un buon libro.
Nun te ne fa nasce dalla collaborazione con Alessio Sollo e Piers Faccini. Quanto conta il lavoro in squadra?
È fondamentale, perché ti fa raggiungere risultati che ti appartengono e che allo stesso tempo vengono potenziati dall’energia delle persone con le quali collabori. Soprattutto quando si ha la fortuna di lavorare con due talenti come Alessio e Piers si vive un’esperienza formativa, che fa stare veramente bene. Nutro grande stima per Alessio, è uno dei migliori autori di poesie in napoletano, i suoi versi mi emozionano e non sento alcun distacco quando canto un testo scritto da lui o da me. Abbiamo una sensibilità comune molto vicina, quello che viene condiviso si moltiplica.
Piers è un musicista eccezionale, ha dato un suono all’album al quale miravo da tanti anni.
Mi piaceva l’idea di fondere le mie radici napoletane con le mie passioni di ascoltatore di folk inglese, folk alternativo americano, blues del Delta del Mississippi. Piers ha contaminato le produzioni con suoni che arrivavano da diversi punti del mondo e ha dato a questo disco un’impronta internazionale, che da solo non sarei riuscito a ottenere.
Lavorare in squadra significa crescere, imparare, condividere, affidare le tue creazioni a qualcuno che le fa diventare qualcosa di ancora più grande. È bellissimo.
Le tue influenze musicali partono dal folk inglese di Nick Drake e John Martin, passando per la canzone napoletana, il Blues e la musica africana del Mali. Che cosa rappresenta la diversità per te?
È un regalo, un dono, qualcosa di prezioso da andare a prendere. Ascoltando i concerti di musica africana mi sono appassionato alla kora, uno strumento fatto con una zucca che ha un suono molto vicino all’arpa. Ci sono musicisti del Mali che suonano la kora in maniera eccezionale. Mi sono reso conto di quanto siano importanti le radici in un musicista. Il repertorio si tramanda seguendo una tradizione orale da 700/800 anni, un percorso che è portato avanti di padre in figlio. Possono farlo solo i malesi. Non avrebbe senso ascoltare un norvegese che suona la kora.
Ascoltando questi musicisti mi sono reso conto che dopo il periodo adolescenziale in cui mi affascinava tutto quello che veniva da lontano rispetto alla mia terra, potevo fare pace con le mie radici. Ho iniziato a studiare la canzone e la musica popolare napoletana, tutto si è fuso con quello che ero e che sento, con ciò che mi piace, con i miei antenati, con la terra e le radici. Questo disco richiama un lavoro di ricerca in cui mi impegno da anni, è la somma di quello che sono, ma il totale è anche di più: è il frutto di centinaia di anni di tradizione musicale.
Poesia e musica, la creazione è un processo che attraversa varie fasi. Qual è il momento in cui senti di aver comunicato con l’altro?
Parto da quello che mi genera emozione e arrivo alla fase in cui sono contento di condividere quello che sento: se un qualcosa mi ha emozionato tanto sono curioso di proporlo per vedere che effetto fa sugli altri. Incomincio da me stesso e da quello che voglio esprimere, dopo la comunicazione si allarga con la voglia di condividere. Questo per me è un modo sincero di comporre e creare, si arriva a una sorta di selezione naturale con il pubblico. Non mi interessa arrivare alle masse o fare musica che piaccia a tutti. Una canzone che piace a troppe persone inizia a preoccuparmi. Mi fa stare bene riconoscere le persone affini a me e che hanno una visione della vita simile alla mia.
Come attraversi i momenti di ‘vuoto’ creativo?
Qualche tempo fa con un po’d’ansia, avevo paura di perdere l’ispirazione per sempre, di non afferrare più la magia. In questi anni ho accumulato un po’di materiale, facendo anche produzioni di colonne sonore e laboratori di songwriting, vivo i momenti di vuoto abbastanza serenamente, dedicandomi alla famiglia, ai progetti paralleli che ho, alla musica, che non è solo composizione. C’è un aspetto creativo nel lavoro in studio di registrazione, negli arrangiamenti, nella riscrittura, nel ragionare su quello che si può migliorare. Fare musica è un lavoro artigianale dove ci sono momenti in cui si accende il fuoco, e allora mi metto a creare, e periodi molto lunghi in cui questo qualcosa si evolve, ci lavoro, mi metto nel mio studietto e faccio crescere le mie piantine come in una sorta di piccolo orto.
Da che cosa trai nutrimento?
Dalla vita vissuta, da quello che mi capita tutti i giorni, dalle emozioni che sento. Da altre forme d’arte, da canzoni di artisti che amo, da film, libri, tutto ciò che mi muove da un punto di vista emotivo. Questo risveglia in me la voglia di creare e sviluppare idee.
Pensi di contribuire a un mondo più bello con quello che fai?
Non so quanto possa contribuire a migliorare il mondo, sicuramente rendo più bello il mio mondo, la bolla di cui parlavo prima. So che le canzoni hanno un peso importante nella vita delle persone, alcune fanno prendere scelte importanti, accompagnano in fasi del percorso fondamentali, a prescindere dalla qualità che hanno. La musica ha un valore enorme, sono felice di fare questo lavoro, che in realtà non crea danni e non nuoce gravemente alla salute.
Che cosa è il Quoziente Humano per te?
Quel lato legato alle emozioni, alle nostre fragilità, ai nostri punti deboli. Il ‘Quoziente Humano’ ci rende umani e non supereroi. È quello che ci fa sentire vivi.
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Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.