Valentina Pescetto sorridente fotografata nella platea del suo teatro factory32
Valentina Pescetto

Ama il teatro e il teatro ti amerà

Un “appassionato spazio di cultura metropolitano”, un luogo di aggregazione diventato punto di riferimento per una zona, una fabbrica teatrale e soprattutto un luogo che “che pone l’attore al centro, non solo del proprio nome, ma di tutta la propria realtà”.

È fACTORy32, in via Watt 32 a Milano, quartiere ex industriale, oggi votato alla comunicazione, all’arte, allo sport: con tre storiche società, Canottieri Milano, Olona e San Cristoforo, realtà della comunicazione come la holding pubblicitaria WPP e la storica periferia della Barona, con il suo Barrio’s, tra arte e sociale.

Chi ha fatto nascere fACTORy nel 2019, trasformando un magazzino di tappeti in un teatro con oltre 80 posti a sedere, oltre che scuola di recitazione e luogo per eventi, è Valentina Pescetto. La incontriamo nel foyer della sua creatura, con i velluti rossi, la tappezzeria che richiama teatri di altri tempi, un luogo accogliente e caldo: come il sorriso aperto della sua fondatrice.

Valentina, nel tuo discorso all’inizio di ogni spettacolo inviti le persone a inseguire il proprio desiderio, il proprio sogno. Com’è nato il tuo e come sei arrivata fin qua?

Ho sempre avuto una vocazione artistica, ho studiato danza in Accademia a Genova, dove sono nata, e, poi, sono venuta a Milano e ho frequentato la Pier Lombardo. Allo stesso modo, da sempre, ho sentito l’esigenza di unire le persone: ricordo che quando ero piccola e andavo a pranzo da una mia prozia, se mi chiedeva cosa volessi fare da grande rispondevo ‘creare uno spazio tutto mio’. E quando ho conosciuto il teatro ho capito che quella era la mia strada. Il teatro mi ha fatto capire cosa volessi dalla vita; nella danza avevo il corpo, la sensibilità, ma mi mancava qualcosa, nel teatro riesco a riassumere tutto.

La grande passione mi è stata passata dal mio insegnante Michael Rogers, che è acting coach. Qando studiavo con lui non si facevano la parte di voce o di training dell’attore più fisico, per questo ho voluto creare un luogo che potesse dare agli attori tutto quello che serviva e farlo attraverso grandi professionisti: come Pietro de Pascalis, fondatore di Grock, per il corpo e Pachi Scognamiglio, bravissimo vocal-coach, che prepara anche i cantanti di Sanremo, per la voce.

fACTORy, è il mio sogno di bambina, influenzato dal mio percorso artistico. Vederlo realizzato è molto bello, per questo incito tutti a perseguire i propri sogni: la realizzazione personale ti dà tanto (si commuove “credo che succederà sempre, ogni volta che ne parlo”, mi dice), anche se chiede tanto sacrificio e determinazione.

Quali difficoltà hai affrontato e a quali risorse a quali risorse hai fatto appello?

La pandemia è stata sicuramente un primo scoglio enorme, anche perché avevo aperto da un anno… è stata una botta forte che non dimenticherò. Però la determinazione, la forte esigenza e la voglia che ho di portare il teatro avanti nonostante tutto hanno prevalso, nonostante la parte economica. E in quel momento, con una sede chiusa, tutti ci domandavamo se la gente sarebbe tornata a sedersi su quelle poltrone.
Quando poi, nel periodo di apertura, siamo riusciti a fare una rassegna estiva all’aperto che ha riscosso un meraviglioso successo ho avuto la testimonianza che il teatro non morirà mai. Dal periodo covid vengono i periodi (momenti?) più difficili, ma anche una rinascita e collaborazioni meravigliose che continuano ancora adesso.

Altra difficoltà è la parte burocratica, che non sopporto, e l’instabilità di uno staff in continua evoluzione. Siamo una piccola realtà, tutto quello che entra serve per farla stare in piedi e non è semplice trovare persone che rimangano. In passato ho avuto diverse persone in stage, di tre mesi in tre mesi e appena iniziavano a essere formate dovevano andarsene. Quest’anno, il primo e tocchiamo ferro, c’è uno staff solido e riesco a vivere Factory in maniera più condivisa: se prima mi sentivo sola, ora ho un supporto stabile, collaboratori che ci sono dall’inizio alla fine della stagione e fa una differenza enorme.
fACTORy per me è un figlio che cresce e ha sempre più bisogno più risorse anche umane.

Come sei arrivata in via Watt?

Per caso. Cercavo come una matta lo spazio giusto e poi l’ho trovato ‘per strada’, ho visto un annuncio di un’agenzia che lavora qui – zona che volevo perché è industriale ma anche artistica – e appena sono venuta a visitare questo luogo, che era un magazzino di tappeti, ho capito che era lui. Da lì abbiamo lavorato per circa sei mesi per trasformarlo in quello che è oggi.

C’è un rapporto col territorio?

Si è creato con il tempo e lo ritengo qualcosa di molto importante. All’inizio quando ho aperto non immaginavo quanto e anche se me ne dovevo stare sempre lì (ndica il tavolo all’ingresso del teatro, ndr), i rapporti si sono creati spontaneamente. In primo luogo con il Municipio 6 di zona che ci sostiene dal 2019 con un patrocinio non oneroso ma con il quale ci offre logo e visibilità, ci ha dimostrato fiducia sin da subito. E poi con le realtà vicine: prima c’era una scuola di danza, Move on, che purtroppo non è più qui, c’è Moyza, una casa discografica molto grande, e abbiamo creato convenzioni e stretto rapporti importantissimi con realtà commerciali e aziendali della zona.

L’unione che fa la forza

Sono in rapporto stupendo anche con i teatri di zona, con Alta luce e Linguaggi creativi. Ci si supporta perché credo che l’aiuto fra di noi sia fondamentale, non c’è competizione, siamo realtà diverse ognuna con la propria identità con la propria storia. Loro hanno molti più anni di vita, ma, per fare un esempio, quando Linguaggi creativi ha avuto bisogno di una sede, ho dato loro fACTORy con grande piacere gratuitamente per supportarli. Dal canto loro mi hanno consigliato una persona che ora mi aiuta nella amministrazione, per me un aiuto veramente importante.
Con Alta luce costruiamo insieme la stagione: cercano di non occupare le mie date e io le loro, in modo da non farci concorrenza. C’è una vera volontà di collaborare con la zona, con gli spazi e questa secondo me è una forza.

Può essere anche un simbolo dell’importanza di creare una rete, socialità e cultura oggi?

Sì, assolutamente, anche se non sapevo come sarebbe andata, l’ho fatto con questa esigenza. Pensa che anche nel contratto di affitto, sei+sei anni, ho chiesto se potevo recedere dopo tre anni perché non potevo sapere se la gente avrebbe recepito la passione che sostiene questo progetto e, invece, il pubblico l’ha sentita subito, ha notato la cura del dettaglio che c’è in ogni angolo del teatro. Sento che fACTORy è uno dei tanti piccoli punti di riferimento di Milano e della zona ed è bello, tanti sentono una casa qui ed è quello che volevo creare.

Cosa può essere il teatro per le persone che vengono in questo spazio?

Uno strumento importante. A scuola di teatro da noi vengono bambini di 5 anni e mezzo, fino agli adulti di 75 ed è meraviglioso. Credo che per i bambini e per i ragazzi sia uno strumento per togliere la timidezza, per riuscire ad affrontare il mondo con occhi diversi, per prendere consapevolezza di se stessi e degli altri. È un mondo straordinario. Per le persone più mature è anche un confronto con l’altro, un non sentirsi soli. Rappresenta per ognuno qualcosa di diverso e come dicevo spero che per tutti sia casa. 

Ossigeno per l’anima

Quando abbiamo dovuto chiudere avevo appeso una lavagna qua fuori con la domanda ‘che cosa ti manca del teatro?’. Ce l’ho ancora e quello che si legge è bellissimo, condivido qualche frase: “Il teatro per me è l’attimo in cui le parole i respiri i gesti dell’attore che si fondono con il respiro e l’emozione dei presenti in sala Creano ogni volta una magia irripetibile”; “Mi manca stare così bene”; “Del teatro mi manca il teatro”; “Il teatro è salvezza, un sogno a occhi aperti, ossigeno per l’anima”; “Mi mancano le assi l’odore l’essenza il pubblico mi manca sentirlo mi manca esserlo. Di Factory la capacità bella di amplificare tutto assi odore essenza pubblico e di farlo di farlo sentire a casa”.

Torniamo alla stagione teatrale. Ogni anno scegli un titolo.

Sì, quest’anno è stato Now, perché la stagione è molto contemporanea, rispecchia l’oggi in molti titoli. Penso ad esempio a ‘Slegate, il podcast danzato’, il primo in Italia, e penso a ‘Lettera di una sconosciuta’, testo di Zweig datato, ma con un adattamento teatrale di Chiara Arrigoni, una produzione di Factory, che lo ha reso contemporaneo. O, ancora, a ‘Casa di bambola parte 2’ che non è Ibsen, ma il ritorno di Nora in una chiave molto attuale.
Per il nostro quinto anno di vita la parola era stata ‘Together’: insieme al pubblico, perché se siamo arrivati a 5 anni dopo tutto quello che è successo è grazie a chi ci ha scelto.

Valentina Pescetto
Scegli la parola in base agli spettacoli?

In realtà sono gli spettacoli che influenzano le parole. Stanno già arrivando tantissime candidature per la prossima stagione, ogni anno sempre di più. Le archiviamo e poi le guardo tutte insieme; la prima schermatura è la qualità artistica degli attori che si propongono e dello spettacolo. Tengo anche ad avere dei titoli abbastanza forti e almeno un autore contemporaneo. Quella che proponiamo è prosa contemporanea, alternando drammi e commedie. E poi dal 2022, da quando abbiamo riaperto, tengo a che ci sia una produzione di fACTORy ogni anno. Cerco anche di lasciare, accanto ai grandi professionisti, uno spazio ai giovani, in questa stagione con ‘Risvegli’ di Oliver Sacks.

Come definiresti le parole bellezza e creatività?

Creatività è tante cose, dal creare uno spazio a tuo gusto al recitare, fino al saper cucinare: il mio compagno ad esempio improvvisa con creatività fantastica in cucina. La creatività tocca tanti punti, ognuno la vive e sviluppa in maniera diversa, la indirizza nel modo che sente più consono.
Per quanto riguarda la bellezza, per me è importante ci sia in ogni piccola cosa, perché non è superficialità: l’estetica di questo posto rappresenta cura. Ho la fortuna di essere nata in un contesto di attenzione alla bellezza e la bellezza mi ha condizionato, ma deve andare di pari passo con un’altra parola: autenticità.

Autenticità, bellezza, teatro possono avere un valore trasformativo?

Sì e credo proprio che facciano bene all’anima. Quando le persone vengono qui, come in qualunque scuola di recitazione o luogo fatto con cura, escono trasformate. Lo vedo tanto nei bambini, arrivano timidissimi, chiusi, non dicono una parola ed escono rinati. Insegno ai ragazzi adolescenti dai 14 ai 18, ho avuto con me ragazzine in forti crisi depressive, sotto psicofarmaci, con attacchi di panico già così giovani e ho visto quanto l’usare la creatività, riuscire a capire che questo è un luogo sicuro in cui creare bellezza ha fatto la differenza.

Il teatro ci riconnette anche con il corpo, quanto conta oggi?

Alle volte vedo che i ragazzi non riescono a stare in piedi senza un supporto, si attaccano al muro. Io dico via dalla parete, state sulle gambe, sul vostro centro. La digitalizzazione, il covid, lo stare tanto al telefono hanno portato a tutto questo, mentre il corpo è uno strumento importantissimo che va coltivato e questo va insegnato.

A proposito di insegnamenti, hai detto che Andrée Ruth Shammah, icona del Franco Parenti, è stata il tuo modello, cosa ti porti di lei?

Grande passione, determinazione, tenacia e dedizione. Lei per me è una trascinatrice, ha una luce tale, entra in una stanza o sul palco e c’è lei. Inoltre adoro il suo uscire dagli schemi, dice tutto quello che pensa, anche in ogni discorso in apertura delle prime al Franco parenti. È una visionaria ha creato quello che per me è ‘IL’ teatro. Ho la fortuna di abitarci vicino e quando posso vado e cerco di “rubare” tutto ciò che mi piace e di portarlo qua e nella mia visione. Mi porto tanto dall’esperienza con lei, questa energia che non si ferma mai, è un esempio che avrò sempre davanti.

In questa chiacchierata ti sei spesso emozionata, perché è importante emozionarsi ed emozionare…

Per me, è il senso della vita.

Un’ultima domanda, come definiresti il Quoziente Humano?

Direi che è tutta la nostra parte umana, emotiva… la nostra anima. La nostra essenza.

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Monica Bozzellini
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva. Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale

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