Erica Nagel, Chief Marketing & Communication Officer Aon Italia

AON: “L’umanesimo non può essere messo in discussione”

Erica Nagel ha alle spalle più di 20 anni di esperienza nelle aree marketing, comunicazione e formazione; da dieci anni in Aon Italia, branch della multinazionale americana del settore assicurativo Aon Plc, dallo scorso maggio ne è diventata Chief Marketing & Communication Officer. 
I suoi occhi sono profondi e, pur non nascondendo una fermezza che le riconosceremo nel corso della nostra chiacchierata, accompagnano il sorriso con cui ci accoglie.

Impossibile prescindere dai temi dell’attualità in cui la comunicazione, a tutti i livelli, assume un valore ancora più grande e dimostra in maniera esponenziale lacune, criticità e potenzialità.

“L’emergenza Coronavirus – spiega Nagel – mette in luce quanto sia importante una comunicazione adeguata, soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo. In questa situazione tutti sono chiamati a fare la propria parte: i canali di comunicazione delle aziende sono uno dei principali riferimenti in primis per i dipendenti, ma anche per fornitori, clienti e comunità locali. Le persone in momenti di incertezza, oltre che ai mezzi di comunicazione tradizionali, guardano alle organizzazioni per raccogliere notizie accurate e verificate. Tanto più se l’azienda gode di una buona reputazione e credibilità.
È qui che entra in gioco il fattore umano: in questa situazione complessa e senza precedenti per il nostro Paese, non è possibile gestire la comunicazione con scelte e toni inappropriati. L’attenzione alle persone deve essere massima, l’ ‘umanesimo’ non deve essere messo in discussione.

È qui che entra in gioco il fattore umano: in questa situazione complessa e senza precedenti per il nostro Paese, non è possibile gestire la comunicazione con scelte e toni inappropriati

Per noi in Aon la comunicazione chiara, puntale, senza eccessi si accompagna ad una serie di azioni coerenti.
La nostra azienda ha protocolli di gestione delle crisi ben definiti per reagire tempestivamente in caso di eventi di questo tipo. Siamo dei gestori del rischio e la prevenzione è nel nostro DNA! E’ questo il motivo per cui in Aon la comunicazione lavora di concerto con le altre funzioni, come la Direzione Generale, le Risorse Umane, il Legal, le Operation e l’IT, quando si presentano situazioni di crisi. Subito dopo i primi casi di infezione nel lodigiano, siamo infatti stati tempestivi nell’informare e coinvolgere tutti i nostri dipendenti in Italia (oltre 1.600) circa la decisione presa in via preventiva e nel rispetto dell’ordinanza del Ministero della Salute e delle Regioni colpite, di incentivare il lavoro da casa per le due settimane successive, a tutela della loro salute e di quella delle comunità in cui Aon opera. L’adesione da parte dei dipendenti al nostro invito è stata totale. Abbiamo cercato di porci come interlocutore vicino ai nostri collaboratori, che sono in primis cittadini, per alimentare la fiducia e il coinvolgimento e contemporaneamente fornire assistenza ed orientamento. Naturalmente alle attività di comunicazione interna si sono affiancate comunicazioni verso l’esterno per mantenere tutti informati della nostra piena operatività e per comunicare i nostri servizi di supporto.  È cruciale infatti in questo periodo rafforzare il rapporto con gli stakeholders esterni che hanno così modo di accertarsi della capacità di rispondere ai bisogni anche in situazioni difficili”.

L’attenzione alle persone deve essere massima, l’ ‘umanesimo’ non deve essere messo in discussione

Forse, davvero, questo virus può innescare un processo di cambiamento nel nostro modo di essere e considerare valori, modalità di convivenza professionale e umana, uso di tecnologie e attenzione alle persone. Guardiamo allora insieme a Erica Nagel, fuori dall’emergenza, cosa possa significare l’umanesimo per una azienda.

La citiamo: ’la vera innovazione è la soddisfazione delle persone’.

È un pensiero che cerco di fare mio ogni giorno, anche se non è semplice riuscire a calare l’obiettivo in una quotidianità in cui si affrontano mille questioni che sembrano essere più ‘terrene’: è uno dei valori a cui tengo, le persone vengono sempre prima.
Prima dell’obiettivo aziendale e prima del raggiungimento economico. È chiaro che all’interno di un’organizzazione come la nostra si deve venire a patti con numeriche, obiettivi, tempi prefissati, ma questo non toglie che l’attenzione alle persone debba essere massima.

Quanto conta la visione dei capi?

Fa la differenza, se sì è leader. Essere un leader è per il 95% un tema di responsabilità: nei confronti del proprio ruolo e delle persone che si guidano. Sono molti i compiti da assolvere, pochi i privilegi e tanta la fatica. È essenziale creare un mix di empatia, know-how, esempio….

Essere un leader è per il 95% un tema di responsabilità: nei confronti del proprio ruolo e delle persone che si guidano

Mettere al centro la persona ha un ‘costo’ in termini di energie e attenzione.
Come si spiega a una azienda che ha valore farlo, anche quando i budget si riducono e le tecnologie paiono rendere ‘obsoleti gli ‘umani’?

Penso che mettere la persona al centro della riuscita della propria attività lavorativa e del proprio business sia l’unica strada percorribile per continuare a rimanere in sella. L’utopica configurazione del futuro dove tutto sarà una catena di montaggio governata dall’intelligenza artificiale è una visione molto limitante. Forse potrà funzionare nel caso di catene di montaggio industriali, in cui la macchina subentra in determinati passaggi, ma non sarà né possibile né strategico eliminare il pensiero creativo. Per questo ritengo che le persone non si possano sostituire e continuo a pensare che si debba cercare di far emergere, a tutti i livelli, l’engagement e il vero valore dell’essere in azienda: svegliarsi la mattina con la voglia di andare lavorare per portare il proprio contributo.

Penso che mettere la persona al centro della riuscita della propria attività lavorativa e del proprio business sia l’unica strada percorribile per continuare a rimanere in sella

Come sostenete questo valore aggiunto in Aon?

Siamo una multinazionale che riserva una particolare attenzione alle persone: dai flexible benefits, a programmi di formazione, allo sportello psicologico, allo smart working. Abbiamo a cuore tutte le tematiche legate alla CSR e alla sostenibilità ambientale: offriamo un servizio di car sharing, un programma di risparmio energetico, di riduzione dell’impatto della plastica con compattatori nelle sale break e utilizzo di borracce. Ma tutti questi aspetti saranno ancora più accentuati nel New Building, che meriterebbe un approfondimento a parte.

Ha parlato di engagement dei dipendenti, c’è un tema di ingaggio anche all’esterno. Quanto comunicazione interna ed esterna si toccano? Quanto chi è dentro porta fuori e chi è fuori condiziona quello che c’è dentro?

L’osmosi è totale se il pensiero è coerente. Gli stakeholders vogliono vedere una coerenza di messaggi e di azioni. Le comunicazioni, sia interne che esterne, devono infatti partire dalla base dell’etica del business. Combatto da sempre, ad esempio, perché una notizia sia data prima ai colleghi che ai mezzi esterni. In tema di comunicazione, in azienda il lavoro è diventato molto più complesso ma anche più strategico. Credo fermamente che l’apporto della comunicazione sia uno degli elementi differenzianti di una buona gestione delle C suite, anche se in Italia la comunicazione fatica ad essere concepita come al centro del business ed è ancora troppo spesso vissuta come un di cui.

Per affrontare il lavoro, le persone dovrebbero essere formate prima umanamente che professionalmente.

Erogo formazione anche all’esterno dell’azienda e la mia soddisfazione personale, dopo una lezione, è aver suscitato dubbi. La formazione deve infatti sollevare incertezze che spronano a trovare soluzioni e ad arricchire il bagaglio informativo.
Noi abbiamo invece un sistema educativo che, diversamente da quello anglosassone, non invita a fare domande; in questo modo non si aiutano le persone a comprendere realmente, né a cercare soluzioni. Il processo educativo cui siamo sottoposti dall’asilo all’Università va dall’onnisciente al discente, mentre è importante il contrario: dimmi la tua, raccontami cosa fai tu, in che cosa sei esperto?

Ha citato il processo educativo. Esiste un ruolo degli attori istituzionali anche in relazione al tema scuola e lavoro?

Mi colpisce da sempre la definizione ‘alternanza scuola-lavoro’, per me concettualmente sbagliata: non c’è alternanza, c’è affiancamento, altrimenti si sottolinea la differenza dei due mondi.
Quello che fai a scuola dovrebbe portarti a fare immediatamente ciò per cui sei stato formato. Il meccanismo dovrebbe partire dalla formazione, per riuscire a mettere le persone in uno stato di non alternanza.

A proposito di non alternanza, c’è una capacità che lei ha affinato e ha portato dal lavoro alla vita fuori e viceversa?

Una capacità che penso di avere affinato è la resilienza. Dentro e fuori. Nel lavoro e nella vita. Affronto la situazione, incasso, respingo, mi muovo…  in una sorta di danza con la vita.

Il futuro in una nuova sede

Il 2020 per Aon Italia è l’anno del trasferimento in una nuova sede, a poca distanza da quella attuale sul Naviglio Grande.
“Stiamo lavorando in un’ottica di smart working – spiega Erica Nagel -, la nuova sede ha questo imprinting, con un aspetto di “umanesimo”. I colleghi delle operation sono stati bravissimi nell’ideare questo edificio con l’obiettivo che le persone possano starci bene, compatibilmente con cambiamenti importanti e la mancanza di alcuni riferimenti, come la storica scrivania su cui ciascuno di noi ha tenuto o tiene le foto di famiglia. Noi per primi, come divisione, dovremo farci i conti perché è nostra responsabilità trasferire il messaggio, senza negare la mancanza, ma valorizzandone gli aspetti positivi: come non esiste un lavoro per la vita non c’è una scrivania per la vita, ma una serie di soluzioni, luoghi e spazi adatti a quello che serve fare in ogni momento. 

La sede di Aon Italia

Saranno circa 850 le persone coinvolte dal moving, dovremo riuscire a capire le loro paure e a stimolare la comprensione del nuovo. C’è una data di consegna del building, fine marzo, che vista l’emergenza non riusciremo a rispettare e poi una volta trasferiti dovremo vivere in un contesto nuovo, moderno, tecnologico.. Prima di riuscire a godere di questo nuovo concetto, ‘tanti spazi diversi per fare tante cose diverse’, dovremo superare qualche difficoltà, è normale quando c’è un cambiamento importante. 
Ancora una volta la parola chiave sarà… resilienza.

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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva.

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