Ci sono i canestri, ma non solo due. Ci sono giocatori, ma non tutti corrono sulle gambe. Ci sono maschi, ma anche femmine. E ci sono persone normodotate, ma anche persone con disabilità fisica e/o mentale, che giocano insieme nella stessa squadra, seguendo le stesse regole, per un unico obiettivo: divertirsi tutti insieme. Questo e molto altro è il Baskin, un nuovo sport nato nel 2001 dall’idea di due amici di Cremona, Fausto Capellini e Antonio Bodini, che hanno messo insieme idee e impegno per dare vita a uno sport davvero inclusivo. In effetti, il baskin permette la partecipazione attiva di giocatori con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale) che consenta il tiro in un canestro. Si mette così in discussione la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta, effettuata nella scuola, diventa un laboratorio di società.
Laboratorio di società
Ma anche i ragazzi normodotati beneficiano di questo percorso. Infatti nel baskin essi imparano ad inserirsi e ad organizzare un gruppo che conta al suo interno gradi di abilità differenti. Essi devono così sviluppare nuove capacità di comunicazione mettendo in gioco la propria creatività e instaurando relazioni affettive anche molto intense. Inoltre la condivisione degli obiettivi sportivi coi ragazzi disabili permette loro di apprezzare le ricchezze e le capacità che la diversità porta con sé.
La parola a Fausto Capellini e Antonio Bodini.
Che cos’è il Baskin? Come è nata l’idea di questo sport?
Antonio: Il Baskin è nato da me e Fausto, che l’abbiamo pensato, provato e costruito. Io ho una figlia, Marianna, con una paralisi cerebrale, e quindi ero motivato a costruire un’attività sportiva in cui giocassero insieme ragazzi con disabilità e non, anche perché vedevo che in casa i fratelli riuscivano con la fantasia a modificare e a creare dei giochi in cui coinvolgerla e in cui si divertivano tutti. Questo però strideva con il fatto che all’oratorio, alle feste o a scuola non vedevo mai mia figlia giocare con gli altri: era sempre in compagnia, ma non c’era mai la possibilità di farla giocare, come se nessuno si accorgesse che poteva essere bello giocare anche con lei. La cosa si è combinata con Fausto che, come insegnante di educazione fisica aveva il problema di insegnare ai ragazzi con disabilità.
Fausto: Insegnando mi rendevo conto che se mi dedicavo ai ragazzi disabili –ne avevo al massimo due in ogni classe –gli altri dopo poco cominciavano a scalpitare. Abbiamo quindi avuto l’idea di creare un gruppo di ragazzi con disabilità che volessero partecipare a un’attività sportiva pomeridiana, nella scuola media Virgilio di Cremona, e di mettere insieme a loro i nostri figli e qualche amico. L’obiettivo era di creare un qualcosa in cui tutti si divertissero, sia ragazzi disabili che i normodotati, perché solo così riuscivamo a creare qualcosa di davvero inclusivo.
Quanto il contesto esterno era pronto per un’iniziativa di questo tipo?
Antonio: La Legge Falcucci del 1978aveva introdotto l’inclusione obbligatoria degli studenti disabili nelle scuole superiori, ma di fatto fino a quando non siamo partiti con il gruppo, nel 2001, mancavano delle buone prassi – ad esempio nelle lezioni di educazione fisica – in cui si traducesse questa inclusione, e ci si chiedeva dunque se non fosse un’utopia.
Superare lo status quo
Fausto: Un altro problema è che dal punto di vista delle istituzioni fino a poco tempo fa esistevano due grandi blocchi: il Coni, che si occupa degli atleti normodotati, e il Cip, per gli atleti con disabilità. Non esisteva un ente che comprendesse nelle squadre la compresenza di disabili e normodotati e di entrambi i sessi. Noi ci siamo quindi incanalati in questa avventura che pian piano è diventata una sfida a uno status quo che non era più attuale.
Come è avvenuta quella che di fatto è la costruzione di un nuovo sport?
Antonio: Inizialmente non avevamo l’intenzione di creare uno sport nuovo, ma volevamo riuscire a fare in modo che normodotati e disabili potessero divertirsi insieme: perché, nel momento in cui il normotipo non si diverte, o non viene più, o rimane come volontario, il problema dell’inclusione non è risolto. L’abbiamo quindi costruito pezzo dopo pezzo, ascoltando molto i feedback dei ragazzi che partecipavano ai gruppi. Abbiamo preso il basket come sport da cui partire, perché giocabile anche da persone con difficoltà di deambulazione, e abbiamo modificato le regole e le strutture in modo che fosse divertente per tutti. È nata quindi una cosa nuova, anche grazie a idee e suggerimenti di tanti amici e persone che si sono entusiasmate al progetto.
Fausto: Ed è stato molto bello vedere che l’inclusione di esperienze e punti di vista diversi era arricchente anche per noi!
Oggi è riconosciuto come uno sport a tutti gli effetti?
Antonio: C’era un problema legislativo perché la legge italiana prevede che lo sport delle persone con disabilità debba essere preso in carico dal comitato paralimpico, che però non prende in considerazione se ci sono normodotati. Non c’era spazio per il nostro tipo di attività, ma avevamo bisogno di tutele, soprattutto perché i nostri numeri aumentavano continuamente.
Quando siamo arrivati a 100 squadre in tutta Italia con l’associazione Baskin abbiamo dato vita all’Ente Italiano Sport inclusivo (EISI), un ente di promozione paralimpica riconosciuto dal Cip, e che include non solo il Baskin, ma altri sport inclusivi che man mano ci vengono proposti e che accompagniamo nella loro costruzione, con corsi di formazione (per arbitri, allenatori, ecc…) e consulenza di vario tipo: ad oggi ne fanno parte anche il calcio balilla, la ginnastica e le bocce, tutti inclusivi. Grazie all’EISI, tutte queste attività hanno ora la loro dignità di sport.
Come funziona il Baskin? Quali sono le regole che avete messo a punto?
Antonio: Il regolamento del Baskin si basa su 10 regole che valorizzano il contributo di ogni ragazzo/a all’interno della squadra: infatti il successo comune dipende realmente da tutti e ognuno è responsabile del risultato. Le novità di questo gioco riguardano il materiale (uso di più canestri: due normali, due laterali più bassi, possibilità di sostituzione della palla normale con una di dimensione e peso diversi) lo spazio (zone protette previste per garantire il tiro nei canestri laterali) e le regole (ogni giocatore ha un ruolo definito dalle sue competenze motorie e ha di conseguenza un avversario diretto dello stesso livello). Inoltre è prevista una possibile assegnazione di un tutor che può accompagnare più o meno direttamente le azioni di un compagno disabile.
Una possibilità in più
Antonio: Rispetto al basket tradizionale, nel Baskin si può andare ad attaccare quindi su due fronti, cioè al canestro tradizionale e al canestro a metà campo: questo è stato ideato per consentire ai ragazzi che hanno più difficoltà a spostarsi di avere una possibilità in più, ma di fatto ha aperto un fronte maggiore di azione e di imprevedibilità, che rende il gioco più divertente e stimolante per tutti.
Oggi siamo arrivati alla 17esima revisione del regolamento, e nel 2024 avremo la 18°. Questo perché, avendo come obiettivo quello di fare giocare tutti, man mano che arrivano disabilità diverse dobbiamo adeguare le regole alle nuove esigenze. Anche le strutture vengono di volta in volta modulate: abbiamo usato, ad esempio, canestri con scivoli, oppure sensori acustici per giocatori non vedenti che grazie al suono emesso sanno dove si trova il canestro e capiscono dove devono tirare la palla. Nel passato abbiamo anche lasciato alla persona la possibilità di scegliere il rumore che preferiva sentire. E poi quanto è bello vedere il pubblico in completo silenzio per consentire al tiratore di sentire il suono!
Fausto: quello che distingue il Baskin anche dal basket in carrozzina è che i ruoli vengono dati non in base a quello che emerge dalla certificazione medica, ma sulle reali potenzialità della persona. Questo è un cambio radicale di mentalità, perché valutiamo le persone non per quello che non hanno, ma per quello che hanno in quel momento e sanno tirare fuori. Ci sono state delle sorprese enormi, perché alcuni ragazzi che secondo la certificazione medica non avrebbero potuto raggiungere loro autonomia, non solo l’hanno raggiunta, ma nel tempo sono passati a ruoli più alti proprio perché la loro funzionalità è migliorata. Tutte le regole sono state costruite in funzione della persona, attorno alla quale è stato costruito lo sport: e questa è la vera innovazione di uno sport inclusivo.
Come è cresciuto negli anni? Quante squadre oggi ci giocano?
Fausto: Come abbiamo raccontato, siamo partiti nel 2001 con un corso pomeridiano nella scuola Virgilio di Cremona, ma man mano che le richieste aumentavano, siamo stati costretti a organizzare più gruppi. Per accontentare anche i ragazzi che volevano continuare anche dopo le medie volevano continuare, abbiamo coinvolto le società sportive del nostro territorio. E poi il passaparola ha fatto il resto: crescevano le società sportive che proponevano il baskin, e parallelamente nelle scuole si era sparsa la voce che questa era una buona pratica per lavorare bene, tanto che nel 2017 abbiamo siglato con il Miur un protocollo d’intesa per divulgare il baskin nelle scuole, riconoscendone così l’alto valore pedagogico.
Buone pratiche
Fausto: Già dal 2006, però, il baskin si era già esteso fuori dai confini lombardi: avevamo partecipato a un convegno internazionale organizzato a Roma dallo Iulm intitolato ‘Buone prassi per l’integrazione e l’inclusione’ e lì avevamo conosciuto un’insegnante della Valle d’Aosta, che è stata la prima regione oltre alla Lombardia dove è arrivato questo sport.
Oggi siamo presenti in 17 regioni, con 155 società affiliate, per un totale di 180 squadre e 4500 tesserati. Abbiamo due categorie di partecipanti: i junior, dai 9 ai 13 anni, e i senior, dai 14 in su: abbiamo anche giocatori di 70 anni! Abbiamo campionati regionali e nazionali, e tornei anche internazionali: il baskin è infatti uscito dall’Italia ed è presente in altri Paesi, grazie a persone che si sono formate con EISI.
Obiettivi per il futuro?
Antonio: Vorremmo fondare un’associazione baskin europea che riesca a gestire l’attività in modo più organizzato. Continueremo a fare formazione e divulgazione, per sensibilizzare quanto sia importante l’inclusione attraverso lo sport. E soprattutto, fare capire quanto questo sport è divertente poter tutti, sia per chi lo gioca che per chi lo guarda!
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