Carlo Bordoni è sociologo dei processi culturali, ha insegnato all’Università di Pisa e di Firenze e come attento osservatore della società, prendendo in prestito le sue parole, si impegna a “commentare il mutamento in ogni settore della vita pubblica, dalla politica alla scuola, dalla cultura all’economia, perché non ci sono spazi riservati agli addetti ai lavori”. Il suo sguardo conduce i lettori attraverso la collaborazione con il Corriere della Sera e del suo supplemento La Lettura; il suo pensiero è scritto sui molti libri di cui è autore, alcuni dei quali hanno riguardato o coinvolto Zygmunt Bauman, di cui è stato amico e collaboratore.
A lui abbiamo chiesto spunti di lettura del passaggio attuale, cui il mondo è ‘costretto’,
per cercare di muovere i passi corretti nel presente.
In direzione del futuro.
Pur nella difficoltà di valutare un fenomeno in cui si è completamente immersi, dal suo punto di osservazione, stiamo vivendo un passaggio epocale all’interno di quell’interregno cui lei spesso fa riferimento? Un altro ‘great divide’?
Questo mi sembra qualcosa di più di un “great divide”: è un evento globale che arriva dall’esterno e ci costringe a un mutamento che non solo era imprevedibile (se non nella letteratura apocalittica), ma anche indesiderato e indesiderabile. Lo subiamo e siamo costretti a convivere con nuovi parametri che percepiamo come disumanizzanti. Ma l’essere umano, per fortuna, è in grado di adattarsi a ogni situazione. Lo possiamo dire perché siamo sopravvissuti, come specie, a ogni genere di sconvolgimento, rischiando ogni volta l’estinzione. In questo ci aiuta la tecnica. Come ricordava Arnold Gehlen, recuperando l’idea di Friedrich Nietzsche, l’uomo è un essere incompiuto che può sopravvivere solo grazie alla tecnica. E oggi la tecnologia ci può ancora aiutare.
Per attingere a un’espressione molto usata in queste settimane, potremmo essere vicini al ‘picco’ di una trasformazione della società?
L’interregno, nelle parole di Zygmunt Bauman, citando Gramsci, è un periodo di attesa dove le vecchie leggi non valgono più e le nuove non sono ancora state emanate. Questa definizione si applicava alla società liquida nella sua ultima fase, ma non si adatta più al momento che stiamo attraversando. Anzi, temo che quell’interregno si sia concluso bruscamente e si sia aperta una nuova fase con le sue nuove leggi ferree che dobbiamo seguire tassativamente, se vogliamo sopravvivere.
Rimpiangeremo l’interregno, con i suoi rapporti superficiali e disincantati, forse senza valori, ma liberi da costrizioni.
Guardando indietro si ha l’impressione che quell’interregno di cui ci lamentavamo per la sua vacuità, non era che la bonaccia che precede la tempesta
Cosa osserva in ciò che sta accadendo, in termini di coscienza individuale e collettiva?
Siamo agli inizi di un mutamento radicale delle nostre abitudini: come ho avuto occasione di scrivere recentemente sulla Lettura del Corriere della Sera, il sociologo non ha armi di fronte a un cambiamento così repentino. Si può tuttavia cogliere la tendenza a un recupero dei caratteri precipui della comunità. Dunque di una coscienza collettiva. È l’effetto congiunto della pandemia e, insieme, di un processo che era già iniziato da tempo: la crisi della modernità che, nella sua fase liquida, aveva acutizzato l’individualismo, esaltato il soggetto, la sua autonomia e la ‘solitudine del cittadino globale’. Il reagente è, anche in questo caso, così come nel lontano passato, la paura. Collante universale che rimette insieme le persone di fronte al pericolo comune, che tornano a praticare il dono, il ‘munus’, cioè l’obbligo di cedere parte di sé per il bene di tutti.
Come stanno cambiando bisogni, valori delle persone. Questa crisi – esplosa in una crisi già in atto nella struttura della società – consente di intravedere la forma di una nuova epoca?
È presto per dirlo. Se le cose dovessero restare così per lungo tempo, ci saranno conseguenze sulla struttura della nostra società. Non siamo in grado di prevedere come si evolverà la situazione, ma possiamo immaginare che sarà molto diversa da quella che conosciamo. Sia sul piano economico, sia su quello dei rapporti personali. Penso, ad esempio, a un ritorno agli stati nazionali, o forse meglio alle comunità regionali, con regole più strette negli scambi, non tanto delle merci, quanto delle persone. L’esistenza della Comunità Europea è messa a dura prova e siamo in attesa di sapere quali scelte sarà in grado di fare, perché da queste dipenderà il suo destino, se realizzarsi pienamente o fallire. La CE potrà forse essere semplicemente riformulata come una società di servizi comuni per i cittadini delle singole regioni.
La fragilità umana è stata ‘esorcizzata’ nell’era moderna attraverso un’idea di progresso portatore di speranza e crescita; negli anni recenti il processo di negazione della morte e dell’invecchiamento ci ha trasformato in una società ‘sintetica’. Oggi, abbiamo l’occasione di prendere coscienza, accogliendo l’ineluttabilità dell’incertezza e del cambiamento e in questo costruire nuove fondamenta per il nostro mondo?
L’idea di progresso è un’idea moderna, ben caratterizzata temporalmente e territorialmente. Come molte delle idee moderne (purtroppo anche quella di uguaglianza) è in crisi da tempo e da molte parti abbiamo ascoltato voci che inducevano a controllare la crescita continua, il consumismo, la corsa verso lo sfruttamento del pianeta: tutte questioni che di fronte al progresso, quel progresso che non si poteva fermare, sono restate in secondo piano per troppo tempo. Nella società che verrà dopo – e di cui cominciamo a intravedere i segni terribili e sconvolgenti –
dovremo necessariamente
rivedere i nostri parametri
e adeguarli alla realtà
La fragilità umana è sempre dietro, ben nascosta dai progressi sorprendenti della scienza e delle nuove tecnologie. Può aver dato l’impressione di essere invincibili come specie, ma – come ricordava Remo Bodei – le “civiltà contemporanee hanno davvero voluto cancellare faustianamente tutti i limiti? O sarebbe meglio sostenere che alcuni li hanno semplicemente spostati in avanti?”.
A Istituzioni, mondo dell’informazione e comunità medico scientifica è attribuito il compito di guidare la collettività verso la fine della pandemia e il recupero di valori quali responsabilità e sensibilità nei confronti delle fasce più fragili.
Come stanno cambiando gli equilibri degli attori sociali in questa situazione?
Assistiamo a una nuova divisione dei compiti. L’informazione e la comunità scientifica svolgono compiti a livello globale, condividendo le conoscenze; alle istituzioni pubbliche spetta invece il compito di occuparsi del locale, dell’esistenza e della sussistenza della comunità. È in questo calarsi nei bisogni quotidiani della popolazione che si giustifica e si rivaluta la funzione dei governi.
È venuto (o forse è ritornato) il tempo di parlare alla comunità, non solo al singolo, per ottenere una risposta solidale.
Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale