Progettare spazi ed esperienze per l’essere umano: questa è da sempre la mission de Il Prisma, società internazionale di architettura e design, con Dna italiano, fondata nel 1971 da Cosimo Carone. La società – che oggi conta 130 professionisti e sedi a Londra, Milano, Roma e Lecce – trasforma i trend e i cambiamenti che interessano il mondo in esperienze architettoniche, il cui cuore è l’uomo. Un approccio, questo, ben sintetizzato dal pay-off ‘Design human life’, che pone al centro della sua attività l’uomo e i suoi bisogni, che vengono intercettati attraverso un ascolto attivo del cliente.
La società è suddivisa in tre Business Unit: Cityscape, Worksphere e Destination. La prima lavora per offrire nuovi paesaggi per la vita dell’uomo, dove ambiente fisico e necessità abitative si incontrano e dove si generano comportamenti virtuosi in chi li abita grazie all’uso combinato di creatività, tecnologia e tecnica. Worksphere indaga gli ambienti che accolgono il modo di lavorare contemporaneo, progettando spazi innovativi che combinino comfort, stupore e funzionalità. Destination, infine, si concentra sulla relazione tra uomo e brand per progettare spazi dove vivere esperienze immersive e coinvolgenti.
Minimo comune denominatore delle diverse attività è l’attenzione alla sostenibilità, diventata oggi una vera e propria priorità per il benessere dell’uomo all’interno degli spazi in cui vive e lavora.
Dell’approccio ‘umano’ e dell’attenzione alle tematiche sostenibili de Il Prisma ci parlano in questa intervista Amit Anafi, Sustainability Manager, Arianna Palano, Associate e Worksphere BU Leader, Sebastiano Pasculli, Associate e Cityscape BU Leader e Michele Pini, Associate e Destination BU Leader.
L’architettura è uno specchio dell’evoluzione dei tempi. Guardando all’architettura di oggi, secondo te, in qualità di Sustainability Manager al Prisma, quale tempo stiamo vivendo?
(Amit Anafi) Quello che sta accadendo in questo terzo millennio è molto interessante e segna una vera svolta nella storia dell’umanità e dell’architettura. Guardiamo al passato. Nel primo millennio, in cui l’uomo cercava di capire il proprio posto all’interno del mondo, l’architettura era prima di tutto un rifugio, un posto che garantiva la sicurezza più fondamentale. Quando, poi, la religione diventa centrale, i luoghi da costruire diventano funzionali alla celebrazione di Dio, e anche nel Rinascimento, in cui l’uomo è diventato ‘faber vitae suae’, le opere architettoniche hanno il compito di celebrare principalmente la bellezza e la maestosità del manufatto.
La rivoluzione industriale ha introdotto la possibilità di avere prodotti seriali a prezzi più contenuti, portando a una standardizzazione dei componenti edilizi e a un approccio razionalistico all’architettura, che deve produrre spazi funzionali. Oggi, invece, che la crisi climatica è una realtà concreta, per la prima volta l’umanità ha una coscienza comune del destino del pianeta e del suo ruolo su di esso: abbiamo capito che le risorse della Terra non sono infinite e – soprattutto in seguito alla pandemia – che l’esistenza dell’essere umano è precaria. L’architettura diventa dunque la creazione di spazi in cui l’uomo deve prima di tutto stare bene, sia che si tratti della casa sia che del luogo di lavoro. È, insomma, avvenuta, una rivoluzione quasi mistica, che vede l’uomo per la prima volta davvero al centro degli spazi che costruisce, che devono garantirne il benessere.
Architettura e sostenibilità sono due elementi che da qualche anno vanno sempre più a braccetto. Come si è evoluto questo rapporto? E come lo affrontate nella vostra azienda?
(Amit Anafi) L’architettura è una bellissima forma di arte: l’architetto è insieme un po’ artista, un po’ ingegnere, un conoscitore di tecnologia, un filosofo attento agli aspetti sociali. Ma, alla luce della rivoluzione di cui parlavo sopra, oggi più che mai deve essere anche molto responsabile e attento all’impatto ambientale che hanno le sue azioni. Basti pensare che il 40% dell’energia utilizzata nel mondo e una percentuale quasi uguale di emissioni di Co2 sono legati al ciclo delle costruzioni e dell’architettura: l’estrazione e l’elaborazione dei materiali, il trasporto, il ciclo di vita dell’edificio e la sua demolizione, sono tutti passaggi che hanno un forte impatto sull’ambiente. Stiamo, insomma, realizzando che come architetti abbiamo sulle nostre spalle la responsabilità del danno che stiamo facendo all’ambiente.
Da recenti ricerche, poi, è emerso che l’uomo passa il 90% del suo tempo in luoghi chiusi, in cui la qualità dell’aria è spesso peggiore che quella all’esterno (si dice addirittura di 5 volte peggiore…). Quindi l’utilizzo di materiali che garantiscano la salute e la salubrità dei luoghi diventa prioritario.
Non è un caso quindi che Design Human Life sia il vostro slogan … Come si concretizza nel vostro lavoro?
(Amit Anafi) Il nostro approccio parte dall’ascolto dei bisogni della persona, che nel Prisma svolgiamo attraverso quella che chiamiamo Workplace strategy: degli incontri in cui entriamo in un vero contatto con il cliente per cercare di intercettarne le reali necessità. Sembra banale, ma non lo è affatto: capita spesso che il cliente esprima dei bisogni che non sono poi quelli più urgenti, o che abbia delle necessità di cui non si è reso conto. Il nostro ruolo è quindi aiutarli, con umiltà e responsabilità, a creare spazi ingaggianti, emozionanti e su misura, che rispondono alla loro esigenza di stare bene al loro interno.
In particolare, come sustainability manager, quali sono le maggiori sfide che ti trovi ad affrontare nel tuo lavoro?
(Amit Anafi) Un dato di fatto è che quello delle costruzioni è un mondo che si evolve lentamente, e che ha una certa resistenza strutturale all’innovazione. Se da un lato questo aspetto può costituire un freno, dall’altra rappresenta anche una grande opportunità di portare innovazione all’interno di questo ambiente: c’è ancora molto da esplorare e questo è certamente una possibilità da cavalcare.
Allo stesso tempo, è un mondo molto frammentato, in cui non esiste una vera rete di comunicazione e scambio fra i diversi attori che vi lavorano – produttori di materie prime, costruttori, architetti, ecc. –. L’unico modo per farlo diventare più sostenibile è abbattere queste barriere e fare parlare tutti i player fra loro, per fare rete e scambiarsi le informazioni fondamentali per questo settore.
La sfida più grande, però, è riuscire ad andare oltre la poca conoscenza e approssimazione che esiste sul tema della sostenibilità: tutti ne parlano, ma non esiste una narrativa coerente, che ne metta insieme in modo chiaro e completo i diversi aspetti, e troppo frequenti sono gli abusi di questa parola in tentativi di greenwashing di operazioni che di sostenibile hanno in realtà poco.
Di conseguenza i clienti hanno maturato una sorta di diffidenza nei confronti di queste pratiche, ed è sempre più impegnativo fare capire loro che cosa è la vera sostenibilità e quali vantaggi possono avere a lungo termine nell’adozione di queste pratiche che non è vero, come pensano in molti, che costano di più: quello che ottengono è un risparmio che va lontano nel tempo, sia di tipo economico, ma anche e soprattutto sul fronte della salute. Lo sforzo è fare capire che ormai oggi non si può non lavorare in ottica sostenibile, e si deve smettere di diminuire gli impatti o compensare le emissioni: è urgente invece adottare delle strategie che mettano realmente fine a tutte le azioni dannose.
In particolare, prendiamo i luoghi di lavoro, di cui si occupa la unit Worksphere. Quali sono le caratteristiche immancabili di uno spazio di lavoro contemporaneo? Come fare dialogare spazio e persone?
(Arianna Palano) Oggi parlare di spazi di lavoro, significa immaginare un ecosistema di touchpoint del lavoro. Ovvero non più uno spazio singolo ma tanti spazi che insieme formano quella che noi definiamo worksphere. Una sfera che comprende, appunto, casa, bar, hotel, coworking, parchi e che il lavoratore può sfruttare per la sua professione. Capillarità, orizzontalità, phygital, hub, co-creazione, sono solo alcune delle caratteristiche degli spazi di lavoro contemporanei. In quest’ottica l’ufficio diventa luogo di relazione e condivisione tra colleghi, oltre che clienti e partner, ma anche luogo rappresentativo che celebri lo scopo dell’azienda. Il suo ruolo nella creazione di un’esperienza ingaggiante e immersiva, capace di stimolare il dialogo tra spazio e persone e generare il senso di appartenenza, è determinante.
Con Cityscape invece vi occupate maggiormente di spazi ed edifici urbani. Quali oggi le sfide maggiori e le opportunità da cogliere?
(Sebastiano Pasculli) Cityscape progetta spazi ed edifici urbani con l’obiettivo non solo di individuare, ma soprattutto di potenziare le opportunità di vita relative a un immobile e all’area in cui è inserito. Le necessità di coloro che abitano un luogo, le attività radicate, le identità perse o mai pienamente espresse, unite alla visione di chi crede nella rigenerazione delle nostre città, sono le leve che orientano il progetto per esserne un attivatore, sviluppato attraverso una modalità partecipata e transdisciplinare. Dare valore a un luogo significa, per noi, non solo riconnetterlo a una storia, ma provare a scriverne il futuro. Creando esperienze sensoriali capaci di innescare comportamenti virtuosi e avere un impatto sulle persone – non solo quelle che abiteranno all’interno di un edificio ma anche quelle che lo vivranno nel suo contesto più ampio. Ogni volta è una sfida ma anche una bellissima opportunità.
Infine, architettura e brand: in un mondo frenetico in continua evoluzione, come può l’architettura creare un rapporto duraturo e di fiducia con il consumatore?
(Michele Pini) Che si tratti di uffici, di abitazioni o di hotel, il punto di partenza, per noi, sono sempre le persone e le esperienze che in questi spazi vivranno. Come business unit Destination abbiamo l’ambizione di trasformare gli spazi della vendita e dell’ospitalità in luoghi di significato, identitari e unici, dove il dialogo tra brand e persone sia proficuo ed ingaggiante. Luoghi capaci di creare esperienze coinvolgenti dove riconoscersi, sognare, sentirsi bene – e dove voler ritornare. Le destinazioni che progettiamo sono inserite in un contesto specifico, in grado di creare un legame valoriale con l’essere umano.
Come pensate che evolverà il rapporto fra uomo e spazio nel prossimo futuro?
La pandemia ha avuto un grande impatto sull’essenza degli spazi, che si sono dovuti per forza di cose modificare, e sempre di più avremo spazi ibridi e flessibili. Oggi che si è capito che si può lavorare ovunque, si ha un radicale cambio di paradigma. Le case non potranno non avere un luogo in cui lavorare, mentre gli uffici serviranno sempre di più per fare meeting e attività collettive e di networking.
Al centro sarà sempre l’uomo, che è e sarà sempre più esigente nelle sue aspettative e richieste di spazi salubri, che lo facciano stare bene e offrano diversi servizi. E la sostenibilità non sarà più un nice to have, una commmodity, ma diventerà sempre di più parte integrante della nostra vita. Grazie alla tecnologia già oggi è possibile misurare i consumi e l’impatto sull’ambiente e la salute, e sono accelerati i meccanismi di miglioramento della sostenibilità degli uffici. Così come è sempre più frequente trovare manager e reparti dedicati alla sostenibilità all’interno delle aziende. Allo stesso tempo, la crisi climatica è diventata anche un rischio economico, con la conseguenza che gli investitori prediligono quelle realtà aziendali che hanno a cuore le tematiche della sostenibilità nelle sue tre accezioni ambientale, economica e sociale.
Questa è la strada che il mondo ormai ha imboccato, e, volenti o nolenti, non si può tornare indietro.