Quando parla del counseling, che ha tra i suoi elementi costitutivi l’ascolto, la relazione e la comunicazione, lo fa mossa da passione e concretezza, conoscenza ed esperienza, visione e pratica.
Alessandra Caporale, presidente di AssoCounseling, associazione di categoria che riunisce circa 2600 iscritti (in Italia sono circa 8mila i counselor appartenenti a organizzazioni ndr) ha iniziato a fare questo lavoro 24 anni fa e rappresenta quella generazione di professionisti che ha portato questo mestiere in Italia ed è stata testimone delle sue trasformazioni avvenute a cavallo fra due secoli. Abbiamo raccolto le sue parole che raccontano di come il counseling si realizzi attraverso un approccio centrato sulla persona e possa essere uno strumento a supporto del benessere “mai come in questo momento sociale assolutamente indispensabile – afferma -. Viviamo in un’epoca sostanzialmente di solitudine, a volte c’è impossibilità nel nostro stile di vita di entrare in relazioni significative”.
Perché il counseling come strumento a supporto del benessere?
Mi piace citare una frase di Carl Rogers (psicologo statunitense ndr) che dice come l’approccio del counseling non direttivo più che conferire potere alla persona, semplicemente non glielo toglie mai. Questa espressione può sintetizzare l’obiettivo di un percorso di counseling. Il counseling è uno strumento molto potente per il benessere degli individui, ma anche delle comunità, perché è in grado di agevolare un tipo di relazione in cui le persone, non sentendosi giudicate, valutate, o in qualche modo indirizzate, possono spontaneamente trovare dentro di loro delle risposte. Credo che il punto fondamentale sia proprio la qualità della relazione, perché il counselor è un professionista che ha imparato ad ascoltare in maniera profonda e a non esprimere e a non vivere alcun tipo di giudizio verso l’esperienza dell’altro. Il counselor, stando accanto alla persona, favorisce l’emergere di risorse e potenzialità personali. Il counseling è uno strumento trasversale, perché permette alle persone di contattare abilità e competenze che in alcuni momenti di vita facciamo fatica a riconoscere, ma che tutte e tutti abbiamo. Il rapporto con il counselor aiuta a sviluppare una progettualità che consente di rispondere alle diverse esigenze di vita in ambito personale e professionale, andando a guardare il naturale ciclo di vita della persona. Laddove affiorino necessità diverse, che abbiano bisogno di essere approcciate dal punto di vista clinico, il counselor si ferma ed entrano in campo altre professioni.
Perché partire dall’ascolto di sé per una maggiore consapevolezza?
Nei nostri rapporti pensiamo di ascoltare, ma spesso non è così: ascoltare è un processo molto profondo. Un ascolto vero, a servizio dell’altro, prevede che la persona che ascolta sia a contatto con il proprio mondo interno e il counselor mette a disposizione questo ascolto per stare sulla persona. Ascoltare significa rimanere centrati sul pensiero dell’altro, senza avere aspettative o soluzioni pronte, senza interpretare o entrare con le proprie valutazioni, ma stando accanto al processo che l’altra persona fa in maniera autonoma, perché si trova all’interno di una relazione facilitante, di cui l’ascolto profondo è un punto fondamentale e nevralgico.
Che cosa si intende per ‘presenza’?
È un processo intenzionale. Significa mettersi in contatto, essere nel qui e ora con l’altro e allo stesso tempo essere in grado di comunicare questa presenza, che riguarda tutta la persona: è il suo aspetto emotivo, cognitivo, corporeo. Si tratta di una consapevolezza che il counselor impara ad allenare, la sua è una formazione non solo tecnica e teorica, ma relativa alla persona nella sua interezza. In questa formazione il counselor mette a servizio le sue disposizioni umane e personali, che vanno comunque coltivate: l’empatia, l’autenticità, la congruenza sono elementi fondamentali per dare alla relazione una presenza piena. Comunicare la presenza è un altro passaggio importante: è fondamentale che il nostro cliente, o clienti se tratta di un gruppo di persone, possa percepire in maniera tangibile l’esserci nella qualità della relazione.
Un approccio centrato sulla persona
Empatia, congruenza, accettazione incondizionata, Carl Rogers scriveva ‘Un modo di essere’. Qualità che andrebbero seminate nella quotidianità di ciascuno di noi.
Rogers su questo è molto chiaro, perché nella sua storia professionale e politica si è concentrato sugli aspetti terapeutici, ma più andava avanti nella ricerca, più si rendeva conto che non stava parlando semplicemente di una qualità di relazione tra terapeuta e cliente, ma che si riferiva di una forma più ampia di conoscenza di sé, che riguardava tutti gli esseri umani e tutte le relazioni che in qualche livello vengono ritenute facilitanti: penso a quella tra genitori e figli o insegnanti e studenti. L’esperienza di Rogers si amplia: si passa dalla terapia centrata sul cliente all’approccio centrato sulla persona, proprio per sottolineare che questi aspetti delle qualità umane delle relazioni riguardano gli esseri umani tutti. Sicuramente il counseling è una relazione privilegiata perché aiuta gli esseri umani a coltivare dentro di sé queste qualità, a farle fiorire e quindi a permettere di portarle nelle proprie vite. Da questo punto di vista il counseling è un modo di essere, perché ha come prerequisito una prospettiva legata alla pari dignità di tutti gli esseri umani e anche una fiducia molto radicata nelle potenzialità dell’essere umano e nella sua tendenza attualizzante, che è uno degli aspetti fondanti della teoria di Carl Rogers.
Quali sono i bisogni della attuale società?
Dalle esperienze dei counselor che lavorano sul territorio si registra che sicuramente un tema è la solitudine e il bisogno di ascolto. Ci sono moltissime nuove solitudini che sono anche legate alle tecnologie e a questo nuovo modo di stare in relazione, che spesso non prevede il corpo. Stiamo sperimentando un modo virtuale di entrare in relazione che, se da una parte facilita connessioni, e non può essere demonizzato, dall’altra ha bisogno di essere integrato nell’incontro reale. Molte difficoltà sono collegate agli stili di vita che abbiamo, che spesso non consentono i tempi e i luoghi di un incontro reale: in questo la pandemia ha avuto un grosso ruolo perché da una parte ha sdoganato completamente il trovarsi virtualmente, lasciandoci un po’ più pigri rispetto all’attivarsi per andare a cercare una modalità di socializzazione diversa. Credo che progressivamente ce ne stiamo rendendo conto, ci si inizia a porre la questione di come ci relazioneremo e come ci stiamo già interfacciando con l’intelligenza artificiale, che indubbiamente può avere delle grandi potenzialità, ma va maneggiata con cura, per evitare che possa prendere il sopravvento su alcune dimensioni che accompagnano la nostra umanità e che sono la nostra fonte di apprendimento maggiore. L’esperienza umana resta privilegiata.
Nel qui e ora le nuove prospettive
In un tempo in cui la parola ‘connessione’ ha ceduto il suo significato più profondo alla tecnologia e siamo sempre più portati a distrarci da noi stessi, perché è necessario ritornare al qui e ora?
La connessione è fatta di tanti elementi: sguardo, tono di voce, parole che, ad esempio, possono essere più calde e generare possibilità. La connessione comprende una sfera emotiva: posso parlare con qualcuno e percepire di essere completamente accolto nella mia esperienza e sentire di poter sostare per scorgere nuovi punti di vista e possibilità. Tra counselor e cliente avviene un’interazione generativa. In questa connessione non c’è qualcuno che domina il campo della relazione: counselor e cliente sono alla pari, il counselor testimonia il fluire dell’esperienza dell’altra persona e agevola l’emergere di nuove prospettive, senza avere alcuna aspettativa su quello che sta accadendo o desiderio di dominare l’incontro attraverso una competenza professionale. La competenza naturalmente c’è e riguarda la formazione e le caratteristiche del professionista, ma non viene utilizzata la conoscenza per sovrastare il campo della relazione, perché l’unica conoscenza di senso è quella che il cliente ha di se stesso.
Come portare alla scoperta il bisogno a cui il counseling può aiutare a dare risposte?
Negli ultimi anni sono emerse tantissime iniziative di diffusione della professione del counseling. Anche nominando alcune situazioni in cui le persone potrebbero ricevere beneficio da questo intervento, le persone possono riconoscersi: nel momento in cui, ad esempio, devono compiere delle scelte, hanno bisogno di chiarire alcuni aspetti della quotidianità professionale o relazionale, o nel bilanciamento nei tempi di vita professionale e privata. Sono tantissime le circostanze di vita quotidiana in cui le persone possono avere bisogno di un accompagnamento che definiamo esistenziale, cioè che appartiene al naturale incedere della vita e che non è inquadrabile tout court in un intervento di tipo clinico o sanitario. È la vita, è ciò a cui tutti quanti siamo chiamati a rispondere. A volte agiamo in modo più efficace, con più energia, ma ci sono dei momenti in cui abbiamo bisogno di parlare con qualcuno che ci aiuti a chiarire un po’ di più quali sono i nostri bisogni, le nostre aspirazioni e a trovare dentro di noi le risorse che ci possono sostenere. Adesso il counseling in Italia inizia a essere più riconosciuto, abbiamo passato anni in cui non se ne parlava. Questo consente alle persone di avvicinarsi per sperimentare sia nei setting individuali che di gruppo.
Come si può inserire il counseling in un percorso di cura per la salute anche in un momento di malattia?
Questa domanda mi dà l’occasione di sottolineare l’importanza delle reti professionali. Credo nella collaborazione fra operatori del settore sanitario e di professionisti che hanno la vocazione di avere a che fare con l’esperienza umana. Penso agli antropologi, ai filosofi, agli educatori, ai counselor, agli psicologi, agli psicoterapeuti, agli psichiatri. Nel vasto spettro delle professioni di aiuto, anche in ambito sanitario in rete con altri professionisti, il counselor, per quello che è il suo ambito di competenza, può aiutare le persone a vivere e a riprogettare la propria vita, pur in presenza di una sofferenza fisica o di una malattia. A volte il counseling può essere molto utile per gli stessi operatori in ambito sanitario, penso agli infermieri, ai medici, a tutte quelle persone che tutti i giorni sono a contatto con esperienze dolorose e hanno bisogno di uno spazio per recuperare energia.
Esperienze nella relazione di aiuto: insieme per collaborare
Il counseling e la psicoterapia possono dialogare?
Tutti i professionisti che ho nominato prima, tra cui anche i counselor e gli psicoterapeuti, condividono delle aree di comunanza che riguardano la relazione, l’ascolto, l’azione facilitante e alcune caratteristiche come l’accettazione, l’empatia, la congruenza. Ovviamente hanno obiettivi diversi all’interno di queste relazioni, per cui se il counselor lavora su delle momentanee difficoltà che la persona incontra, la psicoterapia generalmente aiuta l’individuo a riparare delle parti di sé, delle ferite, che sono anche antiche, va a lavorare su alcuni aspetti della personalità. Lo psicoterapeuta può lavorare anche su alcune questioni più emergenti, ma lo farà con uno sguardo differente, con una formazione e delle competenze diverse da quelle del counselor. Come fare dialogare queste due esperienze? In tutto il mondo accade felicemente, nel senso che l’esperienza di confronto con professionisti provenienti non solo da questo, ma anche da altri continenti, ci riporta che in diverse parti del mondo c’è una collaborazione e un rispetto reciproco tra counselor e psicoterapeuti. Penso alla vicinissima Inghilterra dove questi professionisti sono accomunati da un’unica associazione di categoria, nella quale vengono iscritti con specificità e caratteristiche diverse. In Italia questo dialogo è un po’ più complesso a livello istituzionale, perché poi invece nella pratica delle nostre vite ci sono tantissime realtà dove queste due figure di professionisti riescono a lavorare insieme molto bene e a sostenere a vicenda il proprio lavoro. Come presidente di AssoCounseling ho incontrato tante di queste realtà in cui si realizza una collaborazione virtuosa, dove ciascun professionista, stando nelle proprie competenze, dà il proprio contributo, perché c’è bisogno e c’è spazio per tutti.
C’è un’istanza di riconoscimento del ruolo e della credibilità della figura del counselor?
Sicuramente da anni uno degli obiettivi dell’associazione è fare promozione della professione, stabilire dei criteri per i professionisti, rilasciare un attestato ai sensi della legge 4 (L. 14 gennaio 2013 ndr), legge che prevede anche uno sportello per il cittadino. Nel tempo ci siamo strutturati molto di più, il nostro obiettivo resta quello di aiutare la cultura del counselor in Italia e lo facciamo anche lavorando a livello politico con le altre nazioni europee. Abbiamo tenuto un convegno a Napoli lo scorso giugno in partnership con International Association for Counselling (IAC): l’obiettivo è stato quello di portare nel nostro Paese le tante visioni della professione presenti in tutto il mondo, che contribuiscono alla lettura del nostro tempo e danno un contributo al potenziamento dell’essere umano.
AssoCounseling è un’associazione nazionale di categoria che promuove la figura del counselor secondo criteri di qualità e qualificazione che i propri iscritti devono possedere. Quali sono le istanze principali che l’associazione sta perseguendo?
In questo momento siamo impegnati a livello interno attraverso i coordinamenti territoriali nell’interloquire con le diverse aree del paese e quindi a trovare anche degli spazi di dialogo istituzionale con le varie regioni laddove è possibile. Dal punto di vista nazionale ed estero siamo coinvolti in tavoli di lavoro sia in Italia che all’estero, per una definizione degli standard formativi, sia per un processo di regolamentazione a livello europeo. Ci stiamo costituendo come organismo a livello europeo per poter procedere in questa direzione.
Come presidente di AssoCounseling cosa auspichi per il counseling?
Come presidente di questa associazione, se da un lato sono consapevole dell’enorme strada che abbiamo fatto fino a oggi, dall’altro so che sicuramente ce ne attende altrettanta. In Italia abbiamo avuto il grande merito di affermarci e di resistere anche a numerosi attacchi. Quello che auspico è che si possa giungere a una composizione pacifica dei conflitti politici, per poter arrivare a una collaborazione fruttuosa dei professionisti dell’aiuto. Siamo aperti, nel pieno spirito dell’ascolto e del confronto reciproco, che è costruttivo e che ci caratterizza come professionisti.
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