‘Persone’ è la sua parola chiave. Il rispetto, l’ascolto e la libertà di espressione, insieme a un senso di responsabilità per chi entra in azienda, le porte da cui far passare la comunicazione. Miriam Frigerio, Head of Brand & Communication di Sorgenia racconta come la visione di un futuro sostenibile, in cui l’energia venga resa accessibile e disponibile a tutti, sia vicina. “È importante – confida – nella vita come nel lavoro, avere sempre l’impressione di essere un tassello di un progetto utile”.
È un momento in cui l’ascolto è più che mai necessario. Come ascoltare e dare voce alle persone all’interno dell’organizzazione?
L’ascolto è necessario perché le organizzazioni sono fatte di persone che si raggruppano fisicamente, logisticamente e da un punto di vista funzionale. Le persone partecipano a una realtà fluida come quella del lavoro di oggi. I mezzi di comunicazione digitali sono entrati in modo pervasivo nella quotidianità di ciascuno di noi e hanno abbattuto alcune barriere. Bisogna riconoscere le singole identità, le personali convinzioni e ciò significa anche offrire rispetto e possibilità di esprimersi. Mi riferisco alla diversity di qualunque genere e penso a quella grande fondamentale diversità che è la fragilità delle persone, emersa in maniera drammatica col Covid. Nell’ambiente di lavoro le persone hanno una certa ritrosia a mostrarsi per quelle che sono. Bisogna farle sentire libere di esprimersi con i propri peer, collaboratori, referenti. Questo comporta il prendersi cura delle persone a cerchi concentrici, a partire dal primo di questi cerchi che è rappresentato dal cliente. Noi in Sorgenia abbiamo colto la difficoltà di alcuni nostri clienti a comunicare con i genitori anziani, ad esempio, e abbiamo messo a disposizione dei tablet ultra-semplificati (i “Nonny”) che consentono di fare videochiamate anche a persone che non hanno dimestichezza con la tecnologia. Essere vicini alle esigenze delle persone significa pensare anche ai fornitori che cerchiamo di coinvolgere nelle nostre iniziative sociali. Poi, allargando sempre di più il campo, vuol dire essere consapevoli che la nostra azienda è fatta di persone che sono parte di un mondo più ampio. Per questo io ritengo che non ci si possa esimere dall’occuparsi di temi sociali avendo ben chiaro il focus e il proprio ambito di azione, le linee guida e i principi di comportamento che possono portare effettivi risultati.
Un punto del manifesto aziendale di Sorgenia fa riferimento alla responsabilità. In che modo un’organizzazione profit può impattare positivamente in ambito sociale?
Ogni persona, e ogni azienda, ha delle precise responsabilità per quello che fa. In ambito professionale, responsabilità vuol dire anche coltivare una sana cultura dell’apprendimento e dell’errore. Mia mamma era sarta e diceva ‘chi non taglia non sbaglia’, chi non lavora non commette errori.
La responsabilità ha valore sociale nel momento in cui un’azienda impatta a più livelli, perché ha dei clienti, perché quello che dice può raggiungere un numero di persone maggiore rispetto a un singolo individuo. Esiste poi un ruolo culturale delle aziende. Penso alla scelta che abbiamo fatto nel 2017 di avere come testimonial Bebe Vio: abbiamo fatto di una persona disabile l’emblema della nostra azienda, dimostrando così come il valore e la forza di una persona siano molto più coinvolgenti rispetto all’elemento che la rende “diversa”.
Rendere l’energia sostenibile, personale e condivisa. Un’energia pulita e rispettosa dell’ambiente, perché oggi più che mai questi temi sono una necessità?
È un incrocio di fattori e di tendenze sociali a 360°, alcune delle quali si riferiscono anche al contesto industriale. Dal punto di vista sociale sta aumentando la consapevolezza dell’esigenza di una crescita che lasci un ambiente intatto per chi verrà dopo di noi e che non esaurisca le risorse. Nel caso specifico del settore energetico gli ultimi venti anni hanno visto una vera rivoluzione. Si è passati da un modello di produzione di grandissime quantità di energia in pochi centri localizzati – le centrali andavano ancora a carbone o a olio combustibile – a una generazione massiccia da fonti rinnovabili, con la possibilità anche per le persone comuni di autoprodurre almeno parte della propria energia. Siamo a un crocevia di istanze sociali e sviluppo tecnologico. È importante trovarsi su questo snodo in maniera coerente. Questo vuol dire non soltanto esserci ma essere l’abilitatore che permette che arrivi alle persone ciò che avviene a livello tecnologico. Il fotovoltaico già oggi, le comunità energetiche in un futuro prossimo, sono possibilità concrete che non sempre il comune cittadino riesce a comprendere appieno. Il ruolo delle aziende è semplificare il processo che rende l’energia accessibile a tutti, con una soluzione conveniente, pratica, personalizzata sulle diverse esigenze di ciascuno. Questa sarà la vera rivoluzione dei prossimi anni.
Ci sono alcuni punti in particolare dell’Agenda ONU 2030 su cui l’organizzazione si sta muovendo?
È interessante come negli obiettivi dell’ONU al punto 7 l’energia venga considerata un bene primario – al pari di Food, Water, Environment. È un riconoscimento fondamentale di come l’energia sia non solo strumento abilitante ma bene primario, da rendere accessibile a tutti. Il tema della tutela dell’ambiente è per noi una vera ragion d’essere, parte integrante della nostra identità e del significato delle nostre azioni quotidiane. Inoltre, per scelta di posizionamento e di visione della società, da anni lavoriamo anche sull’obiettivo legato alla Diversity di cui accennavamo prima, intesa nelle sue molteplici forme, a partire da quella di genere e dalla disabilità.
Quanto la sostenibilità diventa fattore determinante nelle scelte di business?
A un livello alto è quasi mandatario: gli ESG sono dati essenziali di bilancio e rientrano nelle principali valutazioni da parte delle società di rating. È interessante capire per quale motivo gli ESG siano diventati una chiave fondamentale di queste valutazioni, perché troviamo qui la conferma di quanto i fattori sociali e ambientali impattano anche la percezione di un’azienda da parte del pubblico, al punto da essere considerati anche in termini di risk management e di costi complessivi. A livello interno, i criteri di sostenibilità definiscono le scelte aziendali a diversi piani, dalle decisioni strategiche alle singole azioni di ciascuno. Le aziende sono fatte da persone che a livello piccolo o grande prendono le loro decisioni. Che si tratti di scegliere bicchieri di carta anziché di plastica, di installare un componente tecnico al posto di un altro, di muoversi con un’auto ibrida anziché con una a benzina, le scelte si incontrano tutte in un più comune modo di sentire. Nel momento in cui si innesca un atteggiamento comune la scelta diventa quasi inevitabile.
Come si costruiscono le relazioni all’interno dell’azienda e come si può muovere la comunicazione interna ed esterna in questo momento così complesso anche da un punto di vista sociale?
Credo che sia prima dell’esperienza del lockdown sia adesso ci siano due aspetti da considerare: da una parte, il rispetto della singolarità delle persone e la possibilità per ciascuna di essere se stessa; dall’altra, la disponibilità di strumenti tecnologici come canale abilitante per mettere in contatto le persone e permettere loro di scambiarsi informazioni anche senza vicinanza fisica. Perché i due aspetti possano convivere, penso sia necessario nutrire relazioni di tipo personale tra i singoli, pur nel rispetto di un sentire che spesso è diverso. Noi durante i mesi iniziali della pandemia abbiamo lavorato molto intensamente, anche perché eravamo forti di relazioni costruite prima, e che non si sono infrante contro il muro di uno schermo. In azienda, occorre abbattere i silos: una struttura fluida agevola la creazione di rapporti. Il fatto che magari coetanei che appartengono a due aree diverse ritrovino un gancio comune è di grande utilità. Per mantenere un approccio costruttivo e collaborativo anche in momenti complessi come l’attuale, aiuta sicuramente l’aver creato un clima di disponibilità e di trasversalità, che a volte sopperisce all’assenza di schemi rigidi in cui inquadrare percorsi e decisioni.
Digitale e visione del futuro…
Uno dei punti del nostro manifesto dice “il digitale è il mezzo, le persone il fine”: quanto avvenuto durante il lockdown ne è una dimostrazione esemplare. Noi siamo un’azienda che porta energia alle persone e pensiamo che la tecnologia sia uno straordinario strumento per farlo. Del resto, la digitalizzazione dell’energia è sottesa a uno spostamento di paradigma, con produzione e consumo sempre più gestiti in tempo reale. In questo modo rendiamo tutto più comodo per le persone, impattiamo meno sull’ambiente, siamo veramente efficienti e portiamo energia a chi ne ha bisogno. Le REC (comunità energetiche rinnovabili ndr) sono un esempio interessante per la condivisione di energia, stanno cambiando la visione del settore con grande rapidità. L’idea di una comunità energetica dove ci sia una produzione da fonti rinnovabili che viene messa a disposizione affinché i singoli possano approvvigionarsi in base al proprio bisogno e i costi vengano distribuiti in relazione ai consumi è chiaramente resa possibile dalla tecnologia, ma lo scopo non è lo strumento. Ho iniziato a lavorare in Sorgenia nel 2003 e quello che stiamo realizzando oggi sembrava lontano. L’energia è uno di quei settori in cui si riscontra una grandissima applicazione della tecnologia: una strada obbligata nella direzione della sostenibilità e dell’efficienza.
Come si sta muovendo Sorgenia nella costruzione del dialogo con gli altri attori sociali?
Come soggetto di rilevanza nazionale, ovviamente abbiamo interlocutori istituzionali e associativi, fondamentale per chi lavora in un servizio di pubblica utilità come l’energia. Abbiamo poi relazioni locali nei territori dove si trovano i nostri impianti o dove altri sono in progetto. Il mondo sta andando in una nuova direzione, è importante far capire alle comunità locali quanto alcuni progetti possano uscire da una valutazione ancorata a vecchi schemi. Le relazioni nascono anche con esponenti della realtà sociale con la quale entriamo in contatto, stakeholder intesi in senso più teorico. Penso all’ambiente, alle donne, ai giovani, che per noi sono i portatori di interesse verso il futuro. Nel caso dei ragazzi, l’associazione fra sostenibilità e ambiente è immediata. Basta partire dalla definizione della Commissione Brundtland, del 1987, secondo sui lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che permette di soddisfare i nostri bisogni attuali senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri. I giovani non sono certo un nostro stakeholder commerciale, ma sono coloro ai quali dobbiamo lasciare il testimone del nostro impegno di oggi.
Come possono disseminare cultura aziendale ‘positiva’ e buone pratiche i manager ‘sensibili’?
Ci devono credere. E devono credere nell’umanità dei colleghi che hanno davanti. Per praticare un approccio di questo tipo bisogna fidarsi degli altri. Le persone devono sentirsi libere di esprimersi e avere la serenità di ammettere le proprie stanchezze, certi di essere accolti e capiti. Allo stesso modo bisogna fidarsi dei propri peer per un progetto comune, a cui lavorare tutti insieme. Far parte di un’organizzazione significa riconoscersi nei suoi valori e nel suo significato.
Che cosa le dà energia nella vita?
Mi dà energia la dimensione relazionale, che vuol dire tanto gli affetti quanto l’idea di poter fare qualcosa che vada oltre l’attualità stretta. Le due cose non sono separate. Dobbiamo fare tutti qualcosa per noi e per il domani: se ci muoviamo per il futuro, è perché ci auguriamo resti qualcosa per le persone alle quali vogliamo bene.
Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.