Giovanni Vota
Giovanni Vota

Energia, Dharma e talenti: cambiare la realtà con la fisica quantistica

Giovanni Maria Vota, torinese, ingegnere elettronico e informatico, già dirigente in aziende multinazionali e imprenditore, si occupa di tutto ciò che riguarda “la possibilità di crearsi la propria vita attraverso le moderne scienze e tecnologie, a partire dalla fisica quantistica, e le antiche spiritualità”. Si sia individui, gruppi e organizzazioni.

E proprio a queste ultime ha dedicato il suo più recente libro ‘L’azienda quantica’.
Da qui partiamo per la nostra chiacchierata, che attraverso la fisica quantistica ci guida in una realtà fatta di energia, vibrazioni e informazioni, dharma, talenti e soprattutto della possibilità di trasformarla cambiandone la percezione. Come? Intanto, andando oltre la nostra ‘sopravvalutata’ intelligenza razionale.

“La fisica ti dimostra che tutto è materia, tutto è energia, tutto è informazione – esordisce Vota -. abbiamo quindi diversi modi di leggere la realtà: se la guardiamo come materia, la fisica quantistica ci dice che riusciamo a leggerne una sola informazione, mentre se la guardiamo come energia riceviamo fino a un miliardo di informazioni. Quando hai una informazione su un miliardo, che cosa sai? Ecco perché ragionare per energia e informazioni, invece che per materia: uno dei più grandi cambiamenti di vita che possiamo mettere in atto”.

Come si fa a ragionare per energia?

Einstein l’aveva già detto, tutto l’universo è energia, frequenza, vibrazione. Il campo quantico, il luogo delle infinite possibilità da cui tutto deriva, è fatto di infinitamente piccole unità, le ‘planck spherical units’ che prendono il nome del fisico Max Planck e che sono vibrazioni.
La materia non è altro che una frequenza talmente bassa che persino i nostri limitatissimi sensi fisici riescono a percepire. Nell’ultimo paio di secoli si è voluto legare tutta la materia al razionalismo e al meccanicismo, il che ci limita tantissimo. Gli antichi non lo hanno mai fatto, perché già sapevano che tutto è energia e informazione.

Che ruolo ha in tutto questo la mente razionale?

È la più limitata delle tre menti che abbiamo: a quella razionale, infatti, si aggiungono la mente subconscia e quella super conscia.

Tanto per capirci, il nostro cervello riceve circa 40 gigabyte di dati al secondo, 42 miliardi di byte, una quantità mostruosa di informazioni, di questi, alla mente conscia, razionale ne arrivano 2 mila. Sarebbe come dire che se un dvd (quando nel giurassico i film venivano distribuiti su dvd) conteneva un film, ovvero 4 giga, il nostro cervello, vede 10 film al secondo e alla mente conscia arriva… una pagina scritta. Quindi cosa conosciamo? Eppure, con queste informazioni lette dalla mente razionale giudichiamo, pianifichiamo, organizziamo, prendiamo decisioni.

Cos’altro ci dice la fisica quantistica per spingerci a un altro modo di vedere la realtà?

Uno dei due pilastri da cui si è partiti è il dualismo onda-particella, insieme al principio di indeterminazione di Heisenberg.
Nel primo caso, l’esperimento della doppia fenditura (condotto da Thomas Young nel 1820, ndr) ha dimostrato che la luce non ha natura corpuscolare e non è fatta da particelle che si muovono in linea retta, come sostenne Newton nel ‘600, bensì che la luce si comporta come un’onda. La natura è intrinsecamente onda e particella e in base a come tu l’osservi diventa materia. Noi esseri umani, ad esempio, non vedremo mai la natura ondulatoria, perché nel momento stesso in cui la osserviamo diventa materia.

Le certezze sono tutte illusioni

Il principio di indeterminazione di Heisenberg, invece, ci dice che non possiamo conoscere contemporaneamente posizione e velocità: come dire che se sai che sei a Milano non sai a che velocità vai, se sai che vai a 100 km all’ora non sai dove sei nell’universo. Di nuovo, il risultato dipende dall’osservatore.

Nel modello di Copenaghen, Bohr e altri scienziati hanno definito che proprio per questi due principi la realtà non è conoscibile, ne possiamo solo avere una interpretazione.

Se la realtà non è conoscibile…

Quello che abbiamo detto fa crollare un altro principio: che noi sappiamo qualcosa, almeno a livello consapevole. Detta in un altro linguaggio, quello dell’analisi del profondo, noi abbiamo solo una percezione della realtà: tu hai una percezione di tua moglie, di tuo marito e di tuo figlio, così come dei tuoi clienti o collaboratori, ma non li conoscerai mai.

Lo vedo da molti anni quando, facendo coaching a marito moglie e tre figli, viene da me la moglie e mi chiedo se la persona di cui mi sta parlando sia il marito che ho incontrato il giorno prima. Non parliamo dei tre figli: sei genitori diversi, perché ognuno di noi ha la sua percezione, che non ha niente a che vedere con la realtà come tale. E in base a quella noi viviamo.

Sapere tutto questo ci aiuta?

Se la realtà è una percezione, ne deriva anche che la possiamo cambiare, trasformare.
Se per esempio ho una percezione che i miei clienti sono senza soldi e sono pochi, nella mia realtà mi creerò clienti senza soldi e pochi. Trasformando la percezione subconscia, cambia anche la realtà. L’ho verificato tante volte nella mia vita, sia da dirigente, sia da imprenditore, soprattutto quando ho iniziato a capire più a fondo questi meccanismi. È magia.

Lavorare sulla percezione è qualcosa che vale anche per le organizzazioni?

Quello che conta, lo dico anche per esperienza, è il singolo, l’individuo nella posizione in cui è. Per esempio, potrei essere un magazziniere in una azienda dove sono tutti arrabbiati e tutto va male, sono felice e a me tutto va bene e così per quelli che lavorano per me. Ovviamente, più si è in una posizione decisionale più si ha influenza.

Il tema fondamentale delle aziende è che sono gerarchiche, il modello gerarchico, che nasce dalla realtà militare, è inadeguato e l’ho verificato bene quando sono diventato direttore della Sun Microsystem Italia, nel 1988.

La Sun, californiana, faceva computer per l’allora nascente mercato Telco Internet, che costavano già milioni di dollari. Il mio capo, un illuminato, Mauro Banchero, già mio direttore in IBM molti anni prima, mi chiama e mi dice: “L’obiettivo è farci diventare il fornitore numero uno delle nostre tecnologie presso le società di telco, ma, rispetto agli altri, tu hai da un decimo a un centesimo dei soldi e delle persone. Buon lavoro”.

Come hai trasformato l’organizzazione in una ‘azienda quantica’?

Questo mandato mi ha fatto riflettere molto. La Sun era uno spin off dell’Università di Stanford, quando andavo nell’head quarter mi imbucavo a Stanford per studiare e cercare ispirazione perché mi era chiaro che dovevo trovare qualcosa di assolutamente diverso, o non ce l’avrei fatta, non poteva funzionare nessun sistema gestionale organizzativo aziendale standard.

Lì, ho scoperto due cose: Jung, un genio totale, che ho studiato sia nella parte esoterica sia psicanalitica, e Daniel Goleman, che da poco aveva annunciato il suo concetto di intelligenza emozionale.

Dalla gerarchia ai nodi di competenza

Su quella base ho creato un modello aziendale completamente nuovo, chiamato Practices che poi Banchero ha voluto implementare in Italia. La Sun era una azienda piccolina, 600/700 persone, gli americani ci hanno monitorato per sette anni e dopo sette anni hanno deciso di estendere il nostro modello in 40 Paesi, noi portavamo il 20% di utile netto in più di qualunque altro paese al mondo.

Com’era il modello?

Ho cancellato qualunque gerarchia, con un modello a rete dove i singoli nodi erano di competenza: il nodo degli esperti di rete, quello degli esperti di software, eccetera, con alcune semplici regole, a partire dal fatto che le persone dovevano essere intercambiabili.

Nelle aziende c’è un tema antico, che chiamo il single point of failure: c’è una persona, l’unica a sapere una cosa e se la tiene ben stretta, ritiene di essere indispensabile ma è un disastro, perché se si ammala o se ne va c’è un problema per l’azienda e, se un domani volesse cambiare, lei stessa sarebbe in difficoltà. Nella ‘practice’, tutti dovevano avere lo stesso livello di competenze del più bravo, il che risolveva un altro punto: la condivisione delle informazioni, un must per avere persone interscambiabili.

Inoltre, rendeva estremamente dinamico il modello: in trattative complesse che iniziavano, si interrompevano magari per sei mesi e poi riprendevano, mentre la persona che le stava seguendo stava facendo altro, c’era qualcuno in grado di subentrare. Anche in ambiti estremamente sofisticati, come quello dove operavamo noi, andava alla stragrande.

Dai people manager ai focal point

A gestire queste Practice non ho mai messo people manager, ma quelli che chiamavo focal point.
Se per fare una cosa ‘semplice’ come l’ingegnere studi dai 5 agli 8 anni, nelle aziende accade che qualcuno che, per esempio, perché è il più bravo di tutti a disegnare viene messo a gestire le persone. Mentre servono anni di studi: per nominare il primo people manager, ho impiegato 6 anni, ha lavorato accanto a me dovendo studiare psicologia, risorse umane… niente a che vedere con l’HR che spesso diventa una struttura burocratica.

Diventare leader con un centesimo delle risorse degli altri.

Ci possono essere molte soluzioni migliori, come ho fatto io? Mi sono detto, ho un centesimo, ma se ogni persona che lavora con me vale infinito il problema è risolto. Come si fa affinché una persona, valga infinito? Attenzione, non ‘lavori’ infinito, a me non interessa quanto lavora, bensì ‘valga’ infinito.

Da ingegnere, anche telecomunicazionista, la risposta è stata semplice: un sistema vale infinito quando è sulla sua frequenza di risonanza. E come fai a far si che una persona sia sulla sua frequenza di risonanza? Molti anni dopo avrei scoperto che accade quando una persona è nel suo Dharma, tradotto dal linguaggio orientale, quando una persona fa quello per cui ha capacità e talenti e che si diverte a fare.

Tre curve per misurare le persone al lavoro

Se prendi qualcuno e lo metti a fare cose che non gli piacciono, non gli interessano, diventano faticose, uccide la sua vita e uccide l’azienda. Mettevo il lavoro sulle persone, non le persone sul lavoro e le persone erano felici, fluivano.

Le misuravo su tre curve: primo quanto guadagnavano, perché è fondamentale che le persone guadagnino meglio possibile. Puntavo a dare il massimo di stipendi e benefit che mi era concesso a tutti e ho separato i livelli da contratto rispetto a quello che facevano; per esempio, ho nominato tantissimi dirigenti, ma nessuno gestiva persone, se fai bene il tuo lavoro, te lo meriti, ti do la dirigenza e tutti i benefit, ma non per questo ti faccio gestire persone, non è il tuo mestiere, ti farei un torto.

Seconda curva fondamentale: quanto imparavano. Mi muovevo in un mercato, quello dell’informatica, che segue la legge esponenziale di Moore secondo cui in due anni, e ogni due anni, tu o sei ricco o sei sulla strada. È mandatorio che tu continuamente impari e apprenda, per ogni persona, quindi, osservavo quanto stavano imparando.

La terza?

Quanto si ‘divertivano’, cioè quanto stavano bene a fare il loro lavoro. Avevo una regola non detta, volevo che le persone stessero meglio in azienda che a casa. Qui, la gestione delle persone, il capirle a fondo, l’essere empatici, sapere davvero cosa sentono e sciogliere il conflitto diventa fondamentale.

Consentire agli altri di stare nella loro frequenza di risonanza. Spesso non ci arriviamo nemmeno per noi stessi.

Infatti, se non lo fai su di te non lo puoi fare sugli altri. “Nosce te ipsum”, già scritto sulla roccia del tempio di Delfi, resta valido più che mai.

In una bella intervista apparsa su Wired, mi pare nel dicembre del 2018, i due guru dell’intelligenza artificiale di Google, due giovani orientali, hanno detto chiaramente che con l’intelligenza artificiale è stato “hackerato” l’essere umano. Cosa vuol dire, che loro sono in grado di prendere il controllo mentale ed emozionale delle persone, senza che queste se ne accorgano, ti fanno pensare e provare qualcosa che tu pensi sia roba tua, ma non lo è minimamente e questo avviene ormai a tanti livelli.
L’intervistatore ha chiesto loro, ‘come evitate di essere hackerati?’ e la risposta è stata lapidaria: non guardiamo la televisione, non leggiamo i giornali, non abbiamo il cellulare; meditiamo due ore tutti i giorni; lavoriamo costantemente su noi stessi, perché se c’è un programma di intelligenza artificiale che ti conosce meglio di quanto tu conosci te stesso, avrai problemi.

Nosce te ipsum…

Qual è l’ostacolo più grande che trovi nel diffondere questo messaggio.

Il nostro essere razionali, l’incubo con cui vengono programmate le persone e tutta la scuola, mentre, ripeto, la mente razionale è limitante e limitata. Se non passi al cuore, alle emozioni, non ne vieni fuori, soprattutto oggi. Già nell’85 ai miei studenti del Politecnico ricordavo due cose: primo, guardate bene la legge di Moore tutte le mattine perché, come dicevo, in due anni e ogni due anni o ti fa ricco o ti mette sulla strada. Nell’85 riguardava giusto chi faceva informatica, ma oggi che l’informatica è pervasiva anche nelle magliette, riguarda tutti.

Secondo, tutto quello che potrà fare un robot, lo farà un robot, ed è quello che sta avvenendo; robot vuol dire, robotica più intelligenza artificiale. Nell’84/85 giocavo con i primi reti neuronali, oggi le potenze di computer dovute alla legge di Moore sono tali per cui te lo trovi su un cellulare. Se noi siamo in una società che sta cambiando esponenzialmente tutto, non puoi affrontarlo con risorse lineari, sei morto. La domanda è, abbiamo noi risorse esponenziali?

Accedere alle proprie risorse esponenziali

La risposta è sì, noi abbiamo una sola risorsa lineare, la mente razionale, e tantissime risorse esponenziali: l’intelligenza emozionale, l’intelligenza sociale, il nostro cuore, il nostro Dharma, i nostri talenti unici e speciali; abbiamo molte più risorse esponenziali che lineari.

Peccato che per passare alle risorse esponenziali devi radicalmente cambiare il tuo modo di pensare e passare dall’emisfero sinistro razionale, all’emisfero destro, emozionale, quello dell’intuito, della fantasia, dell’empatia. Quindi, devi smontare il modello meccanicistico, razionalistico che non ha nessuna base oggi, neanche più fisica e scientifica.

Ci sono aziende che prosperano con modelli differenti e muovendosi in ambienti e settori dannosi per le persone. Come la spieghiamo?

Dipende dal tuo obiettivo di vita. Se il tuo unico obiettivo è fare soldi o il potere, in quanto dominio sugli altri, ce ne sono tanti così.

Ma se il tuo obiettivo è realizzare chi davvero sei, in quanto essere umano dotato di anima, di un corpo fisico e di emozioni, quindi, un essere eterno che è qui per un preciso obiettivo di vita e non solo avere soldi o potere, allora sto parlando a te. Una vita dove realizzi i tuoi talenti unici e speciali, vivi in pace e serenità, in amore gioia e gratitudine, con abbondanza di amore, economica e benessere.
Domanda: cosa vuoi dalla vita?

Grandi dimissioni, demotivazione, ritorno ai luoghi di origine, forse è una domanda più diffusa di quanto pensiamo.

È il tema dell’essere umano incarnato su questo pianeta, in questo momento, vale che tu faccia l’amministratore delegato, l’autista o altro, è una tua scelta personale e nessuno la può fare per te.

Cosa sono le credenze subconscie e come si fa a farle funzionare bene?

Torniamo ai 40 gigabyte di informazioni che il nostro cervello riceve ogni secondo, che fine fanno? Se alla mente razionale arrivano 2 mila byte, tutto il resto va a finire nel nostro subconscio, che non dimentica assolutamente nulla. Cosa ci troviamo lì dentro? Tutto quello che abbiamo vissuto, dal concepimento a oggi, tutto… se per esempio quando eri in utero di tua madre lei aveva ansie o paure te le porti dietro; se nel momento del concepimento tua madre era arrabbiata o tuo padre non ti voleva, ti porti dietro dinamiche a vita.

Non solo il subconscio ha tutte le memorie ma è anche 500 mila volte più potente della mente conscia, per cui se da piccolo tuo padre ti diceva sei un fallito, tu ti dici ‘voglio avere successo’ e ti impegni con la mente razionale, ma fallisci. Perché? Perché nel tempo in cui dici razionalmente voglio avere successo, il tuo subconscio, per 500 mila volte con la voce di tuo padre, ti ricorda che sei un fallito.
Uno a 500 mila, non c’è partita.

Il potere del subconscio

Tutto quello che hai vissuto sono memorie attive, che continuamente si muovono in ogni istante della tua vita. Per via genetica, poi, noi ereditiamo non solo colori degli occhi, dei capelli dei nostri genitori e antenati ma tutto il loro vissuto. Nelle tradizioni esoteriche si parla di sette generazioni, nella mia modesta esperienza di coach direi da Adamo ed Eva. Esempio classico, lo vedo su tutte: sono una donna giovane e moderna voglio essere autonoma, faccio sesso, carriera, potrei chiederti ma tua madre, tua nonna, la tua bisnonna, cosa dicono di te? Posso andare a testare cosa c’è nel tuo subconscio, ti dicono come minimo che il tuo compito è obbedire al marito e fare figli maschi, con un evidente conflitto subconscio che poi si può manifestare sul piano fisico con cisti ovariche, noduli al seno eccetera.

Ci fermiamo qui?

… ci sono le tue vite passate parallele, uno può dire io non ci credo, non ha importanza che ci si creda o meno, perché nel subconscio ci sono veri e propri film, se uno di questi dice che se diventi ricca ti ghigliottinano, tu ti dai da fare, ma a un certo punto perdi tutto perché una parte di te dice, già una volta mi hanno tagliato la testa, questa volta sai la novità? Preferisco perdere i soldi.
E, infine, dove vivi? Vivere e nascere in Italia crea delle convinzioni diverse dall’essere in Brasile, la cosa è talmente evidente che quando vai all’estero, arrivi all’aeroporto, alla frontiera e senti un’aria diversa, quella che percepisci è la differenza tra le credenze che hai perché vivi in Italia e quelle del luogo. Tutto questa roba è lì nel subconscio viva, attiva e potente.

Jung l’aveva detto chiarissimamente:

rendi cosciente quello che hai nell’inconscio altrimenti sarà lui a dirigere la tua vita e lo chiamerai destino

La buona notizia è che possiamo farlo.

Monica Bozzellini
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale

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