Valerio Maria de Stasio

Environmental, Social & Governance (ESG): investire etico, marketing o… beneficenza?


A cura di Monica Bozzellini

ESG, acronimo diventato protagonista nel mondo del risparmio e dei mercati finanziari. Una delle tante mode passeggere sui mercati finanziari, o un veicolo di valori nuovi nel mondo della finanza? O ancora, iniziative velleitarie da parte di aziende, stati e investitori per darsi semplicemente una patina ‘green’ ?

Per parlarne, abbiamo girato le domande a Valerio Maria de Stasio, Founder & Senior Partner di Meridian – Società di consulenza finanziaria indipendente: uno sguardo il suo che, pur basandosi sulla competenza finanziaria, qui allarga le maglie dell’osservazione per cogliere e provare a spiegare, qui di seguito, il fenomeno a una platea allargata.

Tra prese di coscienza e transizione finanziaria

ll termine ESG va tantissimo. Quasi non si sente parlare d’altro nel mondo del risparmio e dei mercati finanziari. Parliamo di investimenti in titoli di aziende che operano secondo criteri di sostenibilità ed etica, prendendo in considerazione fattori ambientali, sociali e di governance.
Più precisamente, si tratta di scelte d’investimento che non mirano soltanto al ritorno economico, ma devono rispettare anche i tre pilastri ESG: ‘Environmental’ (E), cioè focus su ambiente, rischi climatici, scarsità di risorse naturali; Social (S), ovvero attenzione ai lavoratori, alla sicurezza (anche dei dati) e ai rischi associati ai prodotti e servizi venduti; e, infine, Governance (G), che riguarda l’etica del business, l’allineamento tra i valori dichiarati e l’operato, la composizione dei consigli d’amministrazione, la retribuzione del top management, la parità di genere (numero uguale minimo di donne e minoranze etniche o di orientamento sessuale nei consigli di amministrazione)”.

In sintesi: se non sono una moda, davvero allora uniscono l’idea di risparmio e investimento a quella di responsabilità verso il nostro pianeta e la società? E poi, quanto ci si può aspettare di guadagnare in più o in meno rispetto ad un investimento analogo ma non ESG?
Proverò a dare una risposta dal punto di vista di chi “sta” sui mercati finanziari da oltre 25 anni e, di mode, ne ha viste parecchie.

Personalmente penso che, quelle sull’utilità degli investimenti ESG, ormai siano in larga parte domande retoriche. La verità è che è in corso una presa di coscienza generalizzata – e una transizione finanziaria ed economica – verso un’economia più attenta e resiliente verso i temi ESG.

La scienza ha senza alcun dubbio evidenziato i rischi strutturali che il riscaldamento globale pone per la società e gli investitori. E non si può negare che ci sia molto di buono da ottenere lavorando sul sociale – si pensi al vasto tema delle disuguaglianze – e sulla governance delle imprese.
Perciò, posto che il mondo si muove in larga parte grazie al denaro, ‘investire ESG’ significa convogliare i flussi di risparmio nella direzione più giusta secondo i criteri di responsabilità ambientale, sociale, di governance.

Ho volutamente usato una frase provocatoria, ovvero “il mondo si muove in larga parte grazie al denaro”: ma è provocatoria proprio per spingere il lettore a interrogarsi sul perché le aziende dovrebbero fregiarsi dell’acronimo ESG.
Innanzitutto, le aziende si quotano in borsa (e noi ne possiamo comprare le azioni e ne diventiamo soci), o emettono obbligazioni (e noi le possiamo comprare e diventiamo creditori) perché hanno bisogno dei mercati finanziari per finanziare i loro piani di sviluppo.

Cambiare prospettiva

Nella mia professione ho sentito troppe volte usare termini quali ‘giocare’ in borsa e ‘speculare’ in borsa. Ma è esattamente l’opposto di quella che è la realtà.
Le borse azionarie, e in misura minore i mercati obbligazionari, sono dei luoghi fondamentali per lo sviluppo di un’economia moderna. Le aziende possono decidere di emettere delle azioni e far diventare loro soci comunissimi risparmiatori come siamo noi, chiedendo in cambio i loro soldi perché e un modo molto efficiente di raccogliere denaro, invece che chiederlo in prestito alle banche ad esempio.

Oppure si chiede in prestito denaro direttamente risparmiatori emettendo delle obbligazioni, con le quali si remunerano i risparmiatori con un tasso di interesse (ad oggi questo tassi di interesse è praticamente pari allo zero, ma questo è un altro discorso).

Si è però spesso portati a pensare che i mercati finanziari siano un coacervo di speculatori, squali e avvoltoi che pensano solo ad arricchirsi sulle spalle altrui. Indirizzati, in questo senso, dalla stampa cosiddetta ‘finanziaria’ che scrive articoli a caratteri cubitali e con grandi punti esclamativi su eventi di pura speculazione avvenuti sui mercati finanziari: ad esempio, il recente fallimento delle banche italiane, i ‘crolli’ dei mercati, il fallimento di paesi come la Grecia, gli hedge funds che portano al fallimento l’Argentina, i bond Cirio, Parmalat, Venezuela e tanti altri. Questo perché vendono più pubblicità facendo cliccare sull’articolo in questione.

Non ho mai letto, personalmente, articoli che descrivono come, se si fosse investito 10 anni fa – rimanendo poi investiti nelle azioni delle più grandi aziende americane (tramite l’indice azionario S&P500 o anche, più semplicemente, il più quotato Dow Jones Industrial) – si sarebbe più che raddoppiato il capitale investito. E come si sarebbe ricevuto, ogni anno, anche un 1.8% di dividendi in conto corrente. Questo non fa notizia (oltre a far perdere il lavoro a parecchi giornalisti finanziari, perché non saprebbero più di cosa scrivere).

Ho fatto questa digressione solo per spiegare che investire in borsa è, paradossalmente e dal mio osservatorio, un atto già ‘etico’ da parte del risparmiatore e degli investitori, piccoli e grandi: perché si dà la possibilità ad aziende di finanziarsi in maniera trasparente e diretta, di poter crescere e assumere nuovo personale e permette altresì di creare valore e ricchezza per tutta la società nel suo complesso.

Crescere eticamente

Se poi vogliamo aggiungerci, all’atto dell’investimento in borsa in quanto etico, anche la volontà da parte di queste aziende di dare un contributo fattivo alla società tramite i criteri ESG, entriamo in un terreno completamente nuovo e per certi versi molto entusiasmante.
Perché forse si riesce a coniugare quella necessità di sentirsi maggiormente ‘etici’ da parte di molti investitori con la necessità – e la volontà – di far crescere il proprio capitale.

Quante volte mi sono sentito porre la domanda: “Valerio va bene guadagnare, ma mi piacerebbe poter dare qualcosa alla società tramite i miei investimenti …”.
E, quindi, sia per una spinta dal basso che dall’alto (l’ONU, la COP 21 di Parigi), sono stati creati i criteri ESG per le aziende: che ora devono scegliere se sposarli in pieno e presentarsi al mercato come tali, oppure rimanerne fuori e perdere accesso a quel flusso di capitali che permette loro di finanziarsi in maniera costante e a basso costo come ho spiegato sopra.
Ecco che, finalmente, si coniuga in maniera forse soddisfacente la volontà di restituire qualcosa alla società tramite propri investimenti.

Big Tech, un punto interrogativo

Investire in aziende ESG è l’uovo di Colombo?
Ed è qui che bisogna fare molta attenzione: perché se è pur vero che a oggi non ci sono entità terze che certifichino che un’azienda veramente rispecchi i criteri ESG (anche perché non vi è uno standard ben definito), è pur vero che l’industria del risparmio e degli investimenti e si è buttata a capofitto sul lanciare prodotti con l’acronimo ESG.

Investire in fondi o Etf ESG non necessariamente significa investire sul mercato globale delle società belle, brave e intrise di etica. Questo naturalmente è quello che cerca e cercherà nei prossimi anni da far passare come messaggio il tam tam del marketing sempre molto attento dell’industria finanziaria.

Il Financial Times in un articolo di agosto dell’anno scorso aveva già messo a nudo l’abbondante esposizione dei fondi ESG ai giganti del tech americano. Dai FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google) non si prescinde insomma. Se non si hanno in portafoglio questi titoli, i fondi ed ETF ESG non si performa per niente.

E quindi: è proprio necessario un patto con il diavolo pur di non perdere terreno contro i tradizionali indici? Pensare che Amazon, Apple, Facebook, Google e compagnia bella possano essere società linde è un’utopia. Le controversie su condizioni di lavoro, rispetto della privacy, monopoli vari, fioccano in ogni parte del globo.

Ma i gestori di fondi ESG, che hanno ormai raccolto oltre 1 trilione di dollari a livello globale, non possono investire in azioni senza considerare questi giganti che di fatto hanno trascinato Wall Street sui massimi storici acquistando ormai oltre un quinto dell’intera capitalizzazione di borsa.
E così 8 dei 10 fondi che investono nelle aziende americane con etichetta ESG hanno Amazon, Apple e Microsoft tra le top ten delle società possedute in portafoglio. Infatti, oltre il 17% del portafoglio è mediamente investito nelle società FAANG: una differenza di poco conto rispetto al 23% dei fondi tradizionali.

Ognuno può naturalmente trarre le sue conclusioni ma ricordo che le 4 sorelle (Facebook, Amazon, Apple e Google: Netflix e Microsoft no e non si capisce ancora il perchè) sono anche state ingaggiate dal Congresso americane proprio a luglio 2020 per rispondere di accuse ben precise sulle loro posizioni dominanti e monopolistiche.

La mia sensazione è che presto o tardi le sorelle diventeranno quello che erano i giganti petroliferi negli anni ’70 monopolizzando o rendendo oligopoli intere fette di business che, a quanto pare in Covid-era, sono le poche che fanno soldi. Ma di questo aspetto, la fondamentale funzione dell’anti-trust americano, parleremo eventualmente in un altro articolo.

Questo approccio, mettere dentro tutto e di tutto negli strumenti di investimento, è molto pericoloso, come è molto pericoloso ingannare gli investitori con delle semplici etichette che poi racchiudono tante eccezioni capaci di generare anomalie come queste.

L’ideale del filtro ESG è qualcosa di positivo, che sono convinto produrrà effetti virtuosi nel medio periodo, ma oggi la maggior parte dei prodotti è ancora troppo acerba per poter essere considerata  perfetta al punto da farci dire tranquillamente che stiamo investendo in società veramente in linea con questi ideali.

ESG checking

Un consiglio che mi sento di dare quando chiediamo o ci viene offerto dal nostro consulente un fondo ESG, è di verificarne sempre la storia.

Abbiamo di fronte un fondo che effettivamente ha sempre fatto della sostenibilità un suo mantra? Oppure ci stanno rifilando un fondo rottamato che viene da una storia di in-successo? E re-impacchettato con un bel bollino ESG per farci sentire etici?

Fortunatamente nel 2021 una regolamentazione più accurata e speriamo indipendente (da parte dell’Unione Europea) metterà fine a un certo grado di aleatorietà che i vari indici si stanno prendendo nella composizione. E anche questo sarà un elemento positivo in grado di far maturare il fenomeno ESG che, volenti o nolenti, starà con noi per diversi anni.

Quando investiamo è comunque sempre meglio ragionare con la propria testa e non fidarsi del marketing finanziario che ogni giorno cerca di catturare l’attenzione dell’investitore medio allontanandolo da quei gesti e soprattutto quei prodotti semplici e a basso costo sufficienti per raggiungere gli obiettivi di lungo periodo.

In conclusione, ed è naturale che sia così, il tema che tiene sempre banco negli ultimi tempi è se investire in ESG “renda” più di investimenti tradizionali. Premesso che non tutto deve essere misurato in performance ma, come in questo caso, anche in valori, è ovvio che veder soddisfatti i propri ideali va bene, ma (per la natura stessa dell’obiettivo che persegue la finanza) non a un costo esagerato. È, quindi, importante che l’ESG tenga il passo del tradizionale.

Sulla base di dati storici piuttosto rappresentativi si può stare tranquilli: se investite secondo principi ESG non state facendo beneficenza. Anzi, ci sono decenti probabilità di fare meglio che con investimenti tradizionali. Naturalmente, a parità di costi – ricordate che questi sono dati di indici, mentre i fondi comuni e gli altri prodotti di risparmio gestito possono presentare differenze di costo tra analoghi prodotti di tipo ESG e non – ergo consiglierei di leggere bene la documentazione informativa alla voce ‘Costi’.

Ovvio che alcuni settori e fattori non siano rappresentati negli investimenti ESG (es. armi e difesa), il che significa che a seconda del loro andamento, in futuro la dinamica degli investimenti ESG può essere diversa da quella di investimenti che contengono forti esposizioni a quei settori o fattori. Ma, vista l’imponente trasformazione dell’economia nel senso della sostenibilità, si può essere ottimisti, e pensare che un numero sempre maggiore di aziende di grande qualità e di tutti i tipi e settori rientrerà nei portafogli ESG: a tutto beneficio delle performance ottenute e del rischio sostenuto.

In conclusione

In chiusura, mi sento di fare una serie di considerazioni, di carattere forse più filosofico che finanziario su questo tema:

  1. Investire ESG e investire sostenibile sono ormai sinonimi, ma bisogna vedere esattamente cosa c’è ‘dentro’ lo strumento che sostiene di investire in aziende ESG: quindi attenzione a leggere bene il prospetto informativo.
  2. Investire è già di per sé ‘etico’, ma il mondo degli investimenti (dai piccoli risparmiatori ai grandi fondi di investimento e fondi pensione) sta spingendo in maniera compatta e coesa le aziende a riconvertire il proprio modello di business verso pratiche più sostenibili per l’ambiente e per la società.
  3. E non a scapito del profitto, tanto vituperato da chi crede che investire ‘etico’ significhi che non bisogna guadagnare: tutt’altro, le aziende si sono rese conto che questa spinta ‘green’ migliora i processi produttivi e decisionali e rende le aziende più ‘inclusive’, aggiungendo, nel management, capacità e conoscenze di fette e strati della popolazione prima esclusi.

Chiudo con una risposta a una domanda ben specifica: “Le società che nascono con un dna sostenibile o scelgono di trasformare il proprio in quella direzione  si tengono spesso (sempre?!) lontane dalla finanza?
Direi proprio di no: la finanza non è il male assoluto e, anzi, stiamo forse trovando il giusto connubio tra aziende che vogliono operare in maniera sostenibile e la domanda degli investitori che desiderano investire in maniera più etica e sostenibile. E sono molto ottimista sull’incontro efficace tra questa domanda e offerta: il profitto passa anche da modelli di business nuovi e i mercati finanziari saranno il veicolo per favorire, incentivare e accelerare questo cambiamento.

Sta a noi, consulenti e investitori, convogliare in modo efficace e poco costoso il nostro  risparmio verso le aziende paladine di questo cambiamento epocale.

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