Ha vissuto il passaggio generazionale dentro e fuori l’azienda di famiglia, contribuendo al rebranding internazionale di Nuceria Group in All4Labels. Si definisce ‘figlia di un’impresa’, ma ancor prima di un padre “che non ha mai messo un’asticella bassa rispetto al concetto di successo”. Cresciuta “con un modello di un uomo insaziabile nella sua voglia di costruire, progettare, realizzare”, Paola Iannone è oggi Head of Marketing & Communication di All4Labels, multinazionale produttrice di etichette e packaging con sede ad Amburgo, 30 stabilimenti e circa 3000 dipendenti in tutto il mondo.
“Si è comunicatori quando gli altri ci comprendono – racconta -, la comunicazione deve essere accessibile. Comunicazione positiva significa arrivare alle persone e farle stare bene all’interno di un’impresa. Questo presuppone la disponibilità a utilizzare un linguaggio che sia chiaro a tutti e a soffermarsi su chi ha bisogno di semplificazione”.
Inclusività e gender equality. Sono temi la cui consapevolezza si sta sempre più diffondendo. Da imprenditrice, quali sono le azioni concrete da mettere in campo nella propria azienda a supporto di una reale uguaglianza di genere e valorizzazione della diversità?
Occorre agire sulla cultura aziendale: qualcuno la chiama employer branding, in realtà si traduce nel benessere dei dipendenti nel posto di lavoro. Tutto è collegato all’inclusione, che non è solo di genere, ma da intendersi in senso lato. Il tema del genere ci appartiene e ci riguarda, io sono una donna fortunata, eppure ho dovuto scontare una serie di pregiudizi legati al fatto che ero la figlia dell’imprenditore; ho subito delle avances perché a volte la mia empatia è stata fraintesa, come è successo a me sarà successo ad altri. Il gap esiste, sono molte le organizzazioni che oggi utilizzano il tema come green washing.
Intanto, comunque, ne parliamo, la consapevolezza può svegliare le coscienze; stimoliamo una condizione che può aiutare le giovani donne che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro. Quello che la nostra azienda sta facendo è investire nella flessibilità. Dobbiamo occuparci delle mamme, che all’interno della categoria rappresentano il cluster più fragile. Andrebbe fatta una mappatura delle donne che compongono l’organigramma aziendale per definire quali siano le loro esigenze. Ci vuole una grande lucidità nel conoscere la propria realtà, nel voler realmente attuare il cambiamento con delle proposte che siano mirate per ciascun target aziendale. Occorre offrire un supporto concreto ed economico nei confronti di quelle lavoratrici che oggi, specialmente nel Sud Italia, devono poter continuare la propria carriera senza dover, per esempio, preoccuparsi di dove lasciare i bambini. In fin dei conti, parliamo di cose pratiche (sorride ndr).
Qual è il ruolo della formazione in azienda e quanto contribuisce all’espressione del talento?
Bisogna fare una differenza tra il talento che deve essere acquisito all’esterno e quello interno all’azienda, che già esiste ma è celato. Spesso oggi si commette l’errore di andare a cercare le risorse all’esterno, attraverso questo tipo di scelta si rischia di penalizzare l’opportunità di fioritura di ciò che si ha in casa. Questa è una grande perdita per l’azienda. Innestare competenze diverse è un’opportunità per arricchirsi di modelli ed esperienze e per stimolare una sana competizione, è pur vero che chi viene da fuori deve avere il tempo di apprendere il processo produttivo e la realtà organizzativa. Si rischia di mortificare, anche attraverso politiche economiche, i talenti che si hannoall’interno.
Stimolare una cultura della meritocrazia
Per me non esiste attività più gratificante a livello personale delloscoprire i talenti che ci sono nella mia organizzazione. Ognuno ha delle attitudini: l’operatore di back office potrebbe scoprire di possedere skill commerciali o di customer care, di proattività e problem solving e potrebbe diventare, ad esempio, un ottimo venditore. È necessario investire nella formazione perché si fanno crescere persone e si crea una cultura della meritocrazia che produce efficienza in tutta l’azienda. Quando i collaboratori crescono all’interno, diventano i veri leader dell’organizzazione.
Come si crea una cultura aziendale orientata alla responsabilità sociale e individuale?
Uno dei lavori che ho fatto è stato quello di ridisegnare la strategia di All4labels, ed è stato molto complesso. Da un punto di vista di comunicazione, l’obiettivo era scriverne il significato, creare uno storytelling e fare un brand manifesto attraverso una metafora che abbiamo scelto essere quella dell’esplorazione dello spazio. All4Labels infatti è un brand pioniere che crede molto nell’innovazione e nello sviluppo delle tecnologie. Durante questo percorso mi chiedevano quali fossero i valori di Nuceria. In realtà la mia azienda familiare non ha mai avuto valori segnati sul muro, erano talmente parte della nostra identità e del modo in cui noi ci comportavamo tutti i giorni con clienti e stakeholder che non avevano bisogno di essere scritti. Penso che il tema della cultura aziendale sia ancora poco potente, solo se unisci tutte le persone a un set di valori aziendali puoi pensare di portarle verso una strategia e un obiettivo comune.
L’impresa e il territorio
Questo è un movimento che va promosso e vissuto con l’esempio. E arriviamo alla responsabilità, tema che sento molto. Sono nata e vivo a Salerno. Nel Sud Italia l’imprenditore viene visto quasi come una figura patriarcale. L’impresa è un bene prezioso. C’è un grande riconoscimento e affidamento all’impresa, non solo da un punto di vista retributivo ma anche assistenziale. L’imprenditore è inteso come colui il quale ci si affida per una consulenza. Questo rinsalda il legame che c’è tra impresa e dipendenti in maniera quasi viscerale e fa sì che l’azienda abbia successo. Il successo di un’impresa è fatto non solo da investimenti, tecnologia e fatturato, ma da persone che ogni giorno si impegnano per far sì che questo accada. Non esiste industria 4.0 senza persone che ogni giorno fanno squadra.
La fiducia nell’azienda
Questo significa vivere con assoluta empatia la relazione con i nostri dipendenti in un contesto che non sia meramente aziendale. In caso di nuove assunzioni, valorizziamo i figli dei dipendenti, perché si crea un ricambio generazionale in azienda che produce valore e una redemption aziendale molto alta. Responsabilità per noi significa prenderci cura delle persone in senso lato, aiutare ad esempio i figli dei nostri operai a studiare. L’ultimo Edelman Trust Barometer (clicca qui per la notizia) delinea come la fiducia sia riposta più nell’impresa che nelle istituzioni. Questo è un dato che fa riflettere su quali siano le aspettative del cittadino nei confronti dell’impresa, sulla responsabilità che abbiamo e su come meritarla in modo generoso, per non sprecare l’opportunità di ascoltare le sensibilità delle persone che sono con noi.
Ha dichiarato di applicare lo stile dello human to human alle sue strategie di marketing. Come si traduce questo approccio in ottica di obiettivi e risultati?
Non c’è un vero paramento, un kpi misurabile. È fondamentale coltivare le relazioni. I brand e le aziende sono fatti di persone, quando ci si mette la faccia si è credibili. Abbiamo traghettato il rebranding senza perdere un cliente, perché ci siamo sempre esposti. Le persone si fidano delle persone. Ci sono tante storie di fallimenti ma anche di successi comuni che non fanno abbandonare quelle relazioni. Lo human to human non si misura, ma se non ci si sofferma al dato numerico e si va un po’ più a fondo, si trovano sempre dei segnali che quello che funziona è l’approccio basato sulle persone.
Come ha vissuto il passaggio generazionale nella sua azienda?
Sono figlia di un padre immenso, che da zero, è riuscito a creare un’azienda con 70 milioni di fatturato e 3 stabilimenti in Italia. La parola chiave del ricambio generazionale è il rispetto, che deriva dall’educazione. Bisogna entrare in punta di piedi, avere considerazione di tutti i collaboratori della prima guardia che hanno contribuito a creare un tale risultato. Il rispetto degli altri passa attraverso un set di codici comportamentali e valoriali che abbiamo avuto grazie a mia madre, che ha assolto in maniera egregia il compito dell’educazione. Io e mio fratello siamo stati fortunati, perché al momento del nostro ingresso il Gruppo si stava espandendo con la sede di Milano, e noi abbiamo fatto decollare lo stabilimento alle porte dell’Europa, il cuore dell’impresa italiana. Abbiamo avuto la libertà di poter seguire nostro padre in questo cambio da piccola e media impresa italiana a gruppo internazionale.
Poi il passaggio nel gruppo internazionale…
Non si ha il tempo in questi cambiamenti epocali della vita di fare una riflessione. Oggi gestisco budget molto importanti rispetto a prima, eppure sono sempre la stessa. Anche la mia è una storia di meritocrazia: facendo quello che mi piaceva di più, sono riuscita a farmi notare, mi hanno scelta e mi hanno promossa.
Come si coniuga il potere con la gentilezza?
Mia madre tutte le mattine mi manda un messaggio su Whatsapp e mi scrive ‘Sorridi :)’.
Intanto per me, perché la gentilezza non è solo quella che rivolgiamo agli altri ma anche quella verso noi stessi. Si può essere leader carismatica e potente se ti vuoi bene. Prendersi cura di sé e delle proprie passioni e non farsi prendere dal vortice delle richieste che non hanno valore, è un altro passo. Bisogna selezionare per sé le decisioni e gli attimi che fanno crescere. Dobbiamo dedicare a noi stessi cura e attenzione per poi pensare di dare agli altri. La gentilezza è donare, in azienda significa offrire sapere, supporto e formazione: tutto questo non si può fare se non concediamo a noi stessi la stessa attenzione nel comprendere quale momento stiamo vivendo, quali sono le priorità e le urgenze. È una forma di gentilezza che si fa a sé ma anche alla squadra.
Cura del sé, consapevolezza, amor proprio: con questa predisposizione si è in grado di dare agli altri quello che fa parte di ciascuno di noi.
Quali caratteristiche deve avere il nuovo modello di leadership al femminile di cui è esempio?
La mia leadership è di ispirazione. Credo nel sogno. Invito tutti a scoprire dentro di sé la luce che arde dentro. L’importante è tenere la curiosità accesa, che è quella che ‘mangia i draghi’. Cerco di stimolare negli altri quel senso di scoperta rispetto a quello che ci appassiona. Sprono tutti a non vivere mai all’interno di perimetri, altrimenti si perde l’opportunità di avere una prospettiva diversa, si inquina un luogo di lavoro e si demotivano le relazioni. Credo nella fluidità, nella flessibilità, nelle osmosi e nella crescita che avviene attraverso scambi che devono essere liberi, accessibili, ispiranti e coraggiosi.
Diversità come valore. Ad esempio: maschile e femminile, senior e junior, Nord e Sud.
Credo nell’unicità. Siamo tutti esseri speciali. Abbiamo bisogno di potenziare le diversità. Il Sud mi sta nel cuore, non saremmo chi siamo, se non fossimo nati qua. La mia responsabilità aziendale è ancora molto legata verso un mezzogiorno illuminato che deve credere nelle proprie potenzialità. Si può. Noi siamo il manifesto che è possibile.
di Serena Adriana Poerio
Giornalista, counselor a mediazione espressivo artistica e corporeo teatrale, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.