Flavia Brevi: nella fase “newrmalità” daremo un peso specifico diverso alle cose

Laureata in Comunicazione Interculturale per la Cooperazione e l’Impresa, Flavia Brevi è Head of Social Media di Cookies & Partners. Nel corso dei suoi 11 anni nell’agenzia di comunicazione ha lavorato per svariati brand, tra cui eBay, easyJet, LAV e Accendi luce &; gas Coop.
A ottobre 2019 ha lanciato sul suo blog un appello alle professioniste della comunicazione per unirsi e chiedere ambienti lavorativi inclusivi, una comunicazione libera da stereotipi e la parità di fatto. È nato così Hella Network, che a oggi conta oltre 500 partecipanti.

Come nasce la necessità di creare un network delle professioniste della comunicazione?

Negli ultimi anni abbiamo visto il mondo della comunicazione farsi sempre più attento alle tematiche di genere. Ho pensato che era arrivato il momento di fare un ulteriore passo avanti: da messaggi a politiche aziendali di empowerment. La parità si comunica anche con i fatti, cioè garantendo uguali riconoscimenti per uguali meriti lavorativi. 
Parlo di stipendi, ma non solo: secondo il rapporto del Centro Studi UNA, le donne rappresentano il 65% della forza lavoro delle società di comunicazione (negli altri settori è del 42%), ma nelle posizioni apicali il numero cala drasticamente al 36%.
Proprio noi non possiamo rimanere in silenzio di fronte a questi dati, ma agire da singole può cambiare le cose a livello personale, non collettivo.
A fine ottobre ho lanciato un appello per chiedere alle professioniste di superare le divisioni tra i vari ambiti della comunicazione e unirsi per una causa più grande. Finora siamo oltre 500 persone del campo della pubblicità, del marketing, del giornalismo e della traduzione, ma ogni giorno arrivano nuove richieste per partecipare a Hella Network. 

Quali i risultati e gli obiettivi che vi siete date all’interno del network?
Innanzitutto creare nuove sinergie tra le professioniste e mettere in risalto le loro competenze grazie al lavoro stesso che stiamo facendo per Hella (il naming, il logo, i post social e il futuro sito sono opera di diverse partecipanti). Alcune professioniste hanno già cominciato a lavorare tra di loro su dei progetti, ma per il futuro voglio organizzare anche appuntamenti formativi. Inoltre, mi piacerebbe che non solo noi come individui, ma anche aziende e agenzie firmino il nostro futuro manifesto per una parità di fatto e di fatti. Il settore della comunicazione ha l’opportunità di esporsi e dare un segnale forte al mondo del lavoro. 

Quali le nuove sinergie e iniziative che questo drammatico momento ha messo in moto all’interno di Hella, delle agenzie, delle aziende?
La voglia di collaborare tra partecipanti è tangibile nel gruppo di Hella, tanto che in questi giorni sono nati diversi progetti.
#iorestoqui è un’iniziativa di Marika Mangafà e Francesca Mudanò nata per invitare le persone a restare e resistere nella propria zona di Milano – iniziativa che è stata poi estesa ad altre città grazie all’adesione volontaria di altre creative e creativi.
Breakfast Club è il podcast di NEWU per ragionare sull’outdoor e sulle sue evoluzioni, questione più che mai interessante visto il periodo.
Per spiegare la situazione particolare che stiamo vivendo ai bambini, Ella Marciello ha scritto una storia in rima disponibile in due versioni, una illustrata da Alessia Tropeano e una da Federica Baldo.
Francesca Nobili, che lavora a Los Angeles, ha creato “Kids against Coronavirus”, una mini-fanzine da colorare disponibile in 17 lingue diverse, tra cui 7 dialetti italiani.

Questo momento potrebbe essere un’occasione per rivoluzionare anche la comunicazione. Il settore è pronto ad aprirsi ed evolvere verso una comunicazione più generosa e costruttiva? Ad abbandonare i linguaggi anni ’90?
Temo il ritorno della scusante: “ci sono cose più importanti a cui pensare” che di solito fa da apripista a una superficialità che stavamo abbandonando.
E quindi temo i passi indietro. Vedo un immaginario fatto di “uomini” di Governo, di donne che vengono invitate a truccarsi se lavorano in smart working, di autocertificazioni pensate solo al maschile (“Io sottoscritto…”) e sì, sono solo parole, ma abbiamo visto in questi giorni come le parole diventano pensieri e quindi azioni.

Una quotidianità, quella di tutti noi, bruscamente trasformata, da ricostruire con i gesti. Quale il compito della comunicazione, dei media e dell’informazione?
Ricordarsi che:

  • c’è un tempo per fare pubblicità e un tempo per comunicare. Questo non è il tempo di svendersi per qualche click o like in più, ma di essere semplicemente utili;
  • fare dell’ironia è una cosa serissima che solo pochi marchi potrebbero permettersi di questi tempi – ma quegli stessi che potrebbero, raramente ne fanno uso;
  • si comunica la propria partecipazione soprattutto con i fatti.

Cosa vuol dire lavorare da casa?
Lavorare da casa durante una quarantena non è come lavorare da casa in un giorno qualunque. Potersi gestire liberamente il proprio tempo è un grande vantaggio, ma discutendo con le altre partecipanti di Hella ho capito che per un genitore conciliare il lavoro con la cura dei figli è molto… Sfidante, per usare un eufemismo.
Infatti da una ricerca di Valore D è emerso che una donna su 3 lavora più di prima.

Il rapporto tra donne e lavoro ai tempi del Coronavirus: che cosa è cambiato finora, che cosa ancora cambierà, se cambierà?
Sappiamo già che ci sarà una crisi che varrà per tutti, uomini e donne.
Ma a parità di difficoltà non esistono ancora pari possibilità.
Questo significa che dovremo lottare con ancora più forza per i nostri diritti.

La pubblicità di Yamamay ‘Say sexysay Italy’ ha scatenato molte polemiche…
Immagino che se chiedessi a oltre 500 persone cosa ne pensano, non riusciremmo a trovare un pensiero unanime, né vorrei che il mio fosse rappresentativo di tutto un collettivo. 
Ho provato a guardare i commenti sulla pagina Facebook di Yamamay e, come sospettavo, le persone si dividono tra chi considera questa campagna inopportuna e chi la difende, complice anche il fatto che vendendo intimo “che altro si può fare?”.
Ecco, partiamo da questa domanda. Dal fatto che le persone non riescono a immaginarsi altro. Spetta a noi comunicatrici e comunicatori far vedere che un altro immaginario è possibile, anzi, che sono possibili più immaginari, se ci liberiamo di stereotipi e cliché.
Ci si prospetta un orizzonte dai confini incerti, è il periodo giusto per ridefinire tutto, soprattutto le nostre certezze, quelle scelte che finora abbiamo sempre fatto “col pilota automatico”. È un’impresa ardua, ma chi fino a qualche mese fa avrebbe prospettato che i più lussuosi marchi di moda si sarebbero dati alla produzione di mascherine, o che le aziende di alcolici si sarebbero riadattate per realizzare igienizzanti per mani?
Certo qui si tratta di un cambio culturale, più difficile ma altrettanto necessario se vogliamo evolvere. Credo che quando torneremo alla “newrmalità”, la nuova normalità, daremo un peso specifico diverso alle cose.

Ilaria Capua ha lanciato l’idea che siano proprio lle donne a trainare la ripresa…
Ilaria Capua ha sicuramente più autorevolezza e competenza di me, pertanto se dice che far rientrare prima le donne a lavoro può servire come “semaforo rosso” per il ritorno graduale alla normalità, sono propensa a darle credito.
A quel punto la comunicazione sarebbe sollecitata a rappresentare di più gli uomini fra le mura domestiche, un esperimento interessante.
Sappiamo però che i cambiamenti culturali non avvengono in maniera così repentina. La gestione della casa e dei figli viene ancora considerata a carico della donna, indipendentemente dal fatto che lavori o meno.

Come donna e come rappresentante di Hella siete soddisfatte della Task Force  voluta da Giuseppe Conte?
La composizione di quella Task Force, che vede solo 4 donne su 17 esperti, dimostra tutte le nostre falle culturali. Come ha scritto Giulia Blasi su Twitter, nessuno chiede di includere le donne “in quanto donne”, ma di smettere di ignorarle “in quanto donne” e lasciare che nelle stanze dei bottoni siedano solo uomini. Se vogliamo considerare le esigenze di tutta Italia, allora dobbiamo rappresentarla in maniera più aderente alla realtà. Altrimenti continueremo a disegnare un mondo su misura per gli uomini, ignorando metà della popolazione. 
E se questo vale nella politica, deve valere anche nella comunicazione.

Cosa si porterà e si ti terrà stretto nel postcovid?
Il lasciar andare. Sono sempre stata una maniaca del controllo, ma ho capito che non è sempre necessario. 

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