Quoziente Humano, da questo mese, inizia una partnership con L’altra medicina, mensile diretto dal dottor Luca Speciani, nato per diffondere un’idea di medicina più vicina al paziente e dare spazio a tutte quelle voci, mediche e sanitarie, che, basate su solide fondamenta scientifiche, offrono una alternativa al sistema dominante.
Ogni mese, lanceremo dal nostro sito un articolo pubblicato all’interno della testata, che viene distribuita in edicola in tutta Italia.
Una sinergia nata su una affinità, per dare forza e opportunità di crescita a un mondo in cui prosperare materialmente e spiritualmente, come individui e collettività, nel rispetto del reale bene delle persone.
Articolo pubblicato sul numero 126 de L’ALTRA MEDICINA Magazine
di Enrico Manicardi
Il primo comandamento imposto da ogni religione è quello di porvi fede, e cioè di darvi un’adesione incondizionata tale da non metterla mai in discussione, nemmeno quando i suoi precetti si presentino come assurdi: “credo quia absurdum” (“credo perché è assurdo”) ricordava la locuzione latina attribuita all’apologeta cristiano Tertulliano. Vale lo stesso per la Tecnologia.
La Tecnologia non è mai in discussione, e tutti vi credono e vi confidano ciecamente. Persino coloro che si dichiarano critici non la mettono mai in gioco in sé: se la prendono magari con questo o con quell’altro dispositivo; si lamentano della sua scarsa efficienza; parlano di tecnologia “verde”, “sostenibile”, “a basso impatto ambientale” (il festival degli ossimori è sempre aperto quando si parla di Tecnologia).
Nessuno la condanna come processo pervasivo che condiziona pesantemente la vita di tutti. Anzi, quando scappa un’accusa feroce contro di essa, ecco che l’esternazione viene immediatamente depotenziata dalla giustificazione più comune, premessa o posposta alla dichiarazione incriminata: “Naturalmente, non ho alcuna intenzione di criticare la Tecnologia in quanto tale, sarebbe folle…”.
Eppure, a me sembra folle l’atteggiamento di chi voglia accettare per forza ciò che è inaccettabile piuttosto che quello di chi miri a rifiutarlo in toto. E infatti, nessuno che concepisca il nazismo per quello che è, e cioè una tragedia, accoglierebbe mai l’idea di rivederne realizzato il governo sia pure in forma “verde”, “sostenibile”, o “a basso impatto totalitario”.
È la stessa generale ritrosia che proviamo verso il razzismo o l’omofobia. Davanti a questi orrori la condanna è per tutti univoca e senza mezzi termini; invece la Tecnologia, per quanto faccia contro di noi e contro le nostre vite, gode sempre di una particolare immunità e, come ogni altra nocività profusa dal mondo industriale (dall’inquinamento alla guerra), non è mai radicalmente sotto accusa.
Quel che ne consegue è sconsolante: anche di fronte all’esaurimento di tutto ciò che è vivo, naturale, reale, e al suo rimpiazzo con una tecno-esistenza artificiale nella Macchina, rifiutiamo di riconoscere quanto il nostro mondo attuale sia sempre più sterile, impoverito, vuoto. E la Tecnologia, che supporta appunto questo confinamento separandoci via via da noi stessi e da ogni contesto naturale di riferimento (fino a farci concepire come possibile l’idea folle di una realtà “virtuale”, di una intelligenza “artificiale”, di un cibo “sintetico” e persino di un “transumanesimo”) viene immancabilmente difesa, giustificata, considerata irrinunciabile: si chiama tecnolatria, ed è una specie di affezione molto comune tra noi civilizzati.
Questa diffusa propensione a credere nella Tecnologia, a considerarla comunque salvifica e assolutamente necessaria, è retta quindi dal principio della fede. E come ogni fede, anche la tecnolatria ha una sua teologia, la quale, al pari di ogni altra dottrina, trova le sue fondamenta in un potentissimo apparato simbolico che ne supporta il senso: un apparato modellato nel tempo su miti e luoghi comuni considerati incontrovertibili.
Sono diversi infatti i topoi su cui si regge l’intero programma di condizionamento alla fede tecnologica, ma almeno tre dei tanti miti che ne dettano la liturgia meritano di essere guardati in faccia, se non altro perché sull’analisi critica della loro essenza sia possibile provare a costruire una sorta di “ateismo” tecnologico che ci aiuti a considerare le cose per quelle che sono, e non per il loro carattere ideologico imposto dalla Cultura. Si tratta del mito della comodità, di quello della neutralità della Tecnologia e del mito della sua immanenza.
Oggi tratteremo del primo di questi tre, lasciando ai prossimi e futuri articoli l’esame degli altri due.
Il mantra della comodità
Provando a essere pratici, e cioè cercando di evitare ogni disquisizione di carattere polemicamente filosofica, si potrebbe partire da una provocazione: la Tecnologia è comoda! Infatti, pur dando per ammesso e non concesso il fatto che la Tecnologia ci agevoli negli impegni della vita (fatto evidente), la questione della comodità tecnologica trascende la valutazione di quanto essa sia in grado di farci sentire a nostro agio attraverso i suoi prodotti, perché quel che un certo fenomeno comporta non sempre è decifrabile attraverso ciò che proviamo immediatamente, che può essere l’esito di una suggestione o dell’insorgenza di un sintomo.
Per come la vedo io, la questione della comodità tecnologica non verte dunque sul considerare quanto la Tecnica ci rechi materiale conforto, ma sul fatto di valutare se questo conforto sia salutare o dannoso. In fondo, anche l’antidolorifico arresta subito la manifestazione del dolore, ma non ne toglie la causa. Se ne vagliassimo la validità solo guardando a quel che proviamo una volta assunto (immediata scomparsa della sensazione di sofferenza) dovremmo adorare tutti i medicinali. Invece sappiamo bene quanto la medicina sintomo-soppressiva sia deleteria a lungo termine, e quanto la sua capacità di agire sul sintomo pregiudichi la possibilità del nostro organismo di fare quanto utile per cercare di risolvere da sé il problema trasformatosi in malattia. Ed è proprio questo il punto.
Facendo le cose per noi, la Tecnologia ci toglie la capacità di saperle fare; ci toglie il bisogno di saperle fare; ci toglie persino il senso di farle in piena autonomia. Nei fatti, proprio perché la Tecnologia è “comoda” e fa le cose per noi, ci rende sempre più dipendenti dalla Tecnologia, e quindi sempre meno autonomi. E attenzione: autonomia è un sinonimo di libertà.
Detta in modo ancor più semplice, il prezzo che paghiamo per ottenere questa tanto reclamata comodità è altissimo: si tratta della nostra libertà. Mentre ci coinvolge e ci conforma, mentre travolge le nostre sensibilità, le nostre intelligenze, le nostre relazioni e persino i nostri bisogni più naturali, la Tecnologia ci sottrae anche libertà. Lo fa pian piano, certo, ma costantemente, senza tregua; al punto che diventiamo ogni giorno meno capaci di fare ciò che fino a ieri facevamo tranquillamente senza tecnologia.
Guardandoci attorno le cose si mostreranno limpidissime: non facciamo più niente con le nostre mani (le macchine lo fanno per noi); non facciamo più niente con le nostre gambe (ci sono i mezzi di locomozione che ci “teletrasportano”); non facciamo più niente nemmeno con la nostra testa (ci sono i computer).
(Segue) Per leggere l’articolo completo vai al sito de L’altra Medicina
Enrico Manicardi (Modena, 1966). Avvocato, saggista, conferenziere sui temi della critica radicale alla civiltà. Da sempre aspira a vivere in un mondo libero, ecologicamente intatto, contrassegnato da relazioni calde e non consacrate al culto della Tecnica. È autore di quattro libri pubblicati da Mimesis Edizioni, uno dei quali scritto a quattro mani col filosofo americano John Zerzan.