Nello scenario portato dalla pandemia Covid, il tema della sostenibilità sembra continuare a crescere nell’attenzione degli italiani.
Come raccontano i dati emersi da recenti ricerche: il 46% della popolazione (+14% rispetto al 2019) ha piena comprensione del vocabolario della sostenibilità e il 72% lo percepisce come patrimonio comune in grado di influenzare le abitudini quotidiane (Osservatorio Reale Mutua, LifeGate con Eumetra Mr); nella stessa direzione vanno i dati che sanciscono l’incremento della spesa verde nel carrello, in particolare riferita a quei prodotti che indicano la loro sostenibilità in etichetta, oggi a (togliere) un sell out che sfiora quota 8 miliardi (Osservatorio Immagino, GS1 Italy con Nielsen); così come il segnale che arriva in relazione ai risparmi degli italiani, con il 52,3 degli intervistati che dice di guardare con interesse alla finanza sostenibile (il 68,2% tra i laureati, il 70,2% tra i dirigenti e i quadri) ipotizzando investimenti in Esg, ovvero le attività legate all’investimento responsabile che perseguono gli obiettivi della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale – l’environment dell’acronimo -, sociale e di governance (Il valore della diversità nelle scelte d’investimento prima e dopo il Covid-19 Censis e Assogestioni).
Una sempre più diffusa sensibilità trainata anche, e soprattutto, dalle generazioni più giovani.
Un’alta attenzione allo sviluppo sostenibile, che è stata confermata anche dalla partecipazione registrata alle 14 tappe che da gennaio a giugno di quest’anno hanno portato ll Salone della CSR e dell’innovazione sociale ad attraversare il Paese, da nord a sud. Con oltre 5000 partecipanti e circa 200 relatori gli incontri, organizzati in diretta streaming a partire da marzo sulla piattaforma Webex di Cisco, hanno raccontato ‘I volti della sostenibilità’ dei vari territori, mettendo in evidenza di volta in volta le buone prassi di istituzioni, enti, organizzazioni, aziende e privati, la capacità di fare rete tra soggetti diversi, le esperienze di collaborazione tra profit e non profit e le iniziative realizzate durante la crisi sanitaria. Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale è promosso da Università Bocconi, CSR Manager Network, Fondazione Global Compact Network Italia, ASVIS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, Fondazione Sodalitas, Unioncamere, Koinètica.
Ora, la manifestazione, pioniera sui temi della responsabilità sociale, approda alla sua due giorni nazionale, i prossimi 29 e 30 settembre: 200 le organizzazioni che hanno confermato la partecipazione all’edizione nazionale del Salone, 80 gli eventi che potranno essere fruiti in streaming da migliaia di persone, grazie una piattaforma digitale personalizzata. Inoltre, questa edizione, permetterà a chi non ha seguito gli incontri in diretta di rivedere le clip con gli eventi anche nei mesi successivi. Al centro dell’evento, le strategie da adottare per un vero “‘cambio di passo” nel modo di vivere, produrre, consumare.
Con sei sezioni tematiche e un ‘Fuori percorso’ che comprenderà eventi trasversali. E nel nome della condivisione, sono già fruibili online approfondimenti, interviste, eventi, presentazioni di libri.
A raccontarci meglio il punto di vista sulla sostenibilità nel nostro Paese, dall’osservatorio privilegiato del Salone della CSR, è Rossella Sobrero, membro del gruppo Promotore dell’evento.
Come è cambiata la sensibilità verso una società più sostenibile, in particolare da parte delle aziende?
“Sicuramente, in questi 15 anni, la responsabilità sociale si è consolidata all’interno delle scelte aziendali: si è trasformata da elemento in più sul quale agire a componente del piano strategico”.
Una evoluzione che è stata trasversale alle Organizzazioni per dimensioni e settori?
“È accaduto per le aziende più grandi e strutturate. Per quelle piccole e medie, c’è ancora molto da fare e spazio in termini di coinvolgimento, rispetto a quanto accade con le multinazionali.
Per quanto riguarda i settori, alcuni più avanzati sono partiti prima e tra quelli che hanno investito di più in ricerca di sostenibilità c’è sicuramente quello dell’Energia. Ha fatto molti progressi anche il mondo delle Assicurazioni, legato alla gestione del rischio ha attivato percorsi di sostenibilità già da tempo. Resta indietro invece la moda, che si sta avvicinando ora a questi temi, mentre il mondo agroalimentare ha un andamento ondivago: con aziende che, ad esempio, hanno puntato molto, sulla tracciabilità della filiera e hanno adottato il sistema della blockchain e altre che, invece, hanno fatto poco”.
Il ritardo del mondo della moda fa pensare che il tema degli investimenti in sostenibilità delle aziende non sia tanto una questione di possibilità finanziarie.
Si tratta di una modifica della struttura di impresa legata più a una questione culturale che alla capacità economica. Un segnale importante, abbastanza recente, è quello dell’area finanziaria, legato sia alle società che gestiscono fondi sia a operatori del mondo della finanza, con il trend della finanza etica.
Da qui parte la nuova edizione del Salone della CSR.
“Il Salone è stato tra i primi a cogliere il valore della responsabilità sociale e a fare in modo che i diversi attori potessero scambiarsi esperienze e idee. L’evento ha debuttato nel 2005, con un nome diverso ‘Dal dire al fare’, quando ancora il tema della CSR era dibattuto più che altro nel mondo accademico. In questi anni, abbiamo visto crescere l’impegno delle imprese e il Salone è cresciuto come piattaforma comunicativa per offrire alle imprese l’opportunità di raccontare le proprie esperienze e ascoltare quelle di altre organizzazioni. Un luogo in cui condividere indicazioni generali che ogni azienda può poi declinare in base alla propria realtà.
Quest’anno avete dovuto adattare il format alle regole di convivenza e sicurezza chieste dalla pandemia Covid.
Lo scorso anno abbiamo avuto 6 mila visitatori, sarebbe stato impossibile riproporre il Salone nel suo format fisico e siamo stati costretti a usare la formula ibrida che vede i relatori presenti all’interno dell’Università Bocconi, mentre i visitatori possono seguire i lavori in streaming. Il lato positivo è che molte più persone potranno collegarsi e seguire l’evento; quello negativo è la mancanza di un momento di presenza fisica, in cui respirare energia ‘positiva’, incontrarsi per fare progetti insieme e stringere nuove alleanze”.
Il titolo che avete scelto è ‘I volti della sostenibilità’…
I volti sono tutti quelli delle persone che credono che la sostenibilità sia l’unica strada possibile. Per questo abbiamo articolato il programma in sei percorsi tematici,che sono i 6 stakeholder più importanti: ambiente, clienti, comunità, dipendenti, fornitori, investitori. Sono i volti delle persone, che possono essereal tempo stesso cliente, dipendente, fornitore, ma è la responsabilità individuale che vogliamo sottolineare, soprattutto in un momento difficile come questo. Siamo tutti un po’ incoerenti, fa parte dell’animo umano. Magari partecipo a Puliamo il mondo di Legambiente e poi al supermercato non sto attento e compero anche prodotti non sostenibili, che sia per l’ambiente o i diritti umani. L’importante è che cresca la consapevolezza che ciascuno può contribuire con il proprio comportamento a cambiare le cose, portando a premiare quelle aziende che attuano scelte sostenibili.
Può accadere anche all’interno delle organizzazioni?
La spinta dal basso conta. Anche se, normalmente, in una azienda il committment arriva dall’alto, abbiamo visto situazioni in cui i dipendenti hanno stimolato dal basso verso un cambiamento organizzativo in direzione della sostenibilità.
Perché è così urgente comprendere che la sostenibilità è l’unica strada possibile?
Perché abbiamo perso troppo tempo. Alcuni allarmi che già 50 anni fa Il Club di Roma aveva dato, rispetto ai limiti dello sviluppo, sono stati ignorati. Sui cambiamenti climatici, come sulle disuguaglianze sociali oggi occorre non solo fare bene, ma anche fare in fretta.
Per spingere in questa direzione, nel suo recente libro ‘Sostenibilità e comunicazione non convenzionale’, lei ha realizzato 24 ‘interviste impossibili’.
È un libro in cui ho voluto fare molti esempi, perché vedere che qualcuno ha ottenuto risultati attraverso un approccio sostenibile, sapere che si può fare, può indurre a fare. Nel libro ci sono 24 dialoghi immaginari con altrettanti personaggi che in passato hanno avuto un ruolo importante nella nascita e nello sviluppo della cultura di un mondo sostenibile. Personaggi come Luis Sepulveda, mancato quest’anno, che molti conoscono per il grande scrittore che è stato e ben pochi hanno conosciuto come grande attivista della sostenibilità.
Da comunicatrice e presidente di Ferpi, quale può essere il ruolo del mondo del mondo della comunicazione?
Aiutare le aziende a comunicare bene quando hanno già fatto bene.
Esiste anche quella che chiamiamo CSR inconscia: ci sono aziende, spesso di medie dimensioni, che hanno un approccio sostenibile con ambiente e dipendenti e non sanno di stare facendo responsabilità sociale di impresa. Il comunicatore può, quindi, aiutare l’organizzazione a fare emergere, comunicare e raccontare questi suoi comportamenti per rafforzare la reputazione del brand, per dargli più valore.
Rafforzare attraverso la comunicazione pratiche e aspetti che sono sostenibili aiuta anche le persone a privilegiare una azienda nella scelta di acquisto: dal packaging che è un veicolo per comunicare le proprie pratiche di responsabilità, alle campagne pubblicitarie.
Quanto conta l’autenticità?
Proprio perché la gente chiede di sapere di più riguardo a quello che compra, è importante evitare il green washing: è importante non raccontare cose che non sono vere. Le bugie hanno le gambe corte, soprattutto perché oggi è molto più facile andare a vedere dove ci sono incrinazioni nella comunicazione, incoerenze del brand. È piuttosto meglio dire che non si è riusciti a raggiungere un obiettivo. È meglio evitare anche l’enfasi: in particolare per i giovani, la sostenibilità è normale.
A proposito di giovani, le aziende sono pronte a intercettare la loro domanda di sostenibilità e a comunicare nel modo giusto?
Le aziende si sono avvicinate di più ai social; fino a qualche anno fa ne avevano paura perché sono una casa di vetro, in cui ci si espone molto, a differenza di quanto accade con le campagne pubblicitarie tradizionali unidirezionali. Difficilmente però un giovane comprerà il sole 24 ore o guarderà Rai Uno, quindi occorre imparare a usare sempre meglio il web, non solo i social: diverse aziende, ad esempio, oggi producono contenuti propri, come le serie web. Certo i giovani sono più critici e più diffidenti, rispetto a persone di età più adulta, insegno da tanti anni all’Università, lo vedo e va bene che sia così. Ecco perché a maggior ragione le aziende possono pensare di coinvolgerli su ciò che hanno fatto realmente, per non incorrere in fenomeni pericolosi come quelli del boicottaggio: se per costruire una buona reputazione ci metti anni, per distruggerla bastano 5 minuti.
Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale