Bruscolo e Botolo sono due amici alle prese con una sedia in un deserto: basta un pizzico di fantasia e l’oggetto si trasforma in slitta, in rifugio, in nave, in qualsiasi altra cosa. È da questo gioco d’immaginazione, splendidamente raccontato nel libro “La sedia blu” di Claude Boujon, che Elena Burani comincia per “fotografare” l’incontro con l’inaspettato che avviene sotto i tendoni circensi di Dinamico Festival da ormai tredici anni.
La direttrice artistica, acrobata aerea di lungo corso, ci racconta come sia stato possibile che l’arte nomade per eccellenza abbia trovato casa a Reggio Emilia. Ogni settembre nei parchi di questa città si danno appuntamento compagnie di circo contemporaneo provenienti da tutta Europa, con un cartellone che abbraccia teatro, danza e musica. Lo sfondo è da atmosfera felliniana, ma l’immagine randagia di Zampanò e Gelsomina non è più attuale: quello del circense è diventato mestiere sempre più professionalizzante, che reclama di entrare a pieno diritto nella filiera artistica.
Avete definito Dinamico Festival una sfida al possibile. In che senso?
L’equilibrio delle forze in campo per realizzarlo è instabile ed è sempre un grande sforzo tenere insieme le parti: dietro le quinte c’è un piccolo gruppo che vi lavora con continuità ma la grandissima fetta è costituita da volontari e lavoratori occasionali. Siamo una squadra di oltre 50 persone ed è bello vedere come, di anno in anno, si sia creata una “famiglia” che gravita attorno a Dinamico Festival, vissuto come una festa dall’interno. Reggio Emilia si riconosce nel festival, si è creato un senso di appartenenza.
L’Emilia Romagna ha una grande tradizione di forme di aggregazione dal basso, pensiamo alle Feste dell’Unità. C’è un legame tra queste e Dinamico Festival?
Sì, ci siamo ispirati alle Feste dell’Unità e alle balere per ricreare quel clima di condivisione popolare. Al tempo stesso abbiamo scelto di valorizzare gli spettacoli, facendo in modo che il confine tra palco (o tendone) e clima festoso all’esterno fosse ben marcato. Da questo punto di vista abbiamo fatto una scelta diversa rispetto a tanti festival di teatro di strada, calibrati su un pubblico di passaggio.
Circo contemporaneo, circo tradizionale, teatro di strada: quali sono le differenze?
Il circo contemporaneo porta avanti la ricerca delle discipline del corpo e del virtuosismo tipici del circo tradizionale, ma si apre alla scrittura scenica e alla drammaturgia, da cui non può prescindere.
Il linguaggio diventa ibrido e multidisciplinare, vira verso la danza, il teatro e la musica. Il teatro di strada è, invece, per definizione più leggero, si presta alle piazze, ai luoghi aperti, a un pubblico in movimento. Nello spazio pubblico il circo contemporaneo è più propenso a spettacoli site specific, si adatta al luogo che incontra, oppure predilige spazi grandi per strutture impattanti che spesso fanno parte delle creazioni circensi. Gli spazi chiusi sono il luogo più scelto dal circo contemporaneo: siano essi teatri o tendoni, predispongono concettualmente il pubblico a vedere lo spettacolo, mettendo al servizio della scrittura scenica la dotazione tecnica.
In questa trasformazione c’è ancora spazio per figura iconica come il clown?
Il pagliaccio rappresenta ancora oggi il ponte tra circo “puro” e performance teatrale. È una figura intramontabile che si perde nella notte dei tempi, è il più antico, sensibile e virtuoso degli attori. Molte creazioni circensi contemporanee includono il linguaggio del clown, che spesso perde il canonico naso rosso ma rimane centrato nella relazione con il pubblico. In generale gli artisti circensi sono maestri nel rubare da altre discipline, pensiamo per esempio alla giocoleria che non nasce all’interno dell’arte circense ma ne viene introiettata.
Oggi in ambito circense chi fa scuola e quali sono le tendenze?
Le prime scuole di circo sono nate negli anni Ottanta in Francia che, insieme al Canada, con il Cirque du Soleil, sono i Paesi a cui guardare. In Italia il circo contemporaneo è relativamente giovane, ha all’incirca vent’anni. La città capofila è senza dubbio Torino, dove sono nate le prime realtà formative, come la Flic e la Vertigo che ogni anno sfornano decine di diplomati. Il livello di maturità è tale che sta permettendo al circense di crescere e professionalizzarsi sempre di più.
Lo spazio dell’improvvisazione sembra restringersi. È così?
Oggi il circo contemporaneo ha decisamente un approccio al processo creativo più simile a quello delle altre arti sceniche. I suoi spettacoli si reggono sulla scrittura scenica, su una precisa drammaturgia, su musiche e spazi d’esibizione spesso creati ad hoc. Non si può più prescindere da questo impegno autoriale.
Questa configurazione professionale sta aprendo nuove opportunità?
La definizione di un mercato e di una filiera di produzione a cui fare riferimento è un passo in avanti importante. Prova ne è che dal 2015, per la prima volta, il circo contemporaneo ha avuto accesso ai finanziamenti ministeriali, di cui anche noi beneficiamo in parte. Come Dinamico Festival, oltre agli sponsor dei privati che contiamo di incentivare grazie all’art bonus (un credito d’imposta pari al 65% sulla cifra offerta, ndr), al Comune di Reggio Emilia e alla Regione Emilia Romagna chiediamo un maggiore sostegno economico.
Cosa manca, in Italia, per un pieno e reale riconoscimento dell’artista circense?
Ci sono ancora tante precarietà da affrontare. In Francia esiste da tempo l’intermittence, un sostegno economico pensato per i professionisti delle arti e dello spettacolo che lavorano in modo discontinuo. Pochi giorni fa è uscito un decreto legislativo che permette di accedere all’indennità di discontinuità: si tratta sicuramente di una buona notizia, staremo a vedere, al momento preferisco non sbilanciarmi con commenti. La pandemia ci ha aiutato a prendere coscienza: tanti artisti non sono riusciti ad accedere al sostegno economico perché lavoravano in nero e non avevo i requisiti minimi, in termini di contributi, per beneficiare delle misure emergenziali. Credo che da questa esperienza sia nata una riflessione critica sul tipo di tutele e di inquadramento professionale che dobbiamo iniziare ad esigere.
Oltre a questo, cosa auguri al circo contemporaneo?
Che possa invadere teatri e parchi e piazze d’Italia come un’onda anomala! A parte gli scherzi merita di trovare più terreno nei circuiti italiani perché è un linguaggio che per, sua natura, parla al popolo tutto e lo fa con una sensibilità e una verità del corpo grazie alla sua essenza multidisciplinare che sa intercettare tutti gli altri linguaggi, come ingredienti di una scrittura autoriale e contemporanea che supera le etichette forzate del mercato culturale.
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Giornalista pubblicista dal 2013. Abruzzese trapiantata nella Tuscia dove insegna materie letterarie negli istituti superiori.