Sempre un passo indietro nel tempo della nostra vita
“Vivere in tempo significa dare sostanza alle emozioni e realizzare ciò che vogliamo.”
Qualcuno ha detto che il tempo è la vera sostanza dell’Universo, una sostanza instabile, ma che nelle dimensioni umane ha bisogno di un computo valido per ognuno. Il tempo ci serve per fare calcoli, per costruire, per dare forma e dimensione a progetti e desideri. Ma è pur vero che esiste un tempo soggettivo, un tempo che, se perduto, ci rende ancora più automatici e alienati a noi stessi.
Perdere il proprio tempo, quello emozionale, passionale, estraneo ai calcoli e alle scadenze, significa spesso gettarci in una terra arida. Una terra ove pensiamo che sia l’essere occupati, riempiti e consumati freneticamente dal fare a renderci migliori, mentre invece perdiamo realmente il nostro tempo, alienandoci sempre di più da noi stessi.
La confusione nasce, per molti, nell’essere immersi nel tempo pervasivo del calcolo temporale, il tempo scandito da orologi, timer ed ogni apparato elettronico, nell’essere assorbiti completamente, senza trovare il tempo di ascoltare le proprie sensazioni ed emozioni.
Sensazioni ed emozioni che si muovono in un tempo differente, un tempo circolare anziché lineare, ove il passato e il futuro si mischiano continuamente nella percezione del presente e nella memoria presente del passato; un tempo in cui, abituati al controllo del tempo oggettivo, spesso ci troviamo spaesati e coinvolti in emozioni e pensieri che definiamo “non ragionevoli”.
Dare profondità alla nostra realtà
Dimenticando quello spazio temporale individuale, unico e spesso apparentemente irrazionale, perdiamo la capacità di dare sostanza alla nostra esistenza, di dare profondità alla nostra realtà: così, il dire agli altri e a se stessi “non ho tempo” diviene il mantra che ci tiene alla superficie dell’esistere, nel flusso inesorabile dei nano secondi degli strumenti di calcolo.
Riprendere coscienza del proprio tempo è strettamente legato al prendere coscienza di sé. Nel momento in cui un individuo volge lo sguardo verso l’ascolto di sé, pur mantenendo il contatto con il mondo, percepisce il presente.
Il presente, viene percepito in modo differente se siamo immersi nel flusso superficiale e veloce del tempo di calcolo oggettivo, viene sentito come “l’attimo fuggente”, inafferrabile poiché siamo sempre altrove e la coscienza lo percepisce in differita, appunto, inafferrabile. Mentre se iniziamo ad avere la percezione profonda, emozionale e libera di noi stessi, il presente diviene “l’attimo permanente” e si ha l’impressione di rimanere centrati e centrali nel flusso del tempo.
Nella quotidianità è necessario utilizzare il tempo oggettivo, esso è parte strutturale della nostra civiltà, ma penso che sia necessario anche ritrovare il tempo soggettivo, per da dare profondità e stabilità ai nostri progetti di vita.
Così, quello che chiamiamo desiderio e che spesso parte solo dal luccichio della superficie del tempo fuggente si tramuta spesso in bramosia o illusione, perché rimane della sostanza dei miraggi, fluttua nel flusso del tempo perso. Ma se riprendiamo contatto e ascolto del nostro tempo soggettivo, il desiderio acquista potenza e sostanza, poiché poggia su ciò che sentiamo giusto e buono per noi, perché permane nel flusso del presente acquisisce solidità, determinazione. Sarà allora che l’uso inevitabile del tempo oggettivo convenzionale ci fornirà gli strumenti per costruire ciò che desideriamo e progettiamo, poiché tutti sanno che ogni cosa richiede il suo tempo, soprattutto la nostra vita.
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Filosofo, antropologo e ricercatore, conduce da più di 30 anni corsi e seminari.