Si calcola che il 35% di tutti i lavoratori italiani potrebbe usufruire dello smart working data la struttura del nostro tessuto produttivo, rispetto all’effettivo 26% di lavoratori in smart working durante il lockdown (dati BVA-Doxa) e al solo 2% del 2019, come emerse da una ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.
Lo smart working è stato al centro del digital event “Italia 2021–Competenze per riavviare il futuro” organizzato da PwC Italia, trasmesso in diretta TV sul canale Active 501 di Sky e su tutte le piattaforme social di PwC Italia. L’incontro ha visto la partecipazione del Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, di Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC, Alessandro Grandinetti, Partner PwC Italia Clients and Markets Leader, Emilia Rio, Risorse Umane e Organizzazione Terna, Marco Piuri Amministratore Delegato Gruppo Ferrovie Nord Milano, Alessia Mosca, Segretario Generale dell’Associazione Italia-ASEAN, Giorgio Del Mare, Amministratore Delegato ProperDelMare e Paola Barazzetta Partner Diversity & Inclusion PwC Italia.
Work-life balance
Il lavoro agile potrebbe aiutare molte donne a entrare o rimanere nel mercato del lavoro. Secondo il Women in Work Index 2020 di PwC, se l’occupazione femminile raggiungesse il livello della Svezia (dove è occupato full-time il 60% delle donne in età lavorativa, contro il 32% dell’Italia), l’impatto sul PIL italiano sarebbe pari a 659 miliardi di dollari.
A rendere in qualche modo inevitabile la transizione ad un’organizzazione del lavoro più flessibile è anche la progressiva insostenibilità di un modello che ha portato le persone a vivere in ufficio, sacrificando per il posto di lavoro altre sfere di socialità e realizzazione personale.
Il 22% degli italiani, secondo la European Working Condition Survey evidenzia che lavora più di 40 ore a settimana e il 9% dei lavoratori almeno una volta al mese deve recarsi in ufficio con scarso preavviso. Le richieste non si traducono però in maggiore flessibilità: il 33% degli intervistati ritiene difficile riuscire a prendersi due ore libere durante l’orario di lavoro per esigenze personali o familiari.
I rischi dello smart working
Non possiamo, però, dimenticare che esiste una vasta e letteratura sulle criticità alle quali vanno incontro gli smart workers. Il possibile restringimento degli spazi di socialità offerti dagli uffici rischia di tradursi in un nuovo impoverimento del tessuto di relazioni.
L’Harvard Business Review, già nel 2018, invitava a porre attenzione al rischio di burnout tra i lavoratori in smart working, ricordando come questa nuova modalità di lavoro richieda sforzi sia ai lavoratori (che devono imparare a coniugare senza sovrapposizioni diversi ambiti della propria vita) sia ai loro supervisori.
L’efficienza dei lavoratori migliora con livelli contenuti di smart working, ma diminuisce con uno “smart working eccessivo”, il che implica l’esistenza di uno “sweet spot” in cui l’efficienza dei lavoratori e quindi la loro produttività – è massimizzata ai livelli intermedi di smart working.
Aumento del PIL e southworking
L’Ufficio Studi PwC Italia ha stimato che il PIL italiano potrebbe crescere fino a un +1,2% se tutti i lavoratori le cui mansioni lo permettono ricorressero allo smart working. La riduzione della presenza fisica nelle grandi città potrebbe rappresentare un vantaggio anche per i business stessi.
L’afflusso di professionisti in aree a basso indice di sviluppo dovrebbe avere un effetto positivo per questi territori, dal momento che i territori che ospitano all’interno della propria forza lavoro un mix di lavoratori specializzati in ICT, economia della conoscenza e Industria 4.0 presentano performance migliori.
Andrea Toselli, Presidente e AD di PwC Italia ha spiegato: “Smart working significa prima di tutto una diversa gestione del tempo. L’efficienza a lavoro migliora con livelli contenuti di smart working, ma diminuisce con uno smart working eccessivo, il che implica l’esistenza di uno sweet-spot in cui l’efficienza e quindi la produttività è massimizzata a livelli intermedi. In particolare, il tempo dedicato dai pendolari per il trasferimento, se utilizzato diversamente, potrebbe incrementare il PIL e, tra l’altro, la riduzione della presenza fisica nelle grandi città potrebbe rappresentare un vantaggio anche per i business stessi. Analisi sembrano infatti dimostrare che città di medie dimensioni possano risultare i migliori luoghi per la nascita e lo sviluppo di business profittevoli.
“In questo contesto – continua Toselli – una necessaria nuova e più flessibile organizzazione del lavoro deve porsi l’obiettivo di incoraggiare e facilitare anche l’occupazione femminile, evitando di trasformarsi in una ancora più complessa gestione del lavoro domestico e di cura, che per ragioni socio-culturali ricadeva già prima del lockdown per la maggior parte sulle donne. Se le donne si sentono costrette ad abbandonare il proprio percorso professionale, le aziende rischiano di perdere la possibilità di inserire figure femminili nei ruoli a più alta seniority e di leadership, con effetti negativi sotto molteplici punti di vista”.
Gender Gap
La crisi pandemica da COVID-19 ha colpito con maggiore severità le donne, accentuando divari già in essere. I dati ONU confermano che le donne si sono trovate in prima linea nel gestire la fase emergenziale, sia tra le mura domestiche che fuori: svolgono infatti il triplo del lavoro di cura domestica non retribuito rispetto agli uomini e rappresentano il 70% degli operatori nell’assistenza sanitaria e sociale nel mondo. Queste condizioni rappresentano un enorme fattore di rischio sia fisico sia psicologico, sottoponendole a elevati livelli di stress.
Il bilancio di questi mesi presenta infatti diverse ombre. I dati della Fondazione Libellula (network che riunisce oltre 30 aziende italiane impegnate nella lotta alla discriminazione e alla violenza di genere) evidenziano che durante il lockdown la percentuale di donne che ha interrotto la propria attività lavorativa è più che doppia rispetto agli uomini (20,0% contro 9,9%). A rendere inevitabile la transizione ad un’organizzazione del lavoro più flessibile è anche la progressiva insostenibilità di un modello che ha portato le persone a vivere in ufficio, sacrificando per il posto di lavoro altre sfere di socialità e realizzazione personale.
Come incentivare un nuovo modello di lavoro agile
Occorre favorire la parità di retribuzione e le pari opportunità, sviluppare interventi strutturali e infrastrutturali che permettano di superare ostacoli materiali – oggi ineludibili – e servizi di supporto alla cura dei familiari. L’analisi dei migliori casi di implementazione dello smart working proposti dal Politecnico di Milano (tutti relativi a progetti avviati prima dello scoppio della pandemia) evidenzia che le aziende che prima delle altre si sono preparate a questo cambiamento hanno individuato quattro aree di intervento: tecnologie, formazione, change management e organizzazione degli spazi.
Il legislatore
Il passaggio a una nuova fase di ampia diffusione di questa modalità richiede un nuovo intervento che faccia chiarezza su alcuni temi, a partire dall’equilibrio da trovare per quanto riguarda diritto alla disconnessione, welfare aziendale e responsabilità legate a cybersecurity e data protection.
Negli ultimi mesi, complici lo stato di emergenza e le condizioni di incertezza legislativa, solo alcune informative e documenti tecnici dell’INAIL si sono occupati di colmare il vuoto della regolamentazione in materia. Dalle misure di supporto per la prevenzione dei rischi connessi allo smart working alla contrattualistica di specie, gli aspetti del fenomeno giuslavoristico da regolare si moltiplicano con il passare dei mesi. L’applicazione delle indicazioni INAIL senza un quadro normativo di riferimento e la frammentarietà della regolamentazione costituiscono dunque, per il datore di lavoro, alcuni degli ostacoli burocratici più difficili da superare.