Tagliando lo spreco alimentare sarebbe possibile imbandire adeguatamente la tavola di circa 3,2 milioni di italiani in povertà (fonte Coldiretti).
In questo scenario si inserisce un progetto che invita a fare la spesa con un approccio che tende alla riduzione degli sprechi e degli scarti, fino all’eliminazione completa. È la visione che sta dietro a Planeat.eco: un portale, un centro di produzione/distribuzione, una rete di aziende che coltivano, allevano e producono materie prime e semilavorati nel territorio nazionale. Una cinquantina le persone che ne compongono il team.
“Il progetto nasce da un gruppo di persone uscito da una esperienza precedente, un progetto di comparazione prezzi nel mondo internet, che aveva unito molti di noi sulla base di alcuni valori di fondo riassumibili in un concetto – racconta l’ad Nicola Lamberti -: quanto fosse importante, nelle scelte di tutti i giorni, chiederci cosa massimizzi per noi il bene del sistema che abbiamo attorno, senza preoccuparci del nostro ritorno nell’immediato. Guardare al bene di tutti e in quel tutti ci saremo anche noi. Ci siamo resi conto di come questo fosse anche il modo migliore per avere una visione di lungo periodo.
Come è nata la vostra visione?
Veniamo dal mondo della programmazione e i programmatori hanno un modo di lavorare, l’agile, in cui non si spreca troppo tempo a pianificare il futuro, ma ci si concentra sul presente. Vale la pena avere una idea su dove si vuole andare nel lungo periodo, non i dettagli, perché cammin facendo ci si accorge che la strada cambia. Diversamente, accade che hai investito così tanto tempo nel pianificare un percorso che, anche quando palesemente il presente ti mostra strade alternative, non le prendi neanche in considerazione: troppa è la fatica di rimettere in discussione. Paradossalmente questo vale anche nella vita di tutti i giorni.
Dal punto di vista sistemico, stiamo investendo nel costruire qualcosa di bello: quanto più quello che ci sta attorno ha una probabilità di sopravvivere immensamente più grande a noi, quanto più positivo e solido sarà il nostro futuro.
Dall’informatica al cibo.
Ci siamo potuti permettere il lusso di chiarire il ‘perché’, prima del ‘cosa’. E il modo migliore per scegliere il ‘cosa’ è stato individuare quali fossero i nostri talenti.
La vita è una e la sensazione di viverla in pienezza, sfruttando quello che ognuno di noi ha ci mette nella condizione di essere soddisfatti.
Alla nostra competenza nell’informatica e nell’e-commerce si è unita quella della cucina perché il responsabile dell’azienda di catering che ci forniva il servizio mensa, quando ha visto che molti di noi si erano staccati dalla realtà precedente, ci ha detto: ‘qualunque cosa facciate chiudo l’azienda e mi unisco a voi’. Ci stimolava l’idea di cosa potevamo trovare all’intersezione di questi due mondi.
E vi siete concentrati sulla spesa di casa…
Ci siamo accorti che, per i ritmi serrati delle nostre vite, una famiglia va a fare la spesa mediamente una volta alla settimana, portando con sé anche un po’ di ansia: non dobbiamo dimenticare niente e compriamo un po’ di più che di meno. Il carrello, poi, è volutamente grande per darti la sensazione di essere quasi sempre vuoto e si tende a riempirlo condizionati da parametri come il posizionamento a scaffale, la pubblicità, la fame del momento e quello che vediamo in cassa.
Tutto questo unito al fatto che sappiamo ciò che vogliamo avere in casa, ma, spesso, non abbiamo idea di come combineremo gli ingredienti, né quanto tempo impiegheremo a finirli tutti. Il risultato è che una parte non riuscirà a essere usata prima della data di scadenza o del deperimento. È un dato di fatto che in Italia buttiamo il 35% di quello che viene prodotto: una piccola fetta sulla produzione e distribuzione, la più grande dai nostri frigoriferi e dispense.
Come si riduce il rischio di spreco?
Abbiamo pensato di lavorare preventivamente, a partire dalla trasposizione del servizio: dal fisico all’online abbiamo cercato di non riprodurre lo stesso modello. Abbiamo così disegnato un carrello che fosse una sorta di tabella divisa in giorni e pasti e, invece di metterci dentro degli ingredienti, chiediamo alla gente di scegliere cosa vorrebbe mangiare: questo, potendo attingere nella maniera più libera possibile da un elenco di centinaia di ricette diverse, selezionando il numero e la dimensione delle porzioni, escludendo o includendo ingredienti.
In questo modo la scelta avviene in maniera molto più varia ed equilibrata, normalmente, infatti, quando decidiamo cosa cucinare siamo vicini al pasto e non pensiamo a quello che abbiamo mangiato nei giorni prima, ancora meno a cosa mangeremo nei giorni successivi.
Questa pianificazione consente anche di provare a mettere in equilibrio la dieta alimentare della famiglia e di sperimentare piatti che non conoscevamo; un modo per riscoprire e salvaguardare un pezzo di cultura culinaria che rischia di perdersi. E una volta completati gli spazi della settimana, non ha nessun senso comprare altro, perché il rischio è quello di sprecarlo.
Guardando al lato dei fornitori, il vostro progetto sembra ispirarsi ai G.A.S.
È una delle scelte fondamentali: puntiamo alla qualità dei prodotti e guardiamo anche alla correttezza dei valori delle aziende che ci riforniscono. Nelle nostre possibilità di controllo e verifica all’oggi, che sono crescenti, cerchiamo di aiutare un consumo più responsabile, mettendolo alla portata di tutti.
Inoltre, rispetto alla GDO cambiano i rapporti di forza: quando sono estremamente sproporzionati, infatti, il rischio è che il più forte faccia il prepotente. Noi consideriamo che la cosa giusta sia mettersi nel mezzo, giocare a carte scoperte in modo da capire qual è il margine di manovra e mettersi nella condizione di lasciare un margine a entrambi. Diversamente, basta il cambiamento di una piccola condizione perché il soggetto più debole vada in sofferenza, magari fino al fallimento.
Cambiare modello per rendere sostenibile il sistema
È un sistema malato, non può durare e alla fine non produce nemmeno vantaggio al distributore.
Su questo dobbiamo cercare un modello alternativo.
Qual è il vostro?
La nostra idea di futuro di Planeat.eco, che oggi copre Pavia, Milano e Monza, è quella di estenderci sul resto di Italia e anche oltre confine, ma non con lo sviluppo centralizzato. Crediamo che per una economia sostenibile ci sia bisogno dello sviluppo di una economia locale e non certo per protezionismo.
Potranno esserci fornitori condivisi ma con contratti diversi, perché quando i centri di acquisto sono estremamente grandi, con un contratto prendono una grandissima quantità di prodotto, quasi a esaurire la capacità di un produttore che si trova in condizione di quasi di schiavitù. Non vorremmo proprio trovarci lì.
Tra i vostri obiettivi c’è anche un packaging a impatto ‘zero’.
Il 57% della plastica prodotta è per l’alimentare. Quando abbiamo iniziato, non volendo usare la monouso, l’alternativa erano i contenitori compostabili. Ma l’idea del monouso non risolve il problema del rifiuto e per questo abbiamo pensato di progettare dei contenitori, di cui stiamo iniziando la produzione e che saranno riusabili: l’umanità lo ha sempre fatto fino a 40 anni fa, con le otri, le giare, il vetro…
Abbiamo un servizio di consegna del cibo, una o due volte a settimana, che sarà anche di recupero dei contenitori usati che verranno poi sanificati e rimessi in circolo. Dovremmo partire il prossimo mese di settembre e ci siamo anche accordati con una startup che si occuperà di venderli ad altri servizi come il nostro.
Sul fronte HR avete fatto scelte controtendenza.
Tutti il personale è assunto a tempo indeterminato, anche chi consegna è assunto e i furgoni sono nostri. Ci teniamo perché il cibo è una cosa delicata e la consegna va fatta con gentilezza, con grande cura, ci interessano questi dettagli. E perché sia così, le persone che stanno consegnando devono essere felici, vivere e lavorare in un ambiente felice, avere un contratto giusto.
A questa cura non corrisponde un prezzo elevato. Se, infatti, noi crediamo che quello che proponiamo sia una azione virtuosa dobbiamo fare in modo che sia alla portata non solo di una nicchia di persone alto spendenti.
Abbiamo ottimizzato in maniera quasi maniacale il processo per non sprecare nulla, siamo diventati efficientissimi nell’approvvigionamento, non abbiamo magazzino del fresco, se l’ordine è in consegna il martedì, viene chiuso nella notte tra domenica e lunedì, abbiamo 36 ore di tempo. Per i prodotti come il pesce, andiamo alle 5 del mattino al mercato ittico e comperare quello appena arrivato per garantirne la freschezza, nessun supermercato può garantirlo.
Sentirsi parte di un progetto
“Un modello organizzativo interno che rende le persone estremamente felici”, sottolinea Lucia Rogledi, Trade, customer care di Planeat.eco.
Come siete organizzati al vostro interno?
Intanto, siamo tutti costantemente informati di tutto quello che succede all’interno dell’azienda, di tutti i dati e report, di informazioni anche sensibili. Ogni ruolo viene identificato come all’interno di un cerchio: ciascuno è responsabile e ha piena autonomia nel proprio ruolo e abbiamo riunioni settimanali in cui siamo costantemente aggiornati su quello che succede. L’idea è quella di dare piena autonomia, favorire la collaborazione e partecipazione di tutti perché possano sentirsi parte dell’azienda. Il lavoro non è un peso ma un piacere ed essendo quello che coinvolge maggiormente la nostra giornata va ad alimentare positivamente tutte le altre nostre attività.
Oggi come si sostiene il vostro modello di business?
Partendo dal concetto dell’educazione, non solo le aziende, ma anche le scuole, hanno la stessa necessità: riuscire ad avere una alimentazione sana equilibrata e personalizzata sull’individuo sostenibile e che eviti lo spreco.
Alle aziende proponiamo la possibilità di ricevere i piatti pronti, cucinati freschi il giorno prima dell’effettivo consumo, dando flessibilità in un momento in cui l’organizzazione è anche condizionata dallo smart working. Se l’azienda non contribuisce al pasto il collaboratore come con una prepagata può prendersi ogni giorno quello che vuole, anche solo un contorno o la frutta. Se invece l’azienda vuole dare il proprio contributo e il collaboratore non riesce a consumare tutto il buono, proponiamo di usare quello che resta come aggiuntivo per il pasto successivo in azienda o come credito per la spesa di casa.
La stessa cosa accade a livello scolastico con due obiettivi: dare un esempio educativo ai più giovani e uscire dall’uso di offrire menu uguali a bambini con esigenze completamente diverse.
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale