Vivere di poco, costruire da sé, ristrutturare, autoprodurre cibo ed energia. Simone Perotti ne ha fatto una scelta di vita, iniziata nel 2007 quando ha lasciato una carriera da manager in azienda dopo 20 anni di lavoro. Un’esperienza di cui ha parlato in “Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita”, volume che si è rivelato un successo editoriale.
Tenacia, speranza, coraggio e un pizzico di follia sono gli ingredienti che lo hanno guidato e che ancora lo guidano, prima da solo poi con la compagna di vita, Federica.
Insieme, Simone e la moglie hanno acquistato un rudere in pietra nella greca Citèra: partiti alla volta dell’isola all’inizio di marzo del 2020 mai avrebbero immaginato di non potersene più allontanare per sette mesi, bloccati dalla pandemia. Un’occasione per dare il via alla ristrutturazione del rudere, costruendo tutto con le proprie mani: dal tetto al letto, dalla cucina al forno di argilla, per dare vita a una casa passiva a impatto zero, autonoma sotto tutti i profili, dove vivere nel silenzio, di fronte al mare, autoproducendo quanto più possibile (energia elettrica, calore dell’acqua, cibo).
Ed è durante i lavori, immersi nel silenzio e nella solitudine forzata, che Simone ha cominciato a scrivere “L’altra via” (Solferino), un libro che è il racconto di questa esperienza ma anche una riflessione sulla necessità di costruire per tutti un nuovo modello di vita, una strategia di sopravvivenza per rimanere esseri umani.
Una considerazione che parte da ciò che ciascuno di noi può fare, perché come afferma “Responsabilità vuol dire smettere di pensare che libertà è partecipazione: libertà è agire. Bisogna uscire dal pensiero comune. Ognuno sa di cosa ha bisogno, lo sente dentro e deve cercare di lavorare per questo”.
Come nasce questa necessità?
Già da quando avevo lasciato Milano tra il 2007 e il 2008 avevo ben chiaro che bisognasse mettersi in salvo. Ho lasciato un lavoro che pure amavo ma che non sentivo essere tra le cose per cui ero nato, cioè scrivere e navigare. Ho ristrutturato un fienile in Liguria e ho iniziato a vivere con pochissimo e a cambiare tutto l’ordine dei fattori della mia vita. È stato un processo lungo andato avanti negli anni: un cambiamento prima di tutto interiore che necessitava che diventassi un altro uomo che ancora non ero. Non si trattava di cambiare solo le economie o gli strumenti.
Per me qualunque scelta di vita gira intorno al tema della libertà, anche libertà di fare, di darsi da fare praticamente, di auto-costruire. Il contesto sociale non aiuta a fare queste scelte. Il problema poi è che non sono solo gli altri iniziano a guardarti male, lo fai tu stesso, ti senti isolato, emarginato e appartato. Bisogna avere il coraggio di andare avanti e costruire un altro modello.
Rinchiusi in città sempre più grandi, con spazi sempre più ridotti, costretti dai simboli, guidati dal denaro, oppressi da un ritmo sfinente, ci siamo allontanati dalla nostra natura. Tanto da non conoscerla più, da non ricordare neppure di averne una. Abbiamo poco spazio per la vita solitaria e per le relazioni autentiche.
La rincorsa alle comodità, l’eliminazione sistematica della fatica fisica dalle nostre giornate hanno operato uno svuotamento che ha generato spazio per l’ansia, la depressione, l’inettitudine manuale.
Con tua moglie avete fatto un ulteriore passo avanti scegliendo di vivere su un’isola greca e di ristrutturare un rudere con le vostre mani.
Sì, insieme abbiamo fatto una valutazione e abbiamo scelto di costruirci una casa su quest’isola greca, Citéra. Questa casa è un secondo passo importante nel nostro processo di cambiamento, che è sempre in atto: c’è ancora tanto da fare. Ci è sembrata l’occasione per fare ancora di più dal punto di vista dell’autonomia energetica, idrica, alimentare e artigianale.
Con il lavoro manuale diamo senso al tempo e alla vita, mentre oggi abbiamo tolto tutto ciò che costa fatica. Se hai tutto a portata di mano e velocemente, tu che cosa fai? Inoltre, quando hai lavorato tutto il giorno e hai male alla schiena, alla sera non c’è spazio per la depressione, hai altri problemi. Hai voglia di sederti e ripensare con orgoglio a quello che hai fatto.
Come possiamo tornare padroni del nostro tempo e realizzare L’altra via di cui parli nel libro?
Nel modo più semplice del mondo. Immagina quando vuoi tonificare i tuoi muscoli, vai in palestra e ci dedichi tempo. Stessa cosa se vuoi imparare una lingua, ci lavori su e riesci in quella cosa. Qui è lo stesso ragionamento: quanto tempo dedichiamo alla costruzione di una nostra stabilità psicologica? Quanto tempo stiamo da soli per misurare cos’è la solitudine? Quanto tempo e studio dedichiamo a noi stessi, a pensare ai momenti in cui siamo stati bene e a quelli in cui siamo stati male?
Se lavori tutto il giorno e non rifletti mai, come fai? Vogliamo stare bene ma non vogliamo fare niente per stare bene. Ecco, il segreto è dedicarci tempo e risorse. E questo è già un segnale che ci tieni davvero e che stai iniziando un percorso.
Da dove parte il cambiamento?
Il cambiamento parte dal singolo. Non ho visto finora possibilità dal mondo della politica, del governo e delle autorità. Se io ho cambiato qualcosa l’ho fatto come percorso individuale: se non cambio io non si muove nulla.
Occorre uscire allo scoperto, avere coraggio. Dobbiamo cogliere l’occasione e agire, facciamolo adesso. Partiamo da ciò che abbiamo più vicino, intorno a noi. Gettiamo via, ricicliamo, doniamo tutto quello che non ci serve, il superfluo, il ciarpame dell’oggettistica che affolla le nostre case. Facciamo pulizia, aria, spazio. Via le auto enormi, le seconde case inutilizzate, via i lavori medi non essenziali, via i traghetti che viaggiano vuoti, le navi che navigano incessantemente in attesa di carico, via le cariche incomprensibili sui biglietti da visita, via i servizi inessenziali, via la gran parte di ciò che non serve a fare fatica fisica, via i costi che si possono abbattere, via tutto quello che non viene fatto con passione o per passione. Ristrutturiamo, stop a costruzioni nuove, torniamo ad abitare i luoghi abbandonati e recuperiamoli. Compriamo solo quel che serve. Impariamo a fare le cose, a costruircele da soli.
Cos’è la Nuova èlite?
L’ho vista in questi due anni di pandemia: è una quota di persone non enorme ma neanche piccolissima che non è andata in ansia da paura da virus né ha negato le norme, ha preso le cose per quelle che erano, senza diventare succube del problema. Un gruppo di persone che hanno dimostrato di essere equilibrate, hanno saputo analizzare i fatti e cercato di capire. Sono però un’èlite inconsapevole, altrimenti si farebbe carico di condurre la danza, di guidare gli altri, mettendosi in contatto e prendendo le decisioni importanti.
I suoi membri dovrebbero agire e testimoniare, fare da guida, fare rete, rilanciando informazioni preziose, sostenendo ogni buona pratica anche in sede teorica e di comunicazione, per se stessi e verso il mondo intero
Basterà? Nei tempi duri questa domanda non conta. Bisogna solo fare tutto quello che si può. Oppure arrendersi.
Come ci ha cambiato la pandemia?
Senza dubbio si è mosso qualcosa: la necessità di cambiamento è diventata evidente per tantissimi, basti guardare al fenomeno delle grandi dimissioni. Ci sono sempre, però, delle forze che remano dall’altra parte: ecco perché la responsabilità è tutta individuale. Questo ovviamente costa fatica. Serve un cambiamento interiore che ha il suo prezzo, ma se il cambiamento avverrà sarà un’avanguardia che cambierà l’ordine dei fattori per la maggioranza.
Poi capirà, come è capitato a me, che vivere di solo lavoro applicativo presunto intellettuale non basta. Serve recuperare la manualità per coglierne le opportunità che dà nella costruzione del proprio equilibrio: inutile lavorare per guadagnare soldi per pagare cose che potrei costruirmi da solo. Bisogna provare a fare da sé: alla fine risparmierei denaro e avrei impiegato il mio tempo in maniera creativa. Anche a scuola dovremmo insegnare la manualità. Ho l’impressione che in futuro chi non sarà in grado di sbrigarsela da solo sarà in difficoltà e perderà opportunità di crescita.
Questa guerra ce lo sta facendo capire ancora di più, ci sta dando l’occasione per riflettere ulteriormente sui cambiamenti del tempo: se le grandi città sono sempre state viste come luoghi sicuri, ora non è più così. Serve avere della terra per un orto, una vasca per raccogliere acqua piovana, uno spazio all’aperto dove poter stare, uno spazio sicuro dove rifugiarsi.
Terrorismo, pandemia e guerre dove avranno il loro maggiore impatto se non sulle città?
Abbiamo alternative?
No. La meta potrà sembrare irraggiungibile, ma non conta. Se la rotta è corretta, il comandante deve solo navigare, anche se deve andare lontano, anche se è incerto di giungere mai a destinazione. Il porto, un bel mattino, apparirà all’orizzonte. Saranno forse i suoi marinai a vederlo, divenuti ormai comandanti, e se non loro i mozzi, cresciuti come buoni marinai. Ognuno per la sua epoca, ognuno per la sua parte, avranno tutti portato in salvo la barca. Insieme.
Voi a che punto siete coi lavori sull’isola?
Staremo qui per almeno tre mesi. C’è ancora moltissimo da fare: stiamo sistemando la vasca per raccogliere l’acqua piovana e stiamo lavorando per dare vita a un’agricoltura rigenerativa con il progetto della food forest, per il quale abbiamo piantato ben 150 alberi diversi tra loro, ognuno con una funzione precisa per l’ecosistema.