È più che una questione di genere quella che unisce le donne e il cinema del reale.
DocuDonna, Festival del Documentario a regia femminile, propone una rassegna di film internazionali realizzati attraverso lo sguardo delle donne e racconta la potenza artistica generata dall’incontro di questi due mondi. La manifestazione, quest’anno alla sua quarta edizione, si tiene a Massa Marittima i prossimi 9, 10, 11 dicembre e apre il territorio alle partnership con l’estero. Negli anni della kermesse centinaia sono state le produzioni arrivate da tutto il mondo: Francia, Iran, Cuba, Stati Uniti, Irlanda, Messico, solo alcuni dei Paesi in concorso. Per afferrarne l’essenza, tutti i film sono trasmessi in lingua originale, con sottotitoli in inglese e italiano. Durante la tre giorni sono previsti incontri con autrici e protagoniste del mondo del cinema.
DocuDonna affonda le radici nel terreno della creatività femminile, perché “Le donne parlano di tutto, e lo fanno in maniera spesso sperimentale”. A raccontarci l’esperienza del Festival la fondatrice e direttrice artistica Cristina Berlini, che aggiunge: “Siamo creatrici, procreatrici, creative”.
Perché un evento dedicato al cinema del reale realizzato attraverso lo sguardo delle donne?
La risposta che do sempre ‘è perché no’. È fondamentale in questo momento che ci sia un’attenzione alla cinematografia al femminile, che secondo me è stata per troppo tempo sottovalutata. C’è stato un cambiamento anche nei finanziamenti dei film a regia femminile da parte delle produzioni dopo il Me Too. Il documentario è spesso considerato un genere minore, un qualcosa che non è paragonabile al cinema vero. Il cinema del reale, invece, è il documentario: esiste una sceneggiatura, una regia, un progetto di ricerca. Ci sono varie tipologie di documentario e questo consente di essere molto creativi, infatti, sono tanti i giovani che si accostano al genere. Il documentario può avere varie forme, può ad esempio essere un cartone animato, se racconta il reale.
Nella tua esperienza che cosa può cogliere l’occhio delle donne in un ambiente a prevalenza maschile?
Non esiste una differenza. Noi tutti siamo governati da un principio femminile e maschile. A mio parere la diversità la si vede quando si parla del e sul femminile. Si comprende come cambino gli approcci: la lettura maschile è molto più romanzata.
Emergono temi ricorrenti nei documentari presentati?
Secondo me no. Anche se nei Paesi del Nord Europa sono state emanate una serie di nuove leggi che impongono ai Festival di presentare un determinato numero di produzioni al femminile, per non emarginare una determinata fascia. Nel momento in cui si può attingere da un bacino più ampio di donne, al tempo stesso l’indirizzo è quello di trattare temi che riguardino il femminile.
A chi parla la voce delle donne?
Non penso ci sia un pubblico particolare. Il messaggio è l’opposto: si può raggiungere qualsiasi tipo di interlocutore. Ognuno ha la propria preferenza artistica e creativa.
DocuDonna ogni anno si svolge a Massa Marittima, un legame con il territorio che rafforza la dimensione umana e naturale dell’evento.
Il paesaggio di Massa Marittima è particolarmente interessante. Per paesaggio intendo tutto quello che comprende non solo il panorama, ma l’intero contesto naturale e abitativo. Qui c’è la Maremma, c’è il mare. Siamo convinti che gli eventi di particolare spessore debbano essere fatti non solo nelle grandi città. Poi c’è l’accoglienza a fare la differenza. DocuDonna è un progetto etico, è importante rimanere sul territorio. Anche osando, ci sono tantissimi film internazionali che partecipano al concorso. Siamo aperti alle collaborazioni con altri eventi culturali e artistici, perché consentono di scambiare film, modalità, informazioni, esperienze; di non chiudersi e di rendere la città attiva.
Tra le partnership internazionali, DocuDonna ha una collaborazione che dura ormai da 3 anni con IFA, International FilmFestival di Assen. Con IFA si realizza uno scambio, per cui alcuni documentari italiani sono presentati durante la kermesse olandese con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Amsterdam, viceversa durante l’edizione italiana sono mostrati documentari olandesi. La collaborazione fra DocuDonna e IFA in Italia è stata sostenuta dal Consolato e Ambasciata dei Paesi Bassi – Roma e Milano.
Hai affermato:“Il Festival si propone di dare spazio alle registe di talento nel panorama internazionale”, viene dato poco spazio o sono le donne a prendersene poco?
Con DocuDonna ci poniamo il quesito e facciamo incontri con ricercatrici ed esperte del tema. Probabilmente esiste una consuetudine delle produzioni più grandi a preferire regie maschili. Come direttrice artistica del Festival invece confermo che esistono numerosi film di livello a regia femminile.
Intuito, sensibilità, empatia sono doti che appartengono a entrambi i generi e che potremmo ricondurre a un principio femminile. Quanto vengono valorizzate nelle scuole che formano alla regia?
A mio parere non esiste una cultura del cinema al femminile. Nelle scuole non vengono ad esempio studiate le grandi registe del cinema del reale. La regia come informazione che noi riceviamo è tendenzialmente prerogativa maschile. Non è vero. È l’abitudine a non percepire la donna protagonista. La creatività è universale.
Come si presenta il mercato straniero rispetto alla valorizzazione del femminile?
La situazione nei Paesi del Nord Europa è paragonabile all’Italia. Le produzioni a regia femminile sono di numero simile al nostro, anzi, nel 2021 rispetto al 2020 sono state in lieve calo.
Nell’edizione 2022 del progetto partner ‘Bosk’, Docudonna presenta una selezione di documentari internazionali che mostrano come le donne stiano contribuendo alla protezione dell’ambiente e della biodiversità. C’è una forza creativa che accomuna la terra e il femminile?
Quando mi chiesero come DocuDonna di partecipare a Bosk (progetto di Arcadia, dall’idea dell’artista paesaggista Bruno Doedens, ndr) ho iniziato a fare alcune ricerche e ho scoperto un mondo di attivismo portato avanti dalle donne, ad esempio con l’ecofemminismo. Negli anni ’70 le donne Chipko crearono il movimento Hug The Tree Movement e abbracciavano gli alberi ai piedi dell’Himalaya; molte tribù femminili del Sud America sono ambientaliste, le abitanti della Patagonia percorrono a piedi migliaia di chilometri per bloccare la deforestazione. Ci sarà durante il Festival olandese un panel con Amnesty International dove si esplorerà come le donne con l’ecofemminismo possano essere incisive, anche a rischio della vita, nel determinare un cambiamento.
La donna può fare la differenza.
Il tema del femminile è molto attuale. C’è il rischio di inquadrarlo in stereotipi ed etichette?
Assolutamente, mi stanno anche abbastanza strette alcune situazioni in cui non c’è un’intenzione autentica. Si tratta, di nuovo, del modo maschile di approcciarsi al creativo femminile per arrivare a un determinato bacino di pubblico e di utenza. Il cuore è altro. Con DocuDonna miriamo alla qualità. Nella selezione dei documentari scegliamo attentamente quali inserire in rassegna, perché anche l’accostamento di un film con un altro dà il panorama di cosa sia la regia al femminile.
C’è a tuo avviso una maggiore consapevolezza del proprio valore da parte delle donne rispetto agli anni passati?
Forse sì, avendo la possibilità di poter accedere a un maggior numero di finanziamenti. Paesi come il nostro spesso non consentono di essere madre e lavoratrice soddisfatta e creativa. La situazione è certamente migliorata perché a livello sociale ci sono più aiuti, ma siamo lontanissimi da una reale parità di genere.
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Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.