Un’organizzazione pensata come un essere vivente, una comunità senza gerarchie in cui la leadership è partecipata e orizzontale e in cui le persone possono trovare un senso e un compimento di se stessi, al di là del compenso.
É questa la realtà che vive chi lavora in mondora srl sb, software house con sede a Berbenno, in Valtellina, parte del gruppo TeamSystem e specializzata nella fornitura di servizi IT per le aziende, fondata nel 2002 da Francesco Mondora con il fratello Michele Mondora. Mondora è una Società Benefit e Bcorp: nel 2019 è stata insignita per la quarta volta consecutiva del premio Best for the World, riservato alle Bcorp con le migliori performance in Europa e nel mondo.
Francesco Mondora, Co-Ceo di mondora, non si definisce un leader ma un “mantenitore di spazi, un testimone di quello che i suoi colleghi (non dipendenti, nota bene) stanno facendo, il dipinto collettivo che nasce da un’unica tavolozza di colori”.
Qual è il mondo che vorrebbe?
Un mondo senza sofferenza, in cui si riesce a far tesoro di ciò che ci accade facendolo diventare felicità. Viviamo in un’epoca davvero interessante in cui possiamo realmente fare la differenza e trasformare tutto ciò in cui operiamo, quindi anche il nostro lavoro, in qualcosa che sia ‘trasformativo’, che sia moltiplicatore di luce, come un prisma.
Dalla ‘moderna schiavitù’ all’evoluzione
Il lavoro dovrebbe essere remunerato solo se produce valore per il singolo e per l’umanità. Le aziende devono servire un proposito evolutivo, devono essere un organismo in cui l’uomo è libero dai pregiudizi e dalle catene del lavoro e del danaro, che si traducono in una moderna schiavitù. Quanto spesso invece diventano sistemi in cui l’individuo non è libero, ma rincorre una chimera che poi in realtà non trova?
Come si traduce questo pensiero all’interno di mondora? Sembrerebbe un sogno impossibile…
Essere Benefit non deve essere una semplice etichetta, ma implica un nuovo modello di governance: un sistema che rompe gli schemi classici e in cui la governance è decentrata e distribuita.
Ed è quello che succede in mondora. Questo vascello, nato ormai 19 anni fa, lo stiamo governando insieme: 71 persone, 71 colleghi che hanno tutti in mano il timone dell’essere benefit, dei ricavi, delle perdite e delle crescite personali. Se questo coro lavora in maniera armonica, la canzone esce bene.
In mondora non ci sono capi o gerarchie.
Si lavora per gruppi di responsabilità, che chiamiamo cerchie, che si impegnano ad armonizzarsi tra loro, come succede con il battito del cuore. Ogni persona partecipa a più gruppi, che siano gruppi operativi su progetti o più ‘alti’, e il modello decisionale include tutti. É un processo interessante quello decisionale, che ci coinvolge tutti in tre fasi: quella dei chiarimenti, quella della reazione – in cui ognuno dice la sua rigorosamente a turno -, e la fase della decisione, basata sul principio dell’obiezione e dell’integrazione. Portiamo le persone a ragionare con una logica diversa: non si decide a maggioranza, perché le decisioni prese a maggioranza implicano una minoranza che prima o poi spingerà per modificare le scelte della maggioranza.
Leadership partecipata
Rivoluzionaria in mondora è anche la cultura del feedback e della crescita personale.
La cultura del feedback noi la facciamo seguendo la logica della cibernetica: il feedback non lo devi dare al singolo, ma al sistema, che poi lo ritorna alla persona. É quello che si chiama retroazione. Anche i processi di crescita delle persone sono all’insegna della condivisione e della trasparenza: per ciascun collega è previsto un evento all’anno, che chiamiamo Indaco (Inter Independence Agreement and Commitment), in cui la persona nomina una cerchia di 7/10 suoi ‘portatori di interesse’, che possono essere persino clienti, che interverranno nel corso dell’incontro per prendere coscienza insieme e in maniera positiva dei passi avanti del collega, dei suoi punti di forza e della sua crescita futura.
Profitto e umanità
A tutto ciò aggiungiamo che con il covid abbiamo chiuso gli uffici, un vero cambio radicale. Una decisione presa collettivamente, così come quella di trasformare i soldi della locazione in ‘budget di solidarietà‘ per tutti i colleghi: arrivano le fatture con panini e birre e cose così.
Mondora coniuga dunque profitto e umanizzazione del lavoro con un’attenzione particolare anche al territorio.
Ogni 20 persone che lavorano in mondora assumiamo un agricoltore: i nostri farmer sono colleghi a tutti gli effetti. Lavorano 7 ettari di terreno e quello che producono viene distribuito ai colleghi ogni 2 settimane. Chi lo desidera può anche destinare alcune ore lavorative a dare una mano a chi coltiva. Abbiamo poi un altro bel progetto per il territorio, che si chiama Hire Bitto: per ogni nuovo assunto mondora acquista una forma di formaggio valtellinese Storico Ribelle – il Bitto Storico – per sostenere quest’industria locale. Facciamo in modo che questa forma acquisisca valore e dopo tre anni lo mettiamo all’asta: il ricavato viene reinvestito in altri progetti benefit sul territorio.
Che cosa consiglierebbe ai più giovani, che entrano nel mondo del lavoro spesso spinti da tanta passione e che poi si ritrovano imbrigliati in logiche e dinamiche lontane da quelle che stiamo descrivendo?
I giovani devono essere degli innovatori. A loro dico: siate un cambiamento intenzionale, affrontate le sfide con un approccio olistico e trasformate qualcosa di esistente in qualcosa di nuovo generando impatto.
Mi rifaccio letteralmente a questa citazione, tratta dal libro “Impatto. Il percorso interiore che libera il tuo potenziale innovativo”, di Sujith Ravindran e Fabio Salvadori: “L’innovazione è una cambiamento intenzionale guidato dall’uomo, di qualcosa di esistente in qualcosa di nuovo, che genera un impatto”.