“Un giorno senza sorriso è un giorno perso”, diceva Charlie Chaplin.
Quotidianamente ridiamo in media tra le 16 e 17 volte: è il nostro corpo a chiederlo. La risata è esigenza fisica e mentale, un movimento di liberazione, un’esplorazione del nostro essere. Gesto istintivo che ci accompagna sin da neonati, se espressione di emozioni positive ci conduce verso il benessere, se inserito in un sistema di sovrastrutture di pensiero ci porta alla deriva.
A indagare i diversi volti della risata e quanto questa possa incidere o a sua volta essere influenzata dalla nostra libertà, Sergio Spaccavento, Chief Creative Officer presso Conversion E3 (Gruppo Digitouch) e autore del libro “Che cazzo ridi? Dialoghi sulla libertà di ridere” nelle librerie da domani. Da Elio a Renzo Arbore, da Nino Frassica a Claudio Bisio, attraverso dialoghi con artisti e pensatori del panorama italiano Spaccavento indaga il ridere in ogni sua forma attraverso un’analisi filosofica, politica e sociale.
“C’è tantissimo bisogno di felicità effimera” dice. Così un atto liberatorio diventa rivoluzionario.
Qual è il potere della risata?
La risata ha un potere enorme, spesso sottovalutato. Negli anni la sua forza è stata studiata dal punto di vista filosofico, sociologico, psicologico, con vari ritorni di fiamma: sono tantissimi i professionisti delle varie discipline, dai pensatori dell’antica Grecia a Freud, da Pirandello a Bergson, che hanno valorizzato l’umorismo in maniera scientifica. Come gli altri poteri, anche quello riferito alla risata può avere un’accezione positiva e negativa. Ci si immagina che il riso sia sempre sinonimo di allegria, ma a volte non è così. Faccio un esempio: c’è chi ha studiato la mutazione umoristica di Vladimir Putin nei suoi diversi mandati, dimostrando che c’è dietro una tecnica di comunicazione politica voluta e raffinata.
Nel suo primo mandato presidenziale, il suo umorismo era connotato da barzellette volgari (ovvero destinate al volgo), mentre nel suo terzo mandato le sue storielle sarcastiche sono diventate quasi parabole. Una miglioria di chiave comica che cerca e trova un utilizzo simbolico, educativo, o meglio, manipolatorio. Era una tecnica che usava anche Silvio Berlusconi, le famose barzellette di Berlusconi, che ai tempi fu anche censurato al Parlamento Europeo. Se anche la politica ne fa uso, sicuramente la risata non è qualcosa di completamente innocente.
La risata, come reazione naturale del nostro organismo, comporta un movimento anche corporeo. Destruttura improvvisamente uno stato d’animo. E questo comporta cambiamento…
Negli anni la scienza si è concentrata nello studio delle sensazioni negative come la depressione e l’ansia, perché erano patologiche e serviva una cura. Ci si è dimenticati dal punto di vista fisiologico di quello che succedeva con la risata. La gelotologia, disciplina che studia quello che succede nel nostro corpo con la risata, è abbastanza moderna. Accade dal punto di vista fisico qualcosa di incredibile. Durante la risata aumenta l’ossigeno nei polmoni, accelera il ritmo cardiaco, migliora il flusso del sangue, si producono le endorfine, accadono fenomeni che non possiamo fermare, sono istintivi. Il primo riso nei neonati avviene tra il terzo e il quarto mese di età: non c’è nessuno che ce lo ha insegnato, né avviene per emulazione, è qualcosa che esplode all’interno del corpo.
La risata come atto creativo…
Uno dei motivi per cui si ride è quando si comprende il deragliamento. Ci si confronta con qualcosa che in teoria è logico e lineare, ma nell’interpretazione arriva quella informazione che fa rileggere tutto il contesto. Ci sono teorie che dicono che le persone ridono perché hanno capito il ‘gimmick’ all’interno di quella storia. Nel momento non tutto fila come dovrebbe, in quello che si chiama il ‘punchline’ nella stand up comedy, si ride e il cervello rilascia endorfine per premiarti, una sorta di ricompensa, affinché si cresca dal punto di vista intellettuale e cognitivo.
La risata spesso presuppone distacco, una sorta di non identificazione che offre la possibilità di essere in un modo diverso.
È una delle varie soluzioni positive della risata: l’autoironia, cioè la possibilità che ciascuno si dà di trovare sollievo, minimizzando il problema. Un balsamo dell’anima per accettare alcune situazioni.
Tanti anni fa durante una mia vacanza studio negli Stati Uniti frequentavo i Comedy Club, incontrai una persona che mi parlò del ‘Green humour’, associato ai deportati nei lager della Seconda Guerra Mondiale, uno stile d’umorismo contestualizzato alla drammatica situazione che stavano vivendo. Le battute servivano a mantenere una situazione bilanciata in un mondo che non aveva più senso. Lo humor si definiva “green” dal colore della bile. Esiste un altro tipo di umorismo, un’esasperazione dell’autoironia: il ‘Gallows humour’ (tradotto umorismo da patibolo ndr). Si tratta del Nirvana: nel momento in cui si accetta l’ineluttabilità della vita e della morte, ci si può permettere il distacco. Un esempio con una battuta: prima di una condanna definitiva ‘Vuoi una sigaretta come ultimo desiderio?’ La risposta è ‘No, e se poi prendo il vizio?’.
C’è stato a livello sociale, in questo periodo così complesso, pudore nell’arte di far ridere?
Se la domanda è si può ridere di tutto, anche del covid, la risposta è ‘dipende’. Se si è tutti sulla stessa barca, ‘quel mal comune mezzo gaudio’ che si persegue con l’autoironia, può servire a mantenere una sorta di attenzione e di equilibrio emotivo e morale. Ci sono diversi esempi virtuosi che abbiamo avuto in Italia in questi mesi: da Zerocalcare a Leo Ortolani, tanti sono riusciti anche in una maniera un po’ dura a far sorridere della situazione pandemica in generale. Diverso è quando la problematica tocca da vicino. Lenny Bruce, famoso stand up comedian statunitense, diceva che la satira è tragedia più tempo.
Il covid rappresenta una situazione drammatica a noi vicina. Riccardo Pirrone, social media manager di Taffo con cui ho dialogato nel libro, dice che riesce a fare black humor nel momento in cui prende in giro la morte, ma non i morti.
Se il dramma tocca nell’immediato bisogna farle humour con attenzione, scegliere il contesto, il target e soprattutto, come prima regola, che vale sempre, bisogna fare ridere.
Secondo te, come hanno vissuto durante la pandemia i diversi mezzi il rapporto con la comicità?
La televisione ha un regolamento non scritto. Ci sono canali e pubblici dove c’è una gestione, il pensiero deve essere proposto e condiviso.
Diverso è il caso dei social, del teatro, del cinema o del cabaret.
Io credo che più che collegato al covid ci sia qualcosa di cui dobbiamo fare molta attenzione, cioè l’estremizzazione del politically correct. Non c’è assolutamente un filtro critico.
Federico Fellini diceva:
“La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte”.
Nel tuo libro dialoghi con alcuni autori che hanno subito la censura. La risata si associa alla libertà di esprimersi e di essere, che cosa hai raccolto dalle diverse voci ascoltate?
Sono partito con un pensiero: da libertario pensavo che la libertà d’espressione bisognasse concederla ‘alla Voltaire’, in maniera più diretta possibile, sempre e in qualsiasi momento. Per me la libertà di scherzare su tutto doveva essere premessa necessaria per valutare anche lo stato di democrazia di un Paese. La verità è che dialogando con altre persone, si prendono, raccolgono e confondono punti di vista diversi e si arriva a conclusioni nuove da quelle iniziali.
La vera censura, come dice Antonio Rezza (tra gli ospiti del libro ndr), è quella bianca, di cui non si conosce nulla: l’opera non parte e cade nell’oblio. Quella è una censura di cui avere paura. Per il resto nelle nostre società la censura si trasforma spesse volte in pubblicità.
Stefano Andreoli, fondatore di Spinoza, da te intervistato afferma: “Tutta la satira che circolerà su internet lo farà solo perché sarà il sistema a consentirlo, dandoci un’illusione di libertà”. Quanto la risata si accompagna a una maggiore consapevolezza?
La verità è che noi crediamo di usare la rete e i social pensando di essere in posti pubblici, ma sono luoghi privati. L’intelligenza artificiale ci conosce meglio di quanto pensiamo. Non siamo nemmeno liberi di avere degli input casuali, tutto è frutto di targettizzazione estrema. Il sistema di intelligenza artificiale si adatta a ciascuno e viceversa. Nel momento in cui si è focalizzati su un unico mezzo, come oggi con la rete e un tempo con la televisione, non ci si informa, non si cercano fonti diverse, si rimane programmati da codici binari che vengono costruiti ad hoc.
La risata spesso esalta il lato umano. Quanto abbiamo necessità in questo momento di avvicinarci alla nostra natura?
Ridere non è altro che un rilasciamento di una tensione. Una battuta è formata dall’introduzione, sviluppo e deragliamento. Le prime due parti costituiscono il set up, cioè servono a introdurre la situazione, il luogo, gli attori. Si pensi a un palloncino che si gonfia, nel momento in cui scoppia o sfugge dalla bocca dello storyteller avviene il deragliamento, questo crea una situazione di labile e semplice felicità. Quando ci allontaniamo dalla risata, probabilmente c’è qualcosa che non funziona.
Tutti hanno il senso dell’umorismo, solo che ogni persona ride per motivi diversi.
Perché la passione per l’arte di far ridere?
Mi reputo una persona simpatica, mi ha sempre aiutato la capacità che avevo di scherzare, mi ha salvato da situazioni particolari. Nella quotidianità applicavo diverse tecniche e chiavi comiche senza rendermi conto della meccanica che c’era dietro. Quando ho scoperto che esistevano manuali sul tema e grandissimi rappresentanti del mondo della cultura che avevano studiato l’argomento, ho iniziato ad appassionarmi in maniera retroattiva. Sono andato a riportare la risata sui binari del pensiero e della costruzione semantica, mi è piaciuto.
Come dice Umberto Eco:
“Il comico una faccenda difficile: a capirlo si è risolto il problema dell’uomo su questa terra”.
In un momento in cui si chiede responsabilità di se stessi e degli altri, può la comunicazione intervenire in maniera ironica? Se sì, in che modo?
Quando nel no profit si realizza un intrattenimento dove il brand è eroe, coinvolgendo il pubblico con un tono di voce umoristico, si vince. Ho diverse case history collegate a messaggi sociali dove l’ironia è riuscita a migliorare l’angagement, la memorabilità fino alla call to action.
Un tempo si pensava che lavorando esclusivamente sul senso di colpa si riuscisse a prendere la conversione economica di quel messaggio. In parte era vero, perché magari con l’intenzione di voler scappare da quella situazione imbarazzante e dolorosa si era disposti a pagare, ma non si stava costruendo fiducia intorno al brand. Se si equilibra la parte seria con quella empatica, si fidelizza. Si costruisce un racconto le cui informazioni vengono accolte in maniera più naturale.
C’è qualcosa che ti fa particolarmente ridere?
Questa è un po’ una maledizione. L’umorismo si basa tanto sulla sorpresa e io mi pongo sempre come osservatore, cercando di prevedere la fine dello sketch, difficilmente mi meraviglio e quindi rido.
Mi piacciono però le storie surreali, i giochi di parole riusciti, e la satira sociale che prende in giro le piccole follie umane.
Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.