Maurizio de Giovanni
Maurizio de Giovanni

Maurizio de Giovanni: l’arte di raccontare storie

In un paese in cui la popolazione legge meno di tutti gli altri cittadini europei, e in cui la copertina di un libro è considerata meno “attrattiva” rispetto allo schermo di un televisore o di uno smartphone, vedere uno scrittore “inseguito” dai fan, quasi come una rock star, è qualcosa che colpisce.

Maurizio de Giovanni, classe ’58 e orgogliosamente napoletano, è uno degli scrittori più conosciuti e apprezzati del momento; lo abbiamo incontrato nella sua casa al Vomero, da cui si gode uno splendido panorama della città, che è per lui linfa e fonte di ispirazione.

Maurizio è il “papà” del Commissario Ricciardi, dei Bastardi di Pizzofalcone e di Mina Settembre (solo per citare le sue creature più famose), da cui sono state tratte le omonime fiction che hanno sbancato l’Auditel.

Il suo telefono squilla di continuo, tutti lo cercano per invitarlo ad un evento o per un’intervista, per una presentazione di un libro o per un’ospitata televisiva; pazientemente e cortesemente, Maurizio riesce a incastrare tutte le richieste. Ed ecco il tempo per noi.

Quoziente Humano si propone di diffondere messaggi a impatto positivo: quanto ha contribuito Maurizio de Giovanni a veicolare un’immagine positiva di Napoli da contrapporre agli stereotipi negativi che spesso vediamo in TV?

Sai, in realtà io sono convinto che nella narrativa il messaggio competa al lettore, non allo scrittore: lo scrittore racconta una storia, ma sta al lettore tirarne fuori il messaggio, sia dai personaggi che dalla trama e dall’ambientazione. Io provo a raccontare Napoli da una prospettiva centrale, non periferica. Da questa prospettiva, che è mista e mediata, io credo di inquadrare sia il bene che il male, anche se non è un fatto voluto, ma l’essere profondamente innamorato della mia città è, certamente, un fattore che incide.

Tu sei un grande tifoso, quindi sai bene che lo scudetto del Napoli è stato una forte occasione di coesione sociale, l’apice in un percorso di evoluzione e trasformazione culturale che la città aveva già iniziato da diversi anni: quanto senti di aver contribuito con le tue opere?

In un tempo come questo, basato sul racconto e sullo storytelling, credo che la mia narrazione della città abbia sicuramente avuto un peso, anche se non saprei dirti quanto abbia inciso la mia, tra le tantissime narrazioni di Napoli. Io credo che la mia città sia peculiare, non comune; Napoli è strana, e in quanto tale è in qualche modo considerata esotica, dagli stessi italiani. Pertanto, ritengo che la mia narrazione, insieme a quelle della Ferrante, di Patrizia Rinaldi, così come di Peppe Servillo o delle varie fiction, siano tutte narrazioni che definiscono nel complesso una Napoli diversa e particolare, e credo che questo attragga molto.

Parliamo del tuo primo personaggio, il Commissario Ricciardi: è un poliziotto che opera in un contesto storico molto particolare, ossia gli anni del ventennio fascista. La percezione che il lettore ha, è quella di un uomo, la cui sete di giustizia non si limita solo alla ricerca “canonica” del colpevole, ma emerge anche nel suo opporsi alla prepotenza e alle vessazioni da parte dei potenti di quel periodo storico.

Sì, è così. Ricciardi è ciò che comunemente potremmo definire un “cane sciolto”, ossia un investigatore non organico al periodo politico, ma neanche un dissidente. È semplicemente al di fuori delle logiche del potere, contro le quali si contrappone in maniera naturale nell’ambito della sua attività, dal momento che in quel periodo storico l’ingerenza del potere, anche nelle indagini comuni, era frequente. Quindi Ricciardi, pur essendo un personaggio di fantasia, in realtà credo che risponda alle caratteristiche di molte persone dell’epoca, che vivevano male un certo tipo di costrizione da parte del potere.

Nel 2019 è uscito “Il pianto dell’alba”, annunciato come l’ultimo della serie del Commissario Ricciardi. Poi invece dopo tre anni, a sorpresa, è uscito “Caminito”, che ha restituito Ricciardi ai suoi fan. Quali sono state le motivazioni che ti hanno indotto a ripensarci, e quanto ha influito la pressione dei lettori?

Ciò che ha influito non è stata la pressione dei lettori, ma un infarto che ho avuto l’anno scorso: sono stato ricoverato per un periodo in terapia intensiva, trovandomi di fronte alla possibilità concreta di non scrivere mai più.

Storie di rinascita

A quel punto mi sono chiesto se avessi altre storie di Ricciardi da raccontare, e ho capito che in realtà le avevo, perché la decisione di non scrivere più romanzi di questo personaggio era solo un fatto razionale, non artistico; in sostanza, non ho interrotto le sue avventure per mancanza di idee o di nuove storie, ma solo perché avevo deciso razionalmente di non scriverne più.

E così, riflettendo seriamente su questo punto, ho promesso a me stesso che, se fossi uscito da quell’ospedale con le mie gambe, avrei raccontato queste nuove storie di Ricciardi. E per fortuna è andata così.

E veniamo ora a “I Bastardi di Pizzofalcone”, serie ambientata ai giorni nostri: i poliziotti protagonisti della fiction sono personaggi con un vissuto pesante e problemi disciplinari alle spalle, considerati degli “scarti” della società e relegati in un commissariato considerato una “feccia” dallo stesso corpo di polizia; ma attraverso un gioco di squadra riescono a crescere, ad andare oltre i propri limiti e a riscattarsi. Quanto è importante che questa serie abbia come protagonisti degli “emarginati” che stanno dalla parte della “legalità”, in contrapposizione al “modello” Gomorra, in cui l’emarginazione sociale genera criminalità?

Io credo che non sia una contrapposizione, ma siano semplicemente modalità narrative diverse: Gomorra fa una scelta, che è quella di raccontare un mondo dal suo interno, in cui non ci sono controparti, perché in quella fiction i “buoni” non esistono (al contrario di Mare fuori, in cui i “buoni” ci sono e operano); in un certo senso, anche I Bastardi di Pizzofalcone fa una scelta simile, cioè di operare all’interno di un mondo, che però in questo caso è un Commissariato di Polizia; il racconto prende in esame delle persone che hanno seri problemi e situazioni di difficoltà, ma all’interno di quel mondo, che opera in favore della legalità. Quindi credo che siano solo dei diversi “punti di vista”. 

Ricciardi e Lojacono (protagonista principale de I Bastardi di Pizzofalcone): è corretto dire che i tuoi “eroi”, pur avendo una grande sete di giustizia, non sono però dei “giustizieri”? (Cosa che invece si vede spesso in altri personaggi letterari e cinematografici).

Certamente, è proprio così. Questi due personaggi spesso si scontrano nella differenza che c’è tra legge e giustizia, che sono due cose diverse. Nel loro caso, operano in favore della giustizia, ma a volte attraverso azioni che non sono propriamente legali, soprattutto per quanto riguarda Ricciardi. Essere “giustizieri” non è il loro compito, mentre sarebbe più appropriato definirli dei “cercatori di verità”.

I tuoi personaggi, nella loro vita privata, hanno una cosa in comune: sentimentalmente sono sempre indecisi tra due amori, e i lettori (o spettatori), si spaccano tra chi fa il tifo per una pretendente e chi invece per l’altra. Quando hai iniziato a scrivere i primi episodi, avevi già deciso chi l’avrebbe “spuntata”, oppure lasci che la vita di ogni personaggio scorra in maniera naturale e autonoma, senza chiederti come andrà a finire?

Ho sempre lasciato andare la storia, per il semplice motivo che, quando inizio un romanzo, lo scrivo come se fosse “singolo”, non ho mai avuto la presunzione di pensare che ogni personaggio dovesse dar vita ad una “serie”. Ma anche adesso che sono di fatto diventate delle “serie”, ogni volta che scrivo una nuova storia di uno dei miei personaggi, la penso sempre come se fosse l’ultima. Quindi non ti saprei dire come andrà a finire, perché non lo so!

Adesso parliamo di Sara, l’ex agente segreto in pensione, il personaggio del tuo ultimo romanzo “Sorelle”. Anche lei, come Ricciardi e Lojacono, è caratterialmente un “lupo solitario”, una persona silenziosa e introversa… eppure tutti e tre vivono e operano in una città che silenziosa e introversa non è per nulla! Anche questa scelta è un modo per combattere gli stereotipi (a volte macchiettistici), a cui ci hanno abituati?

Chiunque sia napoletano sa che la maggioranza dei napoletani è così: il napoletano non è “caciarone”, non è “casinista”, né “sovrabbondante” (anche se ovviamente ce ne sono); ma sono molti di più gli introversi, le persone silenziose e introspettive. Poi, in realtà, Ricciardi e Lojacono non sono neanche napoletani, perché Ricciardi è cilentano, mentre Lojacono è siciliano. L’unica è Sara, ma è una napoletana borghese, ed anche questa è una scelta di un punto di vista. Sara ha una psicologia molto particolare (direi patologica), con le sue fobie nei confronti della menzogna e dell’insincerità, il suo rigore e la sua severità, soprattutto con se stessa.

Tra le caratteristiche di Sara, c’è la capacità innata di “carpire” le conversazioni di estranei a cento metri di distanza, interpretando il linguaggio del corpo e la lettura del labiale. Se tu avessi la sua dote, quale conversazione ti piacerebbe (o ti sarebbe piaciuto) captare?

Forse nessuna. Certe cose è meglio non saperle e questa intromissione negli altri, questa capacità di tirar fuori la verità, non credo siano un fatto positivo. A volte la sincerità può essere molto peggio della finzione, per cui non vorrei mai avere i suoi “superpoteri”.

Il Commissario Ricciardi, I Bastardi di Pizzofalcone e Mina Settembre sono diventate serie TV che hanno fatto ascolti record su Rai1, e tra poco vedremo (su Netflix) anche Sara. Come sappiamo, gli adattamenti cinematografici dei romanzi, spesso, non rispettano l’originale. Quanto è difficile per un autore accettarlo, e vedere in TV le proprie storie manipolate e le proprie creature snaturate?

Non è facile e ci vuole tempo. Ma dopo un po’ capisci e accetti il fatto che, mentre per un romanzo tu sei l’unico responsabile della narrazione, per un’opera cinematografica (che è in un altro linguaggio), le persone che ne prendono parte hanno il diritto di esprimere la propria creatività e dare il proprio contributo alla narrazione. Non puoi limitare la creatività di un regista o di un direttore della fotografia, semplicemente perché da autore l’hai immaginata in maniera diversa! Naturalmente, per comprendere e metabolizzare tutto questo ci vuole tempo, perché istintivamente sei portato a conservare la tua idea e la tua immaginazione, ma è giusto che sia così. D’altronde, suppongo ci sia una storia diversa anche per ogni lettore, all’atto della lettura. Quindi devi entrare nell’ordine di idee che le tue storie sono condivise, e a quel punto riesci ad accettarlo.

Tutti sanno che nella città di Napoli, oltre al tradizionale turismo d’arte e paesaggistico, esiste anche un turismo “calcistico”, con veri e propri pellegrinaggi al famoso murales di Maradona, nei Quartieri Spagnoli. Ma non tutti sanno che è nato anche un turismo “letterario”, proprio grazie ai tuoi romanzi, con itinerari (con tanto di guida turistica), che ripercorrono i luoghi delle passeggiate del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone; ci vuoi raccontare com’è nata questa idea?

È nata da operatori turistici e gruppi di guide, che hanno concordato questo tipo di itinerario principalmente con Paola (n.d.r. la sua compagna); io ne sono molto contento, soprattutto perché quando le mie storie riescono a creare lavoro, in particolare per i giovani, io ne sono felice. Questo accade per gli attori, per le comparse e per tutte le maestranze che lavorano nelle fiction, oltre che per le guide turistiche. Di itinerari ce ne sono diversi: due per I Bastardi di Pizzofalcone, quattro per Il Commissario Ricciardi e anche uno per Mina Settembre. Di Sara non c’è ancora nulla, perché stanno ultimando la serie (che sarà visibile a breve su Netflix), ma soprattutto perché, a differenza degli altri, nei romanzi di Sara non ci sono luoghi definiti e riconoscibili, dato che l’ambientazione è un “non-luogo”.

Ricciardi, come abbiamo detto, è un commissario che vive e opera nella Napoli del periodo fascista, ma è dotato di un potere “soprannaturale”, che gli permette di vedere i fantasmi delle vittime dei delitti e di udire le loro ultime parole, semplicemente sostando nel luogo in cui il crimine si è consumato. Se per un solo giorno potessi avere i poteri del Commissario Ricciardi, per vedere e ascoltare le ultime parole del fantasma di una vittima di un famoso delitto irrisolto, dove vorresti essere e il fantasma di chi vorresti vedere?

Non saprei… anche se mi piacerebbe sapere cosa è successo a Papa Luciani, ma magari mi troverei di fronte ad una morte naturale… in realtà trovo molto interessanti anche i casi di alcuni oligarchi russi morti in maniera misteriosa, in particolare quelli che più recentemente si erano opposti a Putin, ma come ho accennato prima, non so fino a che punto sia positivo conoscere certe verità.

Dal romanzo alla realtà

Usciamo dai personaggi, ed entriamo nella tua vita reale: per anni hai tenuto dei laboratori di scrittura all’interno del carcere minorile di Nisida. Vuoi parlarci di questa esperienza? Cosa ti ha lasciato?

È stata un’esperienza fantastica e molto toccante, condivisa insieme con altri scrittori, che mi ha arricchito moltissimo! Era un laboratorio organizzato da un’insegnante meravigliosa, di nome Maria, che poi però è andata in pensione e purtroppo il laboratorio non si è più ripetuto. Devo dire che è stata un’esperienza più produttiva per me che per i ragazzi, perché ho ascoltato storie di vita profondamente coinvolgenti e particolari.

In particolare cosa ti ha colpito?

Mi ha colpito il fatto che molti dei ragazzi avevano figli. Stiamo parlando di ragazzini di 13-14 anni, che a quell’età erano già padri di famiglia! Capirai bene che essere padre comporta il fatto che, anche a questa età, devi portare dei soldi a casa per mantenere la famiglia, per cui, vedere ragazzini che devono procurarsi soldi e sono disposti a tutto (e quindi a delinquere), è qualcosa di profondamente triste…

Abbiamo parlato di te e dei tuoi personaggi. Per concludere questa intervista, c’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Vorrei ringraziare i lettori per l’enorme favore che riconoscono ai miei romanzi: Sorelle, che è l’ultimo della serie di Sara, è già alla sesta edizione in tre mesi, ed ha già superato le 100.000 copie, mentre Caminito (che è l’ultimo della serie del Commissario Ricciardi), ha superato le 130.000! Avere la fortuna di rientrare tra gli autori più venduti mi onora e mi commuove, per cui, ogni volta che ne ho l’occasione, ci tengo sempre a ringraziare i miei lettori.

Ormai sono quasi le otto di sera e il panorama del golfo ha assunto i colori del tramonto. Le sue parole sono fluite in maniera naturale e scorrevole, così come i suoi romanzi, perché raccontano le storie di vita di personaggi ordinari e allo stesso tempo stra-ordinari.

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Musicista e scrittrice

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