Luca Speciani è medico chirurgo, già agronomo alimentarista. Dalla sua intuizione ha preso forma un sistema di cura integrato che ragiona sugli stili di vita per il benessere e che ha chiamato ‘Medicina di segnale’, dando vita a numerosi progetti tra cui il metodo ‘dietaGift’.
Erede insieme al fratello Attilio, immunologo, della visione del padre Luigi Oreste, fondatore della medicina psicosomatica in Italia e pioniere dell’omeopatia nel nostro paese, Luca Speciani è direttore delle riviste mensili ‘L’altra medicina’ e ‘Muoversi’ e fondatore di AMPAS, associazione di medici per una alimentazione di segnale.
AMPAS fa parte della Società Italiana di Medicina (SIM), rete di associazioni di professionisti della salute, nata nel 2022 dopo gli anni divisivi del fenonemo Covid, “per creare occasioni di confronto libero e sereno adatto allo scambio di conoscenze medico-scientifiche e di cultura medica a 360°”.
Dottor Speciani, innanzitutto cos’è la medicina di segnale?
Siamo partiti da un concetto di alimentazione come segnale di benessere e salute e ci siamo resi conto che ottenevamo la possibilità di ridurre l’uso di farmaci, o di integratori, si ottenevano dimagrimento, miglioramento della pressione, delle funzioni tiroidee, miglioramento cognitivo. Siamo poi passati a una vera e propria medicina di segnale: il medico di segnale è colui che utilizza un approccio causale nei confronti della malattia, ricerca ciò che l’ha provocata, non si limita alla soppressione dei sintomi e tende a utilizzare come rimedi, soprattutto, alimentazione e stili di vita.
L’approccio comune, invece, è quello dare un farmaco che fa sparire un sintomo, la situazione apparentemente migliora, ma in realtà solo transitoriamente, perché il problema si cronicizza e si diventa sempre più dipendenti dai farmaci. Il che è molto gradito a chi li produce e li vende, ma non tanto al paziente.
Che sensibilità c’è da parte delle persone rispetto a una medicina a cui non siamo stati educati?
Sono tanti anni che mi muovo, anche a livello mediatico, per aumentare i contatti e le persone vengono sperando in uno sguardo un po’ più ampio, magari rispetto a quello di medici che riempiono di analgesici, anti-ipertensivi o anti-diabetici. Le visite che faccio durano anche un paio d’ore, perché prima di togliere un farmaco – me ne assumo la responsabilità medica -, devo avere ben chiaro quello che sto facendo e se il paziente seguirà quello che gli sto dicendo.
Devo prescrivere movimento e alimentazione in maniera corretta, una nutrizione che di solito è un cambiamento epocale nella vita alimentare di una persona che, improvvisamente, si trova a doversi nutrire con piatti un po’ più elaborati del solito e fatti in casa.
Quando, però, si sperimenta e si capisce che questo evita di avere la glicemia alta, e quindi porta arterie pulite e niente demenza senile, che scompare il dolore al ginocchio che non passava mai, o il mal di testa tutte le volte che arriva il ciclo, diventa una scelta di qualità di vita.
Questione (anche) di empatia
Un aneddoto che fa riflettere è quello di un paziente con cui discutevo del togliere o meno delle statine, farmaci anti-colesterolo su cui mi capita spesso di confrontarmi con le persone condizionate a stare attentissime al valore di colesterolo; ricordiamo che anni fa quello stabilito come corretto era 240/250, poi è sceso a 220, a 200 poi a 190 e ora i valori sembrano dover scendere sotto i 150…
Il cardiologo insisteva per le statine e io dicevo al paziente, le do tutte le motivazioni scientifiche per cui secondo me non dovrebbe prendere quel farmaco poi scelga lei. Alla fine ha deciso di toglierle e quando gli ho chiesto perché, mi ha risposto: “ho avuto la netta impressione che a lei stesse più a cuore la mia salute”. Questa è l’immagine che i medici di segnale riescono a dare: medici che hanno a cuore la salute del paziente, accanto alla documentazione scientifica, una motivazione empatica.
In tema salute, c’è una parola chiave, ‘infiammazione’. È la madre di tutti i mali?
Dobbiamo chiarirci su questo aspetto perché l’infiammazione cronica, silente, di basso grado è la madre di parecchie patologie, ma l’infiammazione in quanto tale è un momento di risposta forte del nostro organismo nei confronti di qualcosa che lo sta alterando.
Se mentre corro picchio il ginocchio contro una pietra, si gonfierà perché è infiammato, ma quella infiammazione è un processo di guarigione che il mio corpo sta tentando di mettere in atto; un momento di vita in cui sto richiamando presso il sito del danno macrofagi, linfociti, quindi, anticorpi, fibroblasti, sostanze antibiotiche che concorrono a curare nel minor tempo possibile la botta. Questo è quello che mio padre qualche volta chiamava ‘benattia’ al posto di malattia.
Al contrario?
Quando l’infiammazione comincia ad essere diffusa in tutto il corpo, come una infiammazione da cibo, da alcool, o da tossine, dare un antinfiammatorio non avrebbe nessun senso, si deve cercare di rimuovere la causa.
Se io sono intollerante al glutine, il che non vuole dire essere celiaco ma avere una sensibilità aumentata, e continuo a consumarlo, il mio corpo risponderà come se questo elemento fosse un nemico, aumentando l’infiammazione interna: questo porterà a gastrite, reflusso, problemi intestinali, oppure dermatiti, eczemi, problemi ortopedici, artrite reumatoide.
‘Reazione infiammatoria’ è un termine che ha segnato gli ultimi tre anni…
Nel caso recente del Covid, abbiamo visto come le persone sottoposte a quel protocollo criminale chiamato ‘tachipirina e vigile attesa’ avevano una cascata infiammatoria violenta, da cui arrivava l’aggregazione piastrinica che generava la coagulazione intravascolare disseminata, che poi impediva la respirazione. Ma finché non sono state autorizzate le autopsie si è pensato che fosse un virus polmonare e quindi non si è potuto fare nulla per curarlo; in questo caso, si è dimostrato che un anti-infiammatorio nella fase di cascata infiammatoria, anche semplicemente il cortisone, poteva essere di grande aiuto almeno a non far progredire verso la morte.
Medici in prima linea
Noi medici che abbiamo fatto la terapia domiciliare per tanto tempo abbiamo curato migliaia di persone con rimedi del tutto semplici e documentati, come la vitamina C e la D, lo zinco e il rame, oligoelementi e mevitamine utili da usare, soprattutto in fase iniziale. Dare la tachipirina che è un ossidante, quando le persone più ossidate erano quelle che morivano più facilmente, è stato un errore gravissimo, ma era purtroppo nelle raccomandazioni ministeriali e chiunque non si attenesse a quelle rispondeva in proprio dell’utilizzo di altri rimedi.
Questo è un discorso un po’ più complesso, si va a toccare il fatto che non si voleva trovare un rimedio che funzionasse, perché, se ci fosse stato, non ci sarebbe stata l’autorizzazione di emergenza all’uso di vaccini senza documentazione alle spalle e non ci sarebbe potuta essere la follia vaccinale che prosegue ancora adesso su questi farmaci.
Nel caso del Covid, già a inizio 2020 curavate con le terapie domiciliari.
Il medico che si trova davanti a un paziente con una influenza, anche se grave, sa cosa fare.
Era una influenza un po’ più bastarda delle altre, perché a Wuhan avevano modificato il sito di aggressione, ed era più capace di attaccare rispetto ai coronavirus normali, ma era un coronavirus, che poteva dare gravi problemi, fino anche alla morte, per persone davvero molto fragili e molto anziane.
Certo che se, sistematicamente, parto con una terapia sbagliata con tutti, perché non posso dire che ne esiste una efficace, è chiaro che sono responsabile della morte di quelle persone. Noi in prima linea cosa dovevamo fare? Seguire i nostri pazienti, dare le stesse cure che abbiamo dato alle persone con influenza grave, con sempre maggiore attenzione se la persona era anziana, immunodepressa, fragile, e, forse, invece di 180 mila morti ne avremmo avuti 5 mila.
Il Ministro Schillaci ha detto basta Covid ci sono problemi più gravi, ad esempio quello delle persone che stanno morendo per non essere state seguite a sufficienza sulle altre patologie durante il periodo del Covid. Non sono d’accordo con tutto quello che dice, ma è una persona che ha del coraggio.
Come si possono aiutare le persone a scegliere per il proprio bene quando non è così scontato?
Credo che abbia più valore il rispetto che si dà loro. Quello che mi ha disturbato in maniera totale di questi due anni, in cui i diritti costituzionali sono stati sospesi, è che qualcuno mi voleva obbligare a fare qualcosa con delle motivazioni che oggi capiamo essere risibili.
Io credo che le libertà individuali siano la più grande ricchezza che abbiamo come esseri umani.
L’obbligo non è accettabile in un paese civile, tanto più se relativamente a qualcosa che è stato approvato di emergenza, sotto pressione dell’industria farmaceutica.
All’interno della classe medica cosa succede oggi? Cosa vede nel futuro della sanità?
Vedo solo buio perché, come con gli insegnanti e le forze armate, la classe medica e quella degli psicologi, dei fisioterapisti, degli infermieri e così via è stata selezionata sulla base di una obbedienza cieca e acritica nei confronti del potere. Se obbedisci al 100%, chinandoti e accettando di violare anche il tuo corpo, allora puoi continuare a lavorare; accade il contrario se invece dici sono medico e il dovere del medico è esprimere dubbi, perplessità, cercare la verità. La scienza è questo, è dubbio, è critica.
Quarantamila medici non vaccinati, ne hanno sospesi 4 mila, tra cui me, bisognerebbe capire perché…
La classe medica ormai è spaccata. Ma quelli che hanno accettato pedissequamente le indicazioni del potere e di big Pharma erano già tanti prima.
Lei ci ha scritto dei libri.
Ne ‘Il medico che scelse di morire’, che ho scritto prima della pandemia e pubblicato nel 2018, poi c’è stato il sequel, ‘I sacrificabili’, ambientato in pandemia, erano già chiari tutti i prodromi di quella che sarebbe stata la crisi pandemica. La trama riguardava un gruppo di medici un po’ rivoluzionari, che non si accontentava della dinamica per cui solo se fai la ricerca a favore di big Pharma ti chiamano a parlare ai congressi, solo se la ricerca viene con risultato favorevole vanno avanti a darti i finanziamenti, solo se fai il tale congresso hai la possibilità di fare carriera e di ricevere delle proposte di lavoro più interessanti, viceversa stai a farti i turni in ospedale.
Perché un romanzo e non un saggio?
Di saggi ne ho scritti molti. Sono abituato a parlare di cose documentate e se dico che qualcuno ha preso una mazzetta per far passare una certa legge, piuttosto che per rendere mutuabili certi prodotti, in un romanzo posso sbizzarrirmi con nomi e situazioni di fantasia e la gente capisce che, purtroppo, quelle cose succedono, non sono fantasie di uno scrittore di thriller.
Quello che sta succedendo in questi giorni in seno all’Unione europea documenta che anche ai più alti vertici girano, non mazzette, ma sacchi interi di soldi. Qualcuno potrà dire è sempre successo, ma a fronte del fatto che per quei soldi si è costretti a mettersi in corpo una sostanza di cui ancora nulla si sa, ma che darà qualche decina di miliardi di utili di fatturato a qualche azienda, non è più accettabile. Non siamo più in un paese civile e avrei voluto che i difensori della Costituzione, il difensore, si opponesse strenuamente a questa cosa.
Oggi non vive più in Italia.
Ho ritenuto che questo paese non fosse più il mio, vivo in Svizzera, qui c’è stato solo un mese di chiusura, nessun obbligo e le aziende sono state risarcite al 100% della perdita di fatturato. In Italia lascio il cuore, ma ritengo che la violazione dei diritti costituzionali rappresenti la violazione del patto tra il cittadino e lo stato.
Io ho vaccinato il mio bambino per i vaccini che ritenevo utili e importanti e credo che la vaccinazione sia un eccellente metodo di prevenzione, ma questi non lo erano e chi lo diceva veniva sospeso, radiato, sanzionato.
Ormai la documentazione scientifica c’è, se qualche medico a metà del 2020 poteva avere qualche dubbio sul fatto che occorresse vaccinarsi, oggi chi non vede il 500% in più di miocarditi, il 600% in più di pericarditi, infarti, ictus, malori, ragazzi giovani e giovanissimi coinvolti, non può essere più in buona fede. Non si fa colpa a nessuno, tranne a chi ha guadagnato dei soldi da questa vicenda, indebitamente, ammazzando delle persone, ma a chi ha salvato delle vite dovrebbero andare almeno delle scuse.
di Monica Bozzellini
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale