L’8 Marzo è ormai passato da un mese, ma poiché vorremmo celebrare la Festa della Donna ogni giorno dell’anno, abbiamo pensato di intervistare un’artista poliedrica, una donna che racconta storie di altre donne che hanno cambiato il mondo attraverso la loro musica.
Lavinia Mancusi, musicista folk, cantautrice e scrittrice, con il suo libro Revolucionaria! (Edizioni Red Star Press) ripercorre le vite di tre grandi interpreti della musica popolare latino americana, come Violeta Parra (1917-1967), Mercedes Sosa (1935-2009) e Chavela Vargas (1919-2012).
Come nasce l’idea di Questo libro?
Dunque, ci sono varie fasi: nello spettacolo teatrale Viva la vida (di Gigi Di Luca), in cui Pamela Villoresi interpretava Frida Kahlo, io ho avuto l’onore di interpretare Chavela Vargas, ed è scoccato subito l’amore per questa artista.
Successivamente, il primo seme del libro nasce durante ciò che ho chiamato il ‘confine del mondo di prima’, ossia alla fine del 2019. Nei mesi seguenti, in pieno lockdown, mi sono accorta che ciò che mi mancava di più non era il suonare in sé, ma il suonare per gli altri. L’assenza dell’altro mi aveva tolto il desiderio di fare musica, ma al contempo questa crisi mi ha portata a ricercare delle storie che riguardassero la musica con gli altri, che avessero al centro il rapporto. Ed è proprio quello che ho trovato nelle storie di vita di queste tre donne.
Che cosa avevano in comune queste tre artiste?
Tra gli elementi in comune che ho trovato in loro, oltre alla musica popolare, c’è anche l’intensità di storie al femminile, che raccontano il coraggio nelle loro ascese e cadute; e poi c’è il fatto di voler utilizzare la propria arte, non soltanto per una vitalità personale, ma soprattutto per dare voce a chi non ce l’aveva. È proprio ciò di cui ho parlato prima, cioè un modo di fare musica mettendo al centro il rapporto con gli altri.
Eppure appartenevano a tre diversi paesi (Cile, Argentina e Messico) e non tutte della stessa generazione…
Certo, appartengono a tre paesi diversi, ma durante il lungo periodo storico in cui è ambientato il libro, in qualche modo comunicano tra di loro. Il romanzo non parla di artiste già affermate, ma di tre adolescenti, che hanno avuto il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo, per avventurarsi nel mondo e seguire il proprio desiderio di comunicare attraverso la musica folk.
Portare avanti le tradizioni del proprio paese attraverso la musica popolare è qualcosa che, ribadisco, non riguarda mai soltanto chi la fa, ma riguarda la collettività.
Non so se ne fossero coscienti, ma essere attive in un contesto simile, che all’epoca era prettamente maschile, le rendeva delle vere e proprie rivoluzionarie.
In effetti, la copertina del libro mostra l’immagine di una ragazzina…
Esatto, proprio perché parla di tre bambine e del loro viaggio in un mare profondo, e delle perle che hanno trovato… ci terrei inoltre a ringraziare Giulia Anania, cantautrice e poetessa, che è anche l’autrice delle illustrazioni del libro, nonché la persona che ha proposto il progetto alla casa editrice Red Star Press.
Giulia è un’artista poliedrica, ho sempre ammirato i suoi disegni, per cui non poteva esserci persona più indicata per rappresentare le tre ‘revolucionarie’, con delle illustrazioni che hanno dato il ‘vestito giusto’ al canto.
Parliamo del concetto di sorellanza.
Sì, la sorellanza è un altro elemento presente nel mio libro Revolucionaria!: è un filo comune che unisce ogni artista con la ‘sorella’ che l’ha preceduta, scardinando quella che era la tradizione del proprio paese, per innovare e progredire nel proprio percorso.
Sorellanza, memoria, cammino
In particolare, tutto è partito da Violeta Parra, una sorta di ‘Regina Madre’ (regina senza corona!), che ha iniziato questo cammino, poi seguito dalle altre due; ma non solo, perché il ‘seme’ si è diffuso in tutta l’America Latina e anche in Europa.
Violeta Parra è stata la prima etnomusicologa moderna, nel 1952 ha girato a piedi tutto il Cile con il suo registratore, registrando canti popolari la cui memoria rischiava di estinguersi. Tutto è iniziato grazie a lei.
Quali sono le canzoni di queste artiste che sono state più significative nel tuo progetto?
Inizialmente conoscevo le canzoni più famose di ogni artista, come Gracias a la Vida, di Violeta Parra, Todo Cambia, di Mercedes Sosa, oppure le interpretazioni de La Llorona, di Chavela Vargas, che negli ultimi anni della sua vita si è dedicata anche al cinema.
La scelta, però, è stata quella di utilizzare i testi delle loro canzoni come racconto poetico e autobiografico delle loro vite, facendo anche delle ricerche cronologiche incrociate, ed è venuto fuori che, ogni volta che decidevano di cantare un determinato brano (anche se tradizionale), in un dato periodo della propria vita, quelle parole raccontavano anche di loro e sembravano autobiografiche.
Questa ‘scoperta’ dove ti ha portato?
Questo mi ha dato modo di riflettere sul ruolo del cantante popolare, che quando decide di cantare qualcosa, lo sceglie. Magari può anche dar voce a qualcun altro, però il canto popolare non si limita mai a fare solo il ‘compitino’, ma è sempre corpo vivo che canta.
Tutto questo è molto intenso e poetico, e i testi che ho trovato sono pieni di immagini stupende, in cui mi sono totalmente immersa… per questo, non ci sono particolari canzoni che mi hanno ispirata, ma un mondo, un intero repertorio che è la storia delle loro vite, raccontata in prosa.
Ho letto sulla locandina di presentazione del libro una frase molto bella: “Non si può fare una rivoluzione senza cantare”… di chi è questa frase?
Domanda interessante, perché questa frase in realtà è un simbolo del folk e della trasmissione orale e collettiva, proprio perché è nata dalla gente: era scritta, infatti, su uno stendardo mostrato in una manifestazione per festeggiare l’elezione in Cile di Salvador Allende (n.d.r. nel 1970); ci è sembrato giusto utilizzarla, proprio per riassumere quello che è il concetto centrale di tutto il libro, usando, appunto, una frase della gente.
Cos’è per te una rivoluzione?
Guarda, ti rispondo a questa domanda con le parole di Lucilla Galeazzi, una delle più grandi cantanti italiane di musica popolare, che ho avuto il piacere di intervistare prima della pubblicazione del mio libro: quando ho chiesto a Lucilla cosa volesse dire ‘essere oggi rivoluzionarie’, mi ha risposto che per lei significa ‘continuare a fare quello che stiamo facendo’. Devo dire che la risposta mi ha spiazzato, anche perché mi aspettavo mi dicesse cose del tipo ‘scassate tutto’ (ride), invece rivoluzionare significa semplicemente continuare a stare “sul pezzo”, senza lasciarsi distrarre.
Musicalmente, anche tu sei un’artista che si rifà alla tradizione popolare folk: quanto c’è di ‘rivoluzionario’ in questo genere musicale?
Secondo me tantissimo. Il bagaglio rivoluzionario è qualcosa che definisce la musica popolare e che ci sarà per sempre. È la prova che la Controcultura esiste ancora, e mantiene vivo lo scontro tra quello che c’è in alto e quello che c’è in basso.
La Controcultura non è altro che la custode dei ritmi dell’umanità, evidenzia il fatto che siamo ancora vivi, senza focalizzarsi sul ‘Qui e ora’, ma con la consapevolezza che ci sarà anche un domani… un domani in cui forse non ci saremo, ma ciò non ci impedisce di ‘piantare alberi’…
Collabori come corista e polistrumentista con un altro famoso interprete della musica folk, che è Mannarino: quanto ha influito questa collaborazione nella tua personale ricerca musicale?
Tantissimo! Sono stata molto fortunata… l’incontro con Alessandro (Mannarino) è stato come un tuono, una fonte per me inesauribile di ispirazione. È una persona che è costantemente in ricerca, e questo lo rende molto affascinante.
Un percorso vivo più che mai
Nel 2022 Lavinia è stata sul palco dell’Arena Campovolo di Reggio Emilia, come corista e percussionista di Fiorella Mannoia, in occasione di un evento a suo modo rivoluzionario, cioè il concerto ‘Una. Nessuna. Centomila’, concerto benefico per le donne vittime di violenza.
Che cos’hanno in comune le “rivoluzionarie” dei giorni nostri con le “rivoluzionarie” del passato?
Da un lato una cosa amara: cioè che i diritti ‘acquisiti’, in realtà non lo sono mai… di positivo c’è che il femminismo comunque è un percorso sempre in cammino, ed è vivo più che mai.
Non è facile andare avanti in un mondo che, pur continuandoti a dire che non è vero, di fatto non sembra assolutamente entusiasta di questa tua emancipazione… la spinta vitale femminista sta generando purtroppo una reazione uguale e contraria, e il problema non è solo in Italia, ma in tutto il mondo, anche se si manifesta sotto forme diverse. Mi spiace dirlo, ma temo che alla base di tutto ci sia un pensiero religioso, che definisce la figura della donna secondo determinati canoni.
Nel 2019 sei stata finalista del Festival Musicultura, vincendo il Premio come “Miglior esibizione” con il brano ‘Ninù‘ (di cui consigliamo la visione dell’intensa performance a questo link) che parla di una zingara fucilata dai nazisti. Ci racconti la storia di questo brano?
Questo pezzo è stato scritto insieme a Paola Capone e Tatiana Caselli, ed ho voluto portare in scena qualcosa che fosse aderente il più possibile all’immagine che evoca. Ninù viene fucilata dai nazisti, ma prima dell’esecuzione decide di cantare, prendendosi la ‘libertà’ di spaventare i suoi carnefici con il suo ultimo sprizzo di vitalità, perché, come narra la canzone, “nessuno si scorderà mai di una donna che canta prima di morire”…
Oltre alla tematica, anche il sound è di ispirazione ‘balcanica’, e in più nella band che ti accompagnava c’erano anche due musicisti della comunità Rom.
Esatto, erano Florian Pedra e Petrica Namol, due cosiddetti “Gitani di seta”, ossia con una tradizione musicale di generazioni, appartenenti alla comunità Rom di Roma. Quel brano non avrebbe mai avuto quel sound senza il loro apporto musicale, ed io ero soltanto il “braccio” che raccontava la loro storia…
.. e quindi torniamo alla missione del cantore di musica popolare, ossia quella di ‘dare voce a chi non ce l’ha‘.
Certo, pur non essendo una storia vera, è senz’altro verosimile, visto che anche la comunità Rom ha subìto un olocausto, di cui però si parla molto poco…
In una tua recente intervista radiofonica, hai detto una frase che mi ha molto colpito: “Non pensare mai che il talento dell’altro possa essere una minaccia per il tuo”.
Concentrarsi su questo punto è come fare i ‘compiti a casa’: è un esercizio che ognuno di noi, indipendentemente dal tipo di lavoro che svolge, dovrebbe fare ogni giorno.
Siamo consapevoli che la nostra società trasmette dei modelli “disturbanti”, ma spesso rischiamo di cadere in un tranello, che ci porta a credere che la realizzazione dell’altro ci sbatta in faccia il nostro fallimento. La strada giusta sarebbe quella di riuscire a godere della realizzazione dell’altro e usarla come spinta per arrivare alla nostra.
Nel mondo dello spettacolo, bisogna far sì che il talento e la fantasia dell’altro diventino per noi fonte di ispirazione e non di invidia.
Spesso il tuo mondo artistico racconta storie particolari e di determinati periodi storici, ma che hanno lasciato il segno anche nel nostro presente. Quanto è difficile trovare degli spazi per comunicare tematiche forti e non semplici, in un mondo che insegue il consenso facile attraverso i like e le visualizzazioni?
È molto difficile, anche se non può che essere così… essendo Controcultura, quando si arriva a certi livelli i compromessi sono talmente tanti, che forse si preferisce quasi non arrivarci… ma la cosa importante non è il consenso in sé, quanto l’ascolto: purtroppo nel nostro paese mancano spazi e luoghi preposti, non solo per la musica popolare, ma in generale per la musica indipendente.
Se poi vogliamo dirla tutta, essere artisti “schierati” non è mai stato facile, e in questo particolare periodo storico meno che mai; ma per chi ha sempre fatto Controcultura, schierarsi non è un problema, mentre lo è per chi sta in alto e ha barattato i numeri con l’obbedienza, è a loro che chiedo: ne è valsa la pena?
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Musicista e scrittrice