In Italia, i Comuni guidati da un sindaco donna sono il 15%; su venti regioni italiane, solo una è presieduta da una donna; la presenza femminile in Parlamento supera di poco il 35%; Giorgia Meloni è l’unica donna a capo di un partito. Quella italiana resta una società in cui i ruoli di genere sono fortemente interiorizzati e la presenza femminile in posizioni di leadership in politica e nelle istituzioni è ancora lontana dalla parità con quella maschile, nonostante nel secondo governo Conte la quota di donne nell’esecutivo abbia raggiunto il record storico del 34%. Questo dato ha permesso all’Italia di risalire dal 76° al 63° posto, su 156 Paesi, della classifica stilata dall’ultimo rapporto sulle diseguaglianze di genere del World Economic Forum.
Intorno a questo tema è nata, nel 2020, la scuola di formazione per aspiranti leader politiche “Prime donne”, iniziativa promossa da +Europa con i fondi del 2 per mille. Fondatrice della scuola è Costanza Hermanin, Policy Leader Fellow dell’Istituto Universitario Europeo: «Da alcuni sondaggi emerge l’immagine della politica come ambiente maschilista e discriminatorio dove le donne fanno fatica a sviluppare una carriera. Durante il corso ci siamo chieste se sono le donne a dover imparare a fare politica, o invece non sia la politica a seguire logiche maschili».
Hermanin ha quindi lanciato “Femministi – Laboratorio per un altro genere di politica”, un corso rivolto a dirigenti politici uomini per la formazione sulla parità di genere, partecipato da PD, Azione, Verdi, Volt, Italia Viva, M5S e Lista Sala, che si è tenuto lo scorso luglio. Uno degli aspetti più delicati è quello del linguaggio legato a questo tema, «che spesso per gli uomini è un campo minato: quindi abbiamo creato un glossario di parole “bomba” che abbiamo distribuito ai partecipanti del corso». Sono 10 parole che individuano altrettanti argomenti scottanti, dalle quote alla meritocrazia, alla micro-aggressione anche verbale, come il commento sessista in grado di inibire le donne che lo subiscono perché sono in minoranza, e fanno fatica a reagire.
Attraverso rappresentazioni di ruolo e confronti su alcuni episodi concreti – come la famosa sedia al fianco di Erdogan negata a Ursula Von del Leyen -, sono stati affrontati alcuni degli stereotipi che circondano la presenza delle donne in politica. Secondo Hermanin, gli uomini dovrebbero «esserne consapevoli e cominciare a decostruire questa politica così respingente». Tra le parole “difficili” c’è anche ‘femminismo’: «Che dovrebbe essere un concetto laico, connaturato nella democrazia liberale. In Italia passa per essere una scomoda eredità della sinistra, ma il femminismo non ha colore politico».
Nemmeno ha a che fare con il politicamente corretto o con l’idea che sia circoscritto a rivendicazioni squisitamente femminili.
Femminismo significa credere nel principio di uguaglianza e nei vantaggi economici della parità di genere. Un rapporto di Banca d’Italia del 2013 segnalava che un incremento del tasso occupazionale delle donne avrebbe generato una crescita del pil del 7%. Oggi, anche seguito del Covid, in Italia lavora meno di una donna su due, e la differenza salariale con gli uomini sarebbe del 5,6% secondo il World Economic Forum, del 12% secondo Eurostat (leggi il Global Gender Gap Report). Uno degli obiettivi del piano di recovery post Covid Next Generation EU è favorire l’inclusione femminile nel mondo del lavoro, e attenuare l’impatto sociale ed economico della crisi sulle donne. Misure in questo senso sono condizione per ottenere i fondi da parte degli Stati e anche il PNNR italiano le prevede: «La spesa pubblica a favore della parità deve però essere improntata alla analisi economica di genere e non a logiche da riserva indiana», specifica Hermanin.
Sia la scuola per le aspiranti politiche, sia “Femministi” dal 2022 saranno riproposti a livello europeo, sempre promossi dall’Istituto Universitario Europeo e con il sostegno delle Open Society Foundations di George Soros. L’obiettivo è scardinare il fenomeno dell’old boys net, espressione che indica una concentrazione di leadership sempre nelle mani delle stesse persone, in questo caso uomini. Mentre “Prime donne” ha avuto una partecipazione trasversale alle diverse aree politiche, l’iniziativa “Femministi” è rimasta circoscritta al centro-sinistra: «L’ideale sarebbe un coinvolgimento di tutti i partiti – conclude Hermanin -, sarebbe come dire che ce n’è bisogno».