Anna Prat

Pubblico e privato insieme per creare ‘valore urbano condiviso’

Il luogo, spazio fisico e non solo, è punto da cui partire per trasformare il territorio e rispondere a bisogni e interessi comunitari e sociali. Valore Urbano Condiviso, come propone lo stesso nome del progetto VUC (www.vuc-lab.it), ideato e firmato da Anna Prat, architetto con 25 anni di attività in ambito di rigenerazione e innovazione urbana in aziende private e nelle amministrazioni pubbliche è “una modalità di incontro e collaborazione concreta tra terzo settore e comunità locali, mondo aziendale ed enti pubblici, finalizzata all’ideazione e realizzazione condivisa di progetti urbani”. Perché la percezione dei luoghi – coordinata che insieme al tempo ha assunto nuova luce e significato nell’attuale periodo storico –  “è un dato individuale e collettivo di natura profondamente culturale, legata a chi siamo e dove ci troviamo”.

VUC Valore Urbano Condiviso deve il suo nome alla teoria economica dello shared value. Quali sono i valori a cui si ispira il progetto?

Avvicinare un’espressione come “creating shared value”, coniata da Porter e Kramer nel 2011, ai concetti di politiche pubbliche, terzo settore e comunità è un po’ una provocazione per il mondo della rigenerazione urbana da cui provengo. Domina ancora un’idea novecentesca che il privato non possa mai essere sincero nell’occuparsi di interesse della collettività; che l’azienda abbia solo spietati interessi di profitto e non possa avere un ruolo positivo nei confronti della società, al di là delle fondamentali funzioni produttive e occupazionali. Ovviamente non si può essere ingenui di fronte all’obiettivo della ricerca del profitto del mondo imprenditoriale, ma sarebbe altrettanto errato pensare che le aziende – dal grande corporate al piccolo negozio, in qualsiasi settore – non possano avere coscienza e sensibilità in merito al loro impatto sociale, e non siano interessate al benessere del contesto in cui sono insediate, e da cui per molti aspetti dipendono, ad esempio in termini di qualità e benessere del capitale umano, dell’ambiente. Inoltre le aziende sono in ultima analisi costituite da lavoratori, persone con famiglie, che hanno le loro radici e loro vita in un territorio, a cui tengono”.

Il valore del luogo

Il primo valore su cui si fonda VUC è la collaborazione concreta, su progetti che derivano da bisogni e opportunità di comunità di luogo, integrate tra attori diversi. Lo shared value è il valore condiviso che deriva da pratiche aziendali che rafforzano la competitività, ma anche rispondono a bisogni delle comunità in cui questa opera e alle sfide della società. In VUC questo concetto si applica però a tutti gli attori che “fanno la città”: pubblico, privato, grandi funzioni urbane, terzo settore, comunità e singoli cittadini. Ognuno ha bisogni e capitali diversi da mettere in gioco: risorse di visione, economiche, conoscitive, progettuali, relazionali. Tutti possono apportare contributi significativi alle pratiche concrete di cambiamento urbano e territoriale.
L’altro valore su cui si fonda VUC, che deriva dalla mia formazione e esperienza professionale ‘territorialista’, è il valore del luogo, dello spazio nella qualità delle nostre esistenze. Gli esseri umani e gli enti sono radicati nel luogo in cui si trovano. Viviamo in parte nella dimensione globale verso cui è evoluta la società, e in quella virtuale, ma abbiamo ancora forti radici e relazioni sociali di prossimità, di mutuo-aiuto, nel contesto ambientale e fisico in cui ci troviamo. Lo sviluppo locale di qualità è il risultato di una convergenza di visioni, interessi e attivazione delle capacità di tutti gli attori nei confronti del luogo in cui agiscono.

Far dialogare soggetti pubblici e privati per migliorare le condizioni economiche e sociali delle comunità in cui operano: aperture e resistenze.

Mondi diversi hanno modalità di comprensione della realtà, delle sfide, modalità di azione diverse. Si differenziano per capacità conoscitive e informative, per i linguaggi che adoperano, che spesso creano enormi barriere alla collaborazione. Spesso pubblico, privato, non profit e comunità locali hanno pregiudizi reciproci, pensando che le visioni diverse siano inconciliabili tra loro.
Si tratta di favorire l’ascolto e la conoscenza reciproca, valorizzando le differenze ma anche la volontà di affrontare sfide comuni, ad esempio legate alla rigenerazione territoriale, di tipo sociale, economico e culturale, per migliorare le prospettive di sviluppo di tutti e di ciascuno. Le attitudini e i modi di operare si arricchiscono nella collaborazione concreta, progettuale, superando le resistenze iniziali e i pregiudizi. L’apertura alla diversità è impegnativa ma crea sempre valore trasformativo positivo.  

Esiste una profondità dei luoghi, che abitano persone e storie. Come far vivere e rivivere gli spazi urbani?

Nessun luogo è più esclusivamente naturale. La cosiddetta wilderness è ridotta a pochissimi posti nel mondo. I luoghi di qualsiasi tipo – urbani o territoriali – rappresentano il risultato cumulativo di visioni e vicende sociali, economiche, di potere, visioni culturali e simboliche.
Molti spazi urbani, suburbani e nelle aree industrializzate, sembrano aver perso carattere, essere stati distrutti da un’edificazione incoerente, di bassa qualità, sconnesse dalle esigenze sociali e ambientali profonde. In parte è vero, ma ripartendo dalla società e dagli attori locali, è sempre possibile riscoprire l’anima profonda di un contesto territoriale o di uno spazio urbano, il genius loci sottotraccia, e valorizzarli verso obiettivi comuni di rigenerazione e sviluppo.

Comunità è un termine che anche in seguito alla condivisione di un evento storico come quello della pandemia può recuperare il suo significato originario “comune a molti” e diventare passaggio per una ripartenza sociale. Come si può fare comunità?

Esistono tanti tipi di comunità. Il concetto di comunità fa riferimento alla dimensione di appartenenza e identificazione con un gruppo di altre persone, con cui riteniamo di avere qualcosa in comune. Ci possiamo identificare con una comunità per ideologia, interessi, professione, classe sociale, cultura, religione, genere, provenienza geografica, ecc. Come individui apparteniamo contemporaneamente a tante comunità, poiché abbiamo tante identità. VUC concentra il suo interesse nei confronti delle “comunità di luogo” in cui il senso di appartenenza è data dalla prossimità fisica, che spesso è trasversale a molte altre identità. La comunità di luogo è in genere meno omogenea al suo interno rispetto ad altre comunità.
La rivoluzione urbano-industriale e l’avvento del digitale hanno modificato la percezione delle dimensioni identitarie legate al luogo. Un approccio societario, che si fonda sui diritti universali dei singoli, ma anche “glocale”, che unisce la dimensione globale con quella locale, è auspicabile in molti sensi; salva dai rischi di un eccessivo localismo, che può diventare restrittivo. Società non esclude comunità, e viceversa. Entrambi possono e devono esistere.  

E in una grande città?

Da tempo si sostiene che la città sia diventata il luogo dell’anonimato e dell’individualismo, a fronte di una visione idillica di alcuni contesti extraurbani, peraltro da verificare. Comunque non è totalmente vero che la città non possa offrire spazio alla comunità. Persino i cosiddetti “non-luoghi” sono luoghi per chi li abita e frequenta con regolarità. La specie umana tende sempre alla socialità. Nelle grandi città a volte però le condizioni relazionali di prossimità sono in alcuni casi peggiorate. Ciò ha portato a far prevalere alcune forme di comunità, ad esempio quelle etniche, che conducono a nuove forme di conflitti urbani. La forma fisica della città speculativa, a palazzoni isolati, spazi pubblici e servizi di bassa qualità, poco aperti, socializzanti e inclusivi, carenza di verde, strapotere dell’auto, non aiuta. Ma le potenzialità per ricreare uno spirito di collaborazione anche nei quartieri delle grandi città ci sono. Possono essere favorite, accompagnate, creando occasioni di incontro e azione comune, per ricreare fiducia. Negli ultimi anni, sono stati avviati molti modelli di innovazione sociale, strutture ibride di quartiere e iniziative tra vicini, recupero partecipato di spazi pubblici e verdi, che vanno appunto nella direzione di riscoprire e rafforzare le comunità di prossimità. 

Spazio al territorio

La pandemia ci ha ‘obbligato’ a vivere di più e quindi a rivedere e curare i nostri spazi ‘vicini’: sia quelli di casa, per adattarsi a nuove condizioni di vita e di convivenza con la famiglia, sia quelli di prossimità (quartiere, negozi, giardini, etc…) sicuramente più fruiti. È un fenomeno su cui poter costruire una diversa qualità e armonia nel rapporto con lo spazio che ci circonda?

La pandemia ha portato alla riscoperta delle dimensioni della casa, del quartiere, della propria piccola città. Molte persone fanno vite faticose, pendolando anche alcune ore al giorno per raggiungere il posto di lavoro e tornando tardi a casa alla sera. Non vivono quasi mai il proprio quartiere durante la settimana, chiamato appunto dormitorio. Durante i lockdown, e soprattutto a causa dello smart working, molte persone sono state in un certo senso costrette a vivere più intensamente il proprio contesto locale, frequentando maggiormente gli spazi pubblici, il verde, i servizi e i negozi del quartiere. Hanno scoperto il valore di risparmiare molto del tempo che impiegavano nel viaggiare. Hanno conosciuto i vicini, riscoperto l’importanza della bellezza degli spazi pubblici e del verde vicino a casa.
L’importanza, il ruolo economico e culturale delle città e dei centri risorgerà dopo la pandemia, poiché le economie di agglomerazione tipicamente urbane e metropolitane non possono sparire. Rimarrà però forse la volontà di dare maggior valore a tutto il tempo della propria giornata e vita, e alla dimensione della prossimità.

In che modo è possibile valorizzare le funzioni urbane nel territorio?

Le grandi funzioni urbane – quali università, grandi complessi formativi, ospedali, istituzioni culturali, impianti sportivi, utilities, infrastrutture, agenzie pubbliche e sedi di enti locali, ecc – sono tra i soggetti meno considerati in termini di impatto e possibile ruolo attivo nel trasformare i territori e luoghi in cui sono insediati. Nella letteratura degli studi urbani anglosassone, vengono chiamate “anchor institutions”, funzioni àncora, perché ad esse di “attacca” lo sviluppo urbano di un’area.
Questi enti possono diventare più consapevoli dei loro impatti e essere coinvolti nella trasformazione e rigenerazione urbana dei quartieri e territori. Analogamente alle aziende, si tratta di attivare la loro propensione alla responsabilità civica, toglierle dall’isolamento di un approccio puramente funzionalista in relazione alle attività che svolgono. Collaborare con gli enti pubblici, le aziende, i soggetti del terzo settore e le comunità può consentire di valorizzare le loro competenze proprie per finalità sociali locali, creando valore locale condiviso.

Le grandi realtà passano attraverso grandi sogni e piccole e grandi azioni. Qual è la società che vorrebbe lasciare alle future generazioni? 

Bisogna pensare in grande, conoscere, studiare, viaggiare, essere cittadini del mondo e poi agire alla scala a cui si può, sia essa micro o macro, locale o globale. Alcuni temi politici – quali la sostenibilità economica, ambientale e l’inclusione – sono paradigmi mentali che possono guidarci nell’azione quotidiana, in qualsiasi ambito e di qualsiasi tipo. Avendoli sempre in mente, agiremo per il meglio anche per le future generazioni.


A cura di Serena Adriana Poerio

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