Dance Well – Ricerca e Movimento per il Parkinson è un’iniziativa per promuovere la pratica della danza contemporanea in spazi museali e contesti artistici e si rivolge principalmente, ma non esclusivamente, a persone che vivono con il Parkinson.
Il progetto è guidato dal Comune di Bassano del Grappa, K3 -Tanzplan Hamburg, Le Gymnase CDCN RUbaix, La Briqueterie CDCN Vitry sur Seine, Tanec Praha, Lithuanian Dance Information Centre, Fondazione Fitzcarraldo e Fondazione Università Ca’ Foscari di Venezia; ed è sostenuto dal Programma Europa Creativa dell’Unione Europea.
L’obiettivo è quello di supportare lo sviluppo professionale di danzatori e organizzazioni di danza che coinvolgono le persone che convivono con il Parkinson o altri disturbi del movimento attraverso la danza: per ampliare le loro abilità, competenze e conoscenze e aumentare le possibilità di diventare elementi significativi per le società in cui vivono, contribuendo al benessere e alla coesione sociale.
Dal 2016, Dance Well ha costruito una rete informale che coinvolge diverse realtà in Italia e nel mondo: a Milano, all’interno della Triennale. A raccontarci questa esperienza è Alessandra Onnis, insegnante di danza e formatrice, Dance Well Teacher del laboratorio nel museo milanese.
In che modo il tuo percorso professionale ti ha condotto a questo progetto?
Io ho sempre danzato, da quando sono piccola. Il mio percorso ha preso il sentiero della danza contemporanea, la danza di ricerca e del teatro danza. Si è approfondito con il percorso triennale in danzaterapia Fux. Da lì si è sviluppato il mio interesse verso un mondo in cui la danza è al servizio dell’altro in diversi modi. Sono laureata come educatrice, perciò ho unito la mia passione al mio lavoro. In seguito, ho intrapreso vari percorsi come insegnante di danza, ho lavorato tanto con i bambini e ho conosciuto la realtà Dance Well.
Ci puoi descrivere Dance Well?
Si tratta di una pratica artistica di movimento che nasce a Bassano del Grappa nel 2013, grazie a Roberto Casarotto e la collaborazione di alcuni medici che hanno svolto delle ricerche scientifiche e si sono resi conto che tutto ciò che riguarda la danza e il movimento può essere di aiuto alle persone che vivono con la malattia di Parkinson.
Bellezza, palcoscenico per l’immaginario
Il loro focus era il Parkinson. Successivamente, è partito questo progetto e la pratica si è diffusa in diverse città, in Italia ma non solo. In questo momento è presente anche ad Hong Kong e Tokyo e altri luoghi del mondo in cui si sta diffondendo. Dance Well è anche un progetto europeo.
Come si diventa Dance Well Teacher e in che modo siete arrivati a Triennale Milano?
È necessario svolgere un percorso di formazione a Bassano del Grappa, che io frequentai nel 2019. Poco dopo il mondo si fermò a causa della pandemia e tutto rimase sospeso per un po’ finché nel 2021 riuscimmo, insieme a Roberto Casarotto, a contattare Triennale Milano che si dimostrò da subito interessata. Riuscimmo a far partire la pratica, poi sviluppata, a marzo 2022.
Quali sono le caratteristiche principali di Dance Well?
Una delle peculiarità di questa pratica è che occorre organizzarla all’interno di luoghi artistici o di bellezza. C’è una differenza, in questo caso, dal praticare la danza in una palestra e praticare il Dance Well. Praticarla in contesti di bellezza permette di aprire un immaginario diverso all’interno delle persone. Lasciarsi andare, essere coinvolti e maggiormente stimolati. Si ottiene un beneficio maggiore, sia a livello fisico che interiore. Non da ultimo, e questo è un aspetto importante che stiamo constatando a Milano, Dance Well permette la comunicazione e la relazione tra comunità differenti, tra persone di diverse età.
Lo scambio intergenerazionale diventa importantissimo, perché nonostante la pratica sia stata pensata con un focus particolare sul Parkinson, è in realtà aperta e frequentata da chiunque lo desideri. I partecipanti variano, dalla persona che convive con il Parkinson alla signora che invece di andare in palestra trova beneficio nel praticare Dance Well, fino a ragazze dell’accademia di danza – come le allieve di Brera – interessate al percorso sociale e alla connessione tra arte e movimento.
Stare insieme
Recentemente, si sono presentate mamme con bambini di pochi mesi per danzare con noi. Si crea un dialogo intergenerazionale, composto da situazioni personali differenti. Ciò favorisce la socializzazione, lo ‘stare insieme’ e il ‘far gruppo’, la creazione di comunicazioni e possibilità anche al di fuori della pratica. È interessante constatare come le persone, dopo la pratica, sviluppino iniziative come prendere un caffè insieme, ad esempio, o vedere uno spettacolo in compagnia. Si creano dinamiche interessanti con persone che a volte faticano a coltivare una vita sociale più attiva. A Milano siamo partiti con un gruppo piccolo, composto da 15-20 persone. Ora abbiamo una media di 43-45, a volte anche 50 persone per volta. È molto utile il passaparola e l’esperienza di chi si presenta per viverla. Perché un conto è raccontarla e un altro è viverla.
Qual è la realtà milanese degli insegnanti di Dance Well?
Al momento siamo un gruppetto di quattro insegnanti che lavorano. Abbiamo una formazione comune a Bassano del Grappa però ognuno porta con sé il proprio background. Per quanto mi riguarda, ad esempio, porto il mio storico nella danza contemporanea e creativa. Un’altra insegnante proviene dalla Scala, e un’altra è una danzatrice contemporanea. Ecco perché ogni classe è sempre diversa e porta con sé stimoli sempre differenti.
Che cosa ti ha attratto particolarmente di questo progetto e quali iniziative avete messo in pratica?
Essere anche danzaterapista, e il mio metodo di danzaterapia prevede già la presenza di gruppi parecchio eterogenei, mi ha fatto sentire molto simile e vicina a questo modello. Mi interessava il dettaglio della pratica artistica. Quando svolgo danzaterapia mi limito a quella ma quando pratico Dance Well mi avvicino al concetto che vede la possibilità di creare qualcosa di artistico con un certo tipo di comunità e di gruppo. Si chiama danza di comunità proprio per questo motivo: la possibilità di creare, per esempio, dei piccoli momenti coreografati. Noi a Milano ancora non li abbiamo però a Bassano si recano anche dei coreografi famosi a lavorare con i dancer e propongono delle performance all’interno del festival che si svolge lì ogni anno.
Il corpo che crea
Poter creare arte anche con persone non professioniste ma con le quali si vede la possibilità di estrapolare tante cose dal proprio corpo, tra le quali la connessione con il luogo in cui ci si ritrova, mi ha molto attratto.
Credo sia importante per le persone, che vedono un risultato concreto del loro movimento. In più, il focus del Parkinson era molto interessante; non è scontato vedere una pratica pensata per un certo tipo di situazione, mi ha incuriosito molto. Ho voluto capire in che modo approfondire il mio percorso e mi sembrava un approfondimento dell’intera mia formazione. Oltretutto, avevo lavorato tanto con i piccoli e mi sembrava arrivato il momento di lavorare un po’ di più con gli adulti. Da quest’anno siamo partiti con il progetto scuole, con due istituti superiori e quattro classi – due per ogni scuola – che hanno partecipato ad una classe Dance Well; hanno danzato insieme e hanno conosciuto la pratica attraverso i nostri racconti e i racconti dei dancer, si sono fermati a visitare la mostra dove si è danzato per capire meglio questa connessione tra arte e movimento. Ogni pratica viene strutturata a seconda del luogo della mostra in cui ci si trova. I ragazzi hanno fornito dei feedback che formeranno un prodotto digitale, una testimonianza concreta del percorso con loro.
Quali sono i benefici che percepite voi insegnanti con i dancer?
Sin dai primi studi fatti a Bassano, si era compreso che una classe Dance Well corrisponde, a livello di beneficio fisico e soprattutto per chi soffre della malattia di Parkinson ad una seduta di fisioterapia. Penso ad una persona in particolare dopo le vacanze di Pasqua; mi disse che dopo una settimana senza Dance Well si sentiva regredito tantissimo e faceva fatica a muoversi. È tornato a fare la pratica e dopo la parte della stimolazione corporea, di musica e movimento, l’ho guardato e ho notato che le gambe erano più in alto, il bacino era molto più libero. Mi disse che si sentiva già molto meglio. È tangibile. C’è una stimolazione che permette al corpo di darsi delle possibilità di movimento che magari nel quotidiano, con le proprie abitudini, non si riescono ad avere. La pratica permette di dare delle possibilità al corpo. Avere qualcuno davanti e intorno che danza e si muove, stimola quella parte dei neuroni specchio che permette al cervello di attivarsi e al corpo di sentire questa possibilità di movimento, anche guardando gli altri.
Benessere senza confini
Quando si presentano le ragazze delle accademie di danza diciamo loro di non tirarsi indietro e di danzare al loro massimo, perché per chi guarda è una stimolazione enorme e sono tutti ben felici di avere questo scambio. E non è tutto. Lo scambio intergenerazionale permette anche la possibilità di raccontare le proprie vite. Per i più piccoli, è anche la possibilità di avvicinarsi ad un mondo che ancora non hanno mai esplorato, aumentando sensibilità ed empatia verso il sociale. Per i dancer c’è l’idea di ritrovarsi nel passato, di ricordare. Si presentano anche persone che si sentono sole e hanno voglia di muoversi. Socializzare e muoversi insieme permette di stare meglio, al di là del fisico, e creare benessere a tutto tondo.
È importante che realtà del genere vengano promosse perché ci sono e non sempre le persone ne sono al corrente. Il feedback che riceviamo dalle persone che partecipano e che non necessariamente soffrono della malattia di Parkinson riguarda un benessere che si protrae anche per tre o quattro giorni, sia a livello fisico che a livello interiore. Ci sono persone che a volte arrivano in ritardo, anche a causa della propria malattia, e si fermano comunque, perché la presenza è legata al rimanere dentro al gruppo e alla danza.
Ricerca e Movimento: perché la scelta di queste parole?
La danza contemporanea e il teatro danza si muovono in quella direzione. Ricercare delle nuove possibilità attraverso il corpo, dei nuovi modi di danzarlo e di muoverlo. Trovare delle possibilità differenti, perché tutti possono trovare delle loro possibilità, al di là delle diverse situazioni in cui il corpo si trova. Un modo di danzare adatto a chiunque.
Qual è il vostro approccio per far sentire le persone a proprio agio?
A Milano abbiamo sempre dato la priorità alla creazione di una relazione con le persone. È vero che si presentano per fare un’attività ma amo ascoltare coloro che arrivano, magari prima della classe. Chiedere ‘Come stai? Come sta questo corpo in questo momento?’, senza che diventi una domanda retorica. Cogliere la possibilità di relazionarsi, creare empatia con le persone ed essere interessati davvero. Alla fine, spesso si avvicinano, chiedono, raccontano, propongono delle cose. Un’altra cosa importante è la possibilità di fare delle proposte artistiche e culturali. Mantenere uno scambio costante con le persone; è questa per noi la priorità. Siamo lì per creare una relazione e star bene tra di noi. È il ‘ci siamo in questo momento’.
Le persone sentono il bisogno di comunità?
Assolutamente. Hanno questo desiderio. Anche se non riescono a danzare si presentano oppure, se non possono venire, avvisano sul gruppo e fanno sentire la propria partecipazione: ’Sono lì a danzare con voi’ una persona ha scritto ieri. Il bisogno e la necessità, in una città caotica come Milano in cui è difficile creare relazioni, di stare con gli altri e creare gruppo, creando una piccola città all’interno della città. Una sorta di movimento al suo interno, mi piace definirla una viabilità.
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