Mentre il consumo bulimico di contenuti online abbraccia a ritmi incalzanti una platea sempre più infantile (secondo Save The Children il 30% dei bambini italiani tra i 6 e i 10 anni utilizza un telefono cellulare di ultima generazione e frequenta i social pur non avendo l’età consentita), la “vecchia” tv sembra fare leva su un nuovo sforzo deontologico per riconquistare un ruolo di porto sicuro nel panorama dell’infotainment.
A esserne convinto è Massimo Bruno, ceo di KidsMe, società parte di De Agostini Editore e specializzata nello sviluppo, nella creazione, nella content curation e nella distribuzione di contenuti televisivi italiani ed europei per il target Kids&Family. Tra bisogni di autenticità e le derive merceologiche di un’eccessiva adultizzazione, proviamo a sbirciare oltre il backstage di una generazione assopita ma antropologicamente ancorata al bisogno di raccontarsi. Perché, come ha detto lo scrittore Vittorio Sermonti, la “ragazzità” di un ragazzo “non lo esonera dalla fragile grandezza dell’intera persona che è”.
Da un punto di vista contenutistico, quali son le tendenze fino a qualche anno fa considerate impensabili?
Per tanti anni la TV per ragazzi è stata uguale a se stessa, confinata nei contenitori generalisti. Oggi, anche grazie all’accelerazione psico-cognitiva delle nuove generazioni, si stanno affacciando sullo schermo tematiche come la morte e la perdita di una persona vicina, tabù solo all’apparenza se consideriamo che la letteratura li ha sempre affrontati. Altri argomenti non più trascurabili sono la salute mentale, il racconto delle guerre e le varie forme di soprusi, dal cyberbullismo al revenge porn.
Il nostro pubblico è assetato di realismo, è stanco di contenuti artefatti e confezionati a tavolino.
Quali sono, invece, i temi intramontabili?
L’amicizia, l’amore e le tante metamorfosi che si vivono durante l’adolescenza.
Cos’è che il target dei giovanissimi considera obsoleto?
La durata: le sit com anni ’90 hanno una lunghezza incompatibile per le generazioni alfa e zeta, abituati a contenuti che non vanno oltre la mezz’ora. In questa codifica del nuovo linguaggio ha influito molto YouTube.
Nella bulimia di contenuti mobile, l’oggetto TV si è ridimensionato?
Con l’emergere del mobile si diceva che la tv sarebbe morta ma questo non è successo: il piccolo schermo è diventato smart, restando centrale nell’esperienza domestica. Qualcosa di simile è accaduto nell’editoria: l’ebook non ha mandato in pensione il libro cartaceo e questo la dice lunga su quanto sia forte il nostro rapporto con oggetti mediatici sedimentati nel tempo.
Che peso hanno i social nella definizione della vostra linea editoriale?
Il mare magnum dei social è la prima finestra a cui si affacciano i ragazzi e non possiamo non tenerne conto. Coinvolgere creator e influencer portatori di messaggi positivi significa intercettare il pubblico dei millenial, che sono le mamme e i papà di oggi.
Come coniugare intrattenimento e missione educativa?
L’edutainment, che è nel Dna di De Agostini, deve essere alleggerente, deve saper rinunciare alla gravità didascalica, allo sguardo didattico dall’alto verso il basso. La sfida educativa deve sapersi misurare con il divertimento. A insegnarcelo sono proprio i bambini: a differenza di noi adulti che attribuiamo alla serietà un valore di affidabilità, loro scelgono qualcuno perché li fa divertire e stare bene.
Ci fa un esempio di contenuto alleggerente?
Prendo in prestito le parole che ho udito pronunciare da Margherita Hack, con la quale abbiamo collaborato in passato. Per spiegare il big bang ai più piccoli disse che si trattava della più grande scorreggia dell’universo. La scienziata, raro esempio di divulgatrice capace di comunicare a tutti, ha rinunciato al puro nozionismo a ha reso il concetto perché ha saputo plasmare il suo linguaggio senza rinunciare alla complessità.
Al di là delle indagini di mercato, in che modo prendete in considerazione il punto di vista di bambini e ragazzi per renderli protagonisti delle scelte editoriali?
In collaborazione con un team di psicologhe dell’età evolutiva, interagiamo costantemente con il nostro target: attraverso incontri e focus group, ci rivolgiamo a loro per decidere insieme le storie da raccontare, le modalità, il cast e il titolo.
Chi sono i cattivi maestri in ambito mediatico?
Cattivo maestro è chi spinge i bambini verso l’adultizzazione, chi li tratta alla stregua di un qualsiasi altro consumatore. Chi fa tv per bambini e ragazzi ha una formazione specifica. Anche da un punto di vista legislativo in televisione ci sono regole stringenti da rispettare, cosa che spesso non avviene nel web.
In una società che propone modelli non sempre positivi e apparentemente vincenti, come fare a tenere alta la qualità e agganciare l’attenzione del target kids?
La nostra missione è trasmettere visione valoriali, per esempio aiutare a scegliere tra bene e male, ad essere artefici del proprio destino. Per arrivare all’obiettivo lavoriamo molto sulla qualità della scrittura e della messa in scena. Uno strumento utile sono le writers room, sessioni di confronto aperto tra autori e pubblico in cui vengono analizzati e discussi tanti aspetti di un contenuto. Grazie all’interazione continua con il nostro pubblico abbiamo capito che il dietro le quinte è più interessante della messa in scena:
ai bambini e ai ragazzi interessa il confronto con l’autenticità.
Dal suo punto di vista come sono i ragazzi oggi?
Sono una generazione assopita: sono sommersi da impegni ma li vivono con poco slancio, si approcciano alla vita in maniera doveristica. Fanno fatica a stabilire relazioni sociali solide e sane e hanno genitori che tendono a consolare e non a guidarli. Non è un caso che si parli di crisi del codice paterno.
Hanno rabbia e ansie ma al tempo stesso sanno mostrare le loro risorse, che devono essere indirizzate.
Sanno darci lezioni di inclusività, hanno un rispetto sincero per l’ambiente e la diversità che chiede di essere condiviso ad ampio raggio con il mondo degli adulti. In tal senso Il ritorno del co-viewing è un segnale positivo: proponendo contenuti kids & family facciamo sì che l’interazione che nasce dal guardare qualcosa insieme sia fonte di crescita e di scambio per entrambe le parti.
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Giornalista pubblicista dal 2013. Abruzzese trapiantata nella Tuscia dove insegna materie letterarie negli istituti superiori.