Mentre affrontiamo l’emergenza Covid, con la nostra quotidianità si trasformano bisogni e valori. Per comprendere come stia avvenendo e come possa e debba mutare l’interazione con le persone da parte di istituzioni e mercato abbiamo parlato con Roberta Paltrinieri docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei consumi all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e responsabile scientifico del CES.CO.COM, Centro studi avanzati sul consumo e la comunicazione dell’ateneo bolognese. Paltrinieri è anche autrice del libro Felicità responsabile. Il consumo oltre la società dei consumi.
Cosa osserva in particolare in questo momento?
Sostanzialmente il modo in cui si stanno riproducendo e allargando le disuguaglianze. Al di là delle riflessioni su una tenuta del sistema democratico, che peraltro mi preoccupa, temo l’impatto sociale che il Covid e le strategie messe in atto per gestirlo avranno in quello che sarà il post coronavirus, che sono certa comporterà anni e anni di studi.
La crisi economica con cui ci confronteremo è la più grave che la società italiana abbia conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale in poi e questo ha degli effetti enormi sulla redistribuzione delle risorse.
I primi che sono andati in difficoltà in pochissimo tempo sono le classi con meno risorse di tipo economico, di capitale sociale e culturale. Sono quelle che stanno pagando di più, ad esempio in termini di digital divide: pensavamo che fosse un fattore generazionale e invece capiamo che passa strutturalmente all’interno dei sistemi familiari. In questo momento, ci sono bambini che stanno studiando e bambini che non stanno studiando e questo si ricollega alle strutture delle differenze sociali.
Se vivi in una famiglia con 4 computer, collegamento internet e 3 o 4 persone chiuse a casa puoi farcela, per molti non è così, siamo davanti a un problema ontologico.
Quando parlo di tenuta sociale prendo ad esempio i furti nei supermercati di Palermo: si è detto che la mafia sta sollecitando queste forme di azioni, ecco io credo non si tratti solo di un sistema alternativo a quello dello stato: siamo tornati al dopoguerra con famiglie che non hanno i soldi per mangiare.
E con un sistema di valori che non è quello del dopoguerra.
Completamente diverso. I prodotti culturali che ci sono stati proposti, su Netflix ce ne sono tantissimi, le narrazioni che raccontavano società distopiche oggi sembrano avere avuto quasi una capacità di preveggenza. Ci siamo trovati tutti quanti sbalzati in una narrazione che avevamo potuto solo immaginare come una delle possibili evoluzioni del nostro sistema: fantasiose, fantastiche non certo ancorate a un possibile e che sono invece diventate una realtà.
Stiamo tutti vivendo su un piano sfasato tra la realtà immaginata e quella reale, il problema è che nella realtà dei fatti il sistema valoriale che sostiene in questo momento il nostro sistema sociale non è ancora adeguato al coronavirus. Nessuno di noi è pronto a pensare a una società basica, mentre, fondamentalmente, quello che sperimenteremo è proprio una società sobria in cui la differenza fondamentale si basa sul riconoscimento della vita, la salute come valore fondamentale.
È il paradigma ‘vita non vita’: oggi cosa dobbiamo preservare, il profitto o la salute?
Si propone un tema di ‘conflitto di diritti’?
Ho appena ricevuto da colleghi una richiesta per firmare una petizione che solleva questioni rispetto alle libertà individuali: le regole di contenimento sociale, parrebbero andare in deroga ai principi costituzionali sulle libertà individuali ed eminenti studiosi costituzionalisti come Ugo Mattei prospettano la possibilità di chiedere che non accada.
il principio della libertà va a detrimento di un altro principio, quello della salute… libertà di uscire o libertà di essere sani?
Questa dimensione del diritto come va modulata? Qual è il principio fondamentale? Sono questioni centrali su cui andremo a costruire i sistemi sociali dei prossimi anni, quello che sta accadendo sta sovvertendo l’ordine giuridico e sociale a cui noi siamo abituati.
Chi è più impreparato a questo cambiamento: istituzioni, mercato, società civile?
È un cambio di paradigma che riguarderà i ruoli e le funzioni di tutti. Le istituzioni dovranno assumersi a livello locale sempre maggiori responsabilità e nella filiera delle responsabilità, forse, sarebbe il caso di trovare un coordinamento più centrale per evitare che ognuno si debba trovare ad affrontare le situazioni in maniera esperienziale. Faccio un esempio: all’inizio dell’emergenza Emilia Romagna, Lombardia e Veneto si sono trovate a dover contrastare il fenomeno e tutte e tre hanno trovato risposte diverse. In particolare, la Lombardia – per motivi strutturali interni molteplici che non sto a giudicare – si è assunta una minore responsabilità di azione e ha chiesto una maggiore responsabilità allo Stato. Alle richieste di Fontana, che in quel momento non riusciva per motivazioni proprie a potersi assumere una responsabilità in toto su alcune scelte (hiudere tutto), a livello centrale la risposta è stata ‘ci assumiamo la responsabilità di tutto e proponiamo la chiusura totale del Paese’. Questo fa molto riflettere sul tema delle autonomie decentrate: funzionano laddove non ci troviamo in situazione di emergenza.
Cosa cambierà, dunque?
Io la vedo in questo modo: finora abbiamo utilizzato categorie tradizionali e abbiamo continuato a pensare ai sistemi sociali come organizzati in un’ottica razionale, differenziati funzionalmente, ora io credo che questo tsunami comporti la ricerca di nuove categorie. Prendiamo il tema del bene pubblico e del bene comune: deve diventare appannaggio di tutta la realtà sociale, delle istituzioni, delle imprese e del terzo settore, che oggi assume un ruolo centrale, perché è il luogo per eccellenza dove si investe per il bene comune.
È chiaro che la responsabilità ricadrà su di tutti, ma sono fondamentali gli equilibri che esistono nelle relazioni tra gli assi portanti dei sistemi sociali: il mercato, lo stato e la società civile. Nelle nostre società democratiche abbiamo teso a dare molta importanza a tutto il tema del mercato, ma, in questa società, non può più essere il sistema che regola le relazioni; bisogna ritornare a una dimensione più fortemente orientata a valori comunitari. È la comunità che salverà questa società.
Un obiettivo complesso da raggiungere.
Secondo me, o capiamo queste cose essenziali o non saremo più gestiti; immagino ognuno chiuso nella propria casa, con risposte assolutamente individuali a quello che accade, ognuno come può. Così viene meno il concetto di società, che non è semplicemente un agglomerato di individui.
Non possiamo più far ricadere tutta la responsabilità sui singoli, ci siamo abituati a un sistema in cui, di fatto, chi rispondeva alle istanze del sociale erano gli individui o le singole entità. Secondo me questo non è più possibile, non possiamo singolarmente rispondere da soli a queste istanze. Quando dico che la comunità salverà la società, parlo di una dimensione in cui si riconosce il tema del valore della vita come essenziale. E ne parlo in chiave assolutamente laica senza nessun discorso riferito a una trascendenza: sto parlando della sopravvivenza dell’essere umano. O c’è un ritorno di valori comunitari, anche rivisitati, dove la centralità viene data alla vita, alla alla sostenibilità, alla responsabilità, ai valori fondanti che creano una comunità o non ne usciamo.
Devono cambiare gli occhiali con cui guardiamo il mondo
Se continuiamo a guardare all’utilità, al profitto, all’individualismo, alla realizzazione del sé in maniera autonoma non sopravviviamo, attenzione… Non mi spiego come persone consapevoli di essere portatrici del virus continuino a uscire e a girare in mezzo agli altri, quale sistema di valori legittimi questi comportamenti.
Lei ha usato una parola chiave, consapevolezza.
È fondamentale e si correla al tema della responsabilità. Solo se io sono capace di comprendere che ciò che faccio avrà una ricaduta a livello più ampio, che non riguarda solo me ma è il mio agire in un contesto più ampio, penso si possa trovare una via d’uscita.
Il mercato, le aziende ruolo devono e possono ritagliarsi in questo processo?
Ho sempre posto al centro delle mie ricerche il tema della responsabilità sociale dell’impresa, dal mio punto di vista la necessità è sempre stata quello di cambiare il paradigma verso nuovi scenari possibili. Certo, non avrei mai creduto si sarebbe arrivati a quello attuale: tra studiosi parlavamo di scenari possibili, perché vedevamo le distorsioni in quelli esistenti e ci chiedevamo come lavorare per riuscire a operare su quelle distorsioni.
Oggi, vediamo imprese che stanno convertendo la loro mission, prima la Ferrari faceva le auto adesso fa dei componenti per i respiratori e così Marelli e via dicendo: stiamo producendo qualcosa che serve al sistema ora. Dietro tutto questo spero ci sia anche una riflessione sul ruolo che le imprese hanno, che non è solo ‘cambio quello che stavo facendo’, pur con tutte le competenze messe in campo, che sono un elemento fondamentale da preservare.
Sono interessanti i termini in cui le imprese vivono oggi il loro essere dentro il mercato, che oggi non è solo ‘faccio maggiore utilità’, ma
‘mi metto a servizio di una comunità’ che in questo momento ci chiede di assumerci una maggiore responsabilità.
Questo secondo me è il tema: la consapevolezza del proprio ruolo che non può essere semplicemente e non più esclusivamente produco perché questo produce benessere economico. Adesso bisogna lavorare su un tipo di benessere sociale, abbiamo capito che l’economia, i soldi non servono più a farci stare bene, abbiamo bisogno di tornare a essere più liberi. Il contenimento sociale dovrà essere mollato ma solo nel momento in cui noi capiremo quali sono i valori fondamentali.
Il valore è quello della vita? Allora mettiamoci e mettiamo nelle condizioni di capire come ciascuno può essere utile da questo punto di vista. Se rischio di contagiare me ne starò a casa, non andrò e non dovrò andare a lavorare.
Finora quello che è stato fondamentale nei modelli è stata la visione dell’homo economicus, bisogna tornare a quello che è l’homo civicus, colui che riconosce nel bene comune l’elemento più importante.
In questo senso qual è il ruolo della comunicazione?
Non non se ne può più del sistema di irrazionalità dei media, non possiamo continuare a vivere in un mondo popolato di fake news che abbiano come unico motivo riprodurre il potere di qualcuno nei confronti di qualcun altro. È necessaria una moralizzazione del sistema dei media.
Il tema attorno al quale dovrebbe ricomporsi un nuovo sistema orientato alla responsabilità sociale di tutti è forse proprio quello della moralizzazione, in ottica non bigotta ma di ritorno a valori reali autentici.
Un invito per tutti coloro che contribuiscono a creare messaggi.
Le istituzioni, i media, il sistema formativo, io che faccio parte dell’università e tutti quelli che hanno a che fare con le nuove generazioni.
Ho la sensazione che sarà necessario arrivare tutti alla distinzione primaria di ciò che è essenziale per l’umanità
Aziende e comunicazione hanno contribuito alla mentalità in cui siamo immersi.
Le aziende dagli anni ‘90 in poi hanno svoltato nella costruzione di narrazioni, loro stesse entrano nella costruzione dell’immaginario sociale che si fonda sui valori. Anche la comunicazione che veicolano deve essere rispettosa di questa dimensione, non credo potranno più ammantare la loro comunicazione di valori che siano legati all’individualismo, allo status symbol, alla potenza e al potere, quell’immaginario oggi non può più funzionare.
Oggi il governo ascolta molto gli scienziati, in ottica di costruzione del futuro ascolta anche voi studiosi ‘dell’umano’?
No, ed è un po’ la debolezza delle scienze umane e sociali in questo momento. Nessuno ci sta interrogando, nessuno ci chiede qual è il nostro parere perché in questo momento chi, giustamente, ha un ruolo deve dare spiegazioni di tipo razionale. È chiaro che noi che lavoriamo sulle narrazioni, sull’immaginario, sulla costruzione di una visione del mondo, sugli scenari dovremo essere coinvolti sulle risposte possibili, soprattutto nel futuro.
L’auspicio è che in qualche modo ci sia la possibilità anche per noi di dare in maniera responsabile un contributo.
Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale