Daria Braga
Daria Braga

Sport,“straordinario strumento terapeutico per la prevenzione del disagio”

Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, perché crea speranza dove c’è disperazione. 

Nelson Mandela ne era convinto, e puntando sulla forza sanificatrice dello sport ha gettato le basi per la nuova identità nazionale post segregazionista del Sudafrica dopo esserne divenuto Presidente, organizzando i Mondali di rugby del 1995 vinti dalla squadra del Paese, gli Springbok. Ispirandosi a questo principio, sotto il patrocinio di Mandela stesso nel 2000 è nata la Fondazione Laureus Sport For Good, con l’obiettivo di aiutare attraverso lo sport bambini e ragazzi che vivono in condizioni svantaggiate. Da allora la Fondazione ha realizzato progetti in 35 Paesi e assistito oltre un milione di bambini. In Italia Laureus Sport For Good è sbarcata nel 2005 e oggi è presente nelle maggiori città italiane come Torino, Milano, Roma, Napoli, Genova, Catania e Palermo, coinvolgendo oltre 400 bambini e ragazzi che possono praticare gratis attività sportive.

Tra i suoi numerosi ambassador di prestigio annovera nomi come Beatrice Vio, Irma Testa, Aldo Montano, Martin Castrogiovanni, Arianna Fontana, Davide Oldani e Pierluigi Pardo. Nel novembre del 2021, Laureus For Good Italia con Sportpro ha lanciato il primo “Index” che individua le aziende con maggior impatto sociale positivo. 

Secondo i dati Istat del 2020, nel nostro Paese ci sono 9,4 milioni di persone sotto i 18 anni di cui poco meno del 25%, circa uno su quattro, vive in condizioni di povertà assoluta. Tra gli 11 e i 17 anni, sempre uno su quattro non fa alcuna attività fisica, e oltre il 26% dei bambini e ragazzi tra i 3 e i 17 anni è in eccesso di peso e non per il troppo benessere. La pandemia da covid ha esacerbato il disagio psicologico dei più giovani, accentuando il senso di solitudine, la demotivazione, l’ansia, la rabbia e la paura. Secondo l’Osservatorio Indifesa 2020 di Terre des Hommes, la quasi totalità dei ragazzi tra i 13 e i 23 anni ne soffre; in più, più del 60% ha subito episodi di bullismo e cyber bullismo, e oltre un terzo è stato vittima di revenge porn. 

Da sei anni, Laureus For Good Italia è diretta da Daria Braga: «Come tutti, conoscevo gli aspetti positivi dello sport ma non pensavo che fosse uno strumento così straordinario e terapeutico per la prevenzione del disagio. Dopo questo lockdown lo è ancora di più, per affrontare l’analfabetismo motorio, problema già presente che si è aggravato con la pandemia. Noi promuoviamo l’attività sportiva per lo sviluppo dell’individuo, anche in vista del suo futuro di adulto che lavora. Il nostro obiettivo è tirare fuori il meglio dai ragazzi, non tanto per farne degli atleti che forse non diventeranno mai: ma forse diventeranno buoni cittadini».

In che modo Laureus contribuisce al riscatto dei bambini e ragazzi che arrivano da contesti tanto difficili?

Il concetto è trasformare l’attività sportiva in uno strumento per sviluppare la persona. Superare la fatica fisica, raggiungere obbiettivi crea fiducia. Si impara a fare squadra, a saper vincere e perdere, a impegnarsi in gruppo per uno scopo condiviso, capacità che oggi si è persa. Un altro obiettivo è quello di mostrare ai bambini e ragazzi possibili sviluppi professionali e opportunità di lavoro correlate allo sport. 

Chi sono i vostri assistiti?

Per la maggior parte sono maschi, al 56%, e complessivamente le persone di nazionalità italiana rappresentano il 47% dell’utenza. Il restante 53% appartiene a un contesto multiculturale e multinazionale. Per quanto riguarda le bambine e ragazze (44%), l’accesso allo sport è un po’ più complicato, quindi stiamo sviluppando progetti di inclusione per abbattere barriere e pregiudizi. 

Pandemia e confinamento hanno avuto un effetto terribile sui ragazzi. Inoltre i dati su cyberbullismo e revenge porn sono allarmanti. Per contro, si parla del digitale come della panacea. Cosa sta succedendo ai giovani?

Oltre 9 persone tra i 13 e i 23 anni soffrono di solitudine. Il digitale ha fatto il suo dovere durante il lockdown nel tenere in contatto le persone, ma senza intermediazione il risultato è devastante. I social sono soprattutto apparenza, e falsità: chi sta male non riesce a sentirsi meglio, e in più si blocca la spinta relazionale. 

Come è cambiata l’attività di Laureus con il Covid?

Prima della pandemia agivamo in modo “chirurgico” su singole situazioni di disagio, oggi ci chiamano ovunque, ma soprattutto si è sviluppato un interesse nei confronti del nostro lavoro che prima non c’era. Probabilmente il covid ha sdoganato qualche un tabù e fatto emergere disagi e fragilità che erano già presenti e ora sono diventate patologie diffuse. Quelle che prima erano fragilità relegate al disagio sociale oggi riguardano un po’ tutti. 

In che modo operate concretamente?

Noi sosteniamo economicamente i costi delle quote di iscrizione per i bambini che a loro volta vengono segnalati dalle scuole. Allo stesso tempo ci occupiamo della formazione degli allenatori, alla fine si crea un circolo virtuoso di cui beneficiano tutti: ragazzi e adulti che se ne occupano. I nostri project manager mappano i territori dove sono presenti situazioni di disagio oppure raccolgono segnalazioni, e successivamente creano alleanze e reti territoriali mettendo insieme realtà che non si sono mai parlate. Abbiamo anche lo psicologo dello sport, figura introdotta dal nostro presidente Ruggero Magnoni, che si occupa della formazione degli allenatori e degli insegnanti coinvolti nei progetti. 

Queste realtà sono aziende, istituzioni? Da dove arrivano i fondi che sostengono le vostre attività?

I nostri due founding partners sono Mercedes Benz e Iwc (Gruppo Richemont). A questi si aggiungono accordi con aziende a sostegno di progetti territoriali. Inoltre partecipiamo a bandi, per esempio “Let’s go” della Fondazione Cariplo per finanziare le nostre attività a Milano che hanno rischiato di interrompersi durante la pandemia; oppure con la impresa sociale Con i bambini abbiamo realizzato il progetto “Stringhe” in aree di periferia a Milano, Catania e Napoli. L’obiettivo è contrastare l’utilizzo compulsivo e inconsapevole della tecnologia e contemporaneamente la pigrizia motoria, mettendo insieme attività sportiva, pensiero computazionale e robotica. 

Come garantite trasparenza ed efficacia ai vostri stake holder e sostenitori?

Il 69% dei nostri fondi viene destinato ai progetti, il 15% ai costi per il personale e la gestione della struttura, il 16% alle attività di comunicazione e fundraising; il nostro evento più importante è “F1 Charity Night” che realizziamo una volta l’anno in concomitanza con il Gran Premio di Monza. Recentemente abbiamo anche introdotto un sistema di misurazione del valore sociale che creiamo, lo “SROI” sviluppato insieme alla SDA Bocconi. Abbiamo individuato una serie di parametri per valutare l’impatto delle nostre attività sui nostri stake holder, che sono in primo luogo bambini e ragazzi, e poi la famiglia, la scuola e gli allenatori. I progetti devono durare minimo tre anni; facendo un rapporto tra la valorizzazione economica dei benefici generati, i costi operativi e gli investimenti sostenuti, abbiamo calcolato che per ogni euro donato generiamo un ritorno sull’investimento di 2,57. 

Tra i vostri sostenitori ci sono molti personaggi celebri, per la maggior parte provenienti dal mondo dello sport professionale.

Gli ambasciatori sportivi sono molto importanti perché sono potenti motivatori. Ai nostri bambini diciamo sempre che dentro hanno la capacità e le risorse necessarie per tirarla fuori. L’idea è ribaltare il destino, dimostrando che si può scegliere di essere ciò che si vuole. 

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