Silvia Redigolo Fondazione Pangea onlus
Silvia Redigolo

Violenza sulle donne: alzare lo sguardo, tutti, per sgretolarne le mura

Ogni 25 novembre, una luce si accenda su una realtà, la violenza sulle donne, che nel nostro Paese solo nel primo trimestre del 2022 ha registrato un numero enorme: 7814, le chiamate al 1522, il numero anti violenza e stalking, e sempre nel primo trimestre di quest’anno, il 61% delle vittime ha dichiarato che le violenze perdurano da anni, un dato in aumento sia rispetto al trimestre precedente (56,7%), sia rispetto ai primi tre mesi del 2021 (53,7%).

Allo stesso tempo, nel 2020 più di 15 mila donne hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza e oltre il 90% si è rivolto a un centro Anti Violenza proprio in quell’anno per la prima volta.

Ma la violenza sulle donne, in particolare quella domestica, non è un tema solo per le donne, richiede invece un’alta soglia di attenzione e supporto da parte di tutti coloro che con quella violenza vengono a contatto, famiglia, amici, società.

Di questo abbiamo parlato in occasione del 25 novembre, giornata dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne, con Fondazione Pangea Onlus che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne, delle loro famiglie e delle comunità circostanti in Italia, in India e Afghanistan.

È sempre 25 novembre

Pangea è in questi giorni protagonista della nuova edizione di #Sempre25novembre, iniziativa ideata da Sorgenia per invitare a non voltare la testa, ad agire perché la violenza contro le donne riguarda tutti. Il progetto ha visto la realizzazione di un ebook che racconta 10 storie di altrettante persone famose e no, scaricando gratuitamente il quale si potrà sostenere il progetto REAMA di Fondazione Pangea Onlus (leggi qui per saperne di più), perché l ’azienda dona 1 euro per ogni download.

Il nostro incontro a margine della presentazione è con Silvia Redigolo, responsabile comunicazione e marketing di Pangea.

In conferenza stampa hai detto che la violenza è democratica.

Molto spesso, si pensa che la violenza domestica sia più un fenomeno da sud Italia, o che si riscontri in un ceto sociale basse e invece, purtroppo, riscontriamo che colpisce le donne da nord a sud, non distingue la moglie del professionista da quella dell’operaio, la professionista stessa subisce violenza e le testimonianze che sono state inserite all’interno delle storie dell’eBook realizzato all’interno del progetto #Sempre25novembre quest’anno ce lo raccontano. Abbiamo spazzato ogni tipo di stereotipo, la violenza colpisce donne anche fisicamente forti, come nel caso di un’atleta, e donne belle, anche bellissime, modelle, e poi arriva a toccare le persone che stanno intorno a loro.

Ovviamente nel momento in cui la violenza domestica esce dalle mura di casa raggiunge il pianerottolo, la strada, o la scuola nel caso di una maestra che riceve la confessione di un bambino che ha assistito alla violenza sulla mamma, non è più un affare della donna, ma diventa un problema che la società deve affrontare.

Dall’esterno, cosa non capiamo dei meccanismi che portano una donna a ‘restare’?

Intanto una donna non vuole rimanere all’interno di una spirale di violenza, occorre dirlo, nessuna donna vuole chiudere la porta di casa e vivere nel terrore.

Non c’è mai un ‘lei preferisce vivere in questo modo’. A volte le donne non capiscono che stanno subendo violenza; la famosa frase ‘al primo ceffone io me ne sarei andata’, che spesso viene usata, non prende in considerazione quella che è la storia di una donna, cioè che prima di ricevere quel ceffone ha subito mesi e anni di violenza psicologica e quando quel ceffone arriva pensa di meritarselo.

Tendere una mano

Soprattutto, è importante per le persone che le sono accanto essere vigili, chiedersi perché una amica non telefona da tempo, perché, magari, quando è a bere un bicchiere di vino fuori con noi controlla sempre il cellulare o viene controllata attraverso il telefono. Sono lampadine che si devono accendere e che ci devono far capire che forse c’è una dinamica di relazione che non è sana. Ed è importante coglierle non solo quando si parla tra amiche: mi è capitato che spesso anche gli uomini abbiamo chiesto come poter aiutare una amica, per questo, il 25 novembre non è una cosa solo da donne, anche gli uomini sono chiamati a essere attenti, a tendere una mano quando hanno un sospetto che una donna stia vivendo una violenza.

Dal vostro osservatorio, che cosa o chi fa scattare l’uscita dalle mura domestiche di una situazione di violenza?

Purtroppo, è assolutamente sempre la donna. Delle mail o delle chiamate che arrivano a Pangea, il 3% è di esterni, perché tutti tendono a farsi i fatti propri per vari motivi, perché magari si ha paura, o perché c’è sempre quel ‘ma sì, sono affari di quella famiglia…”. Spesso mi sento dire ‘Ma se la signora vuole vivere in questo modo…’, non ci si rende conto che quella donna non vuole vivere così e che la stiamo ri-vittimizzando. Dobbiamo pensare che una donna che vive una dinamica di violenza in casa ha paura e non solo di quello che sta vivendo, anche di non essere creduta.

Magari ha provato tante volte a chiedere aiuto, ma non ha trovato qualcuno che potesse accogliere la sua richiesta perché non sempre le forze dell’ordine sono preparate ad accogliere una denuncia di una donna che ha subito violenza e magari si va a minimizzarla; a volte, ancora, la famiglia non è pronta e le dice di tornare a casa, di non rovinare la famiglia togliere un padre ai tuoi figli, che forse il compagno è nervoso, stressato. Così capita che a volte la donna stessa si colpevolizzi. È un eterno voler giustificare la violenza dell’uomo e colpevolizzare la donna ed è questo che va interrotto.

Si può individuare un anello più debole? La cultura delle persone e la scarsa attenzione, il ruolo delle istituzioni, la rete nella società…?

“A volte qualcosa non funziona perché la donna si trova sola, le persone intorno a lei sottovalutano la situazione, non forniscono il consiglio giusto e c’è la paura di non essere creduta. L’unico consiglio da dare a una donna che sta vivendo tale situazione è rivolgersi a un centro antiviolenza perché è l’unico specializzato e con professionisti in grado di aiutare le donne maltrattate, grazie alla loro formazione specifica. Tra gli strumenti principali che usa Pangea c’è uno sportello antiviolenza online e la prima grande attenzione quando si raccoglie la denuncia di una violenza va alla valutazione del rischio.

La valutazione del rischio può salvare una vita: cosa scrivere nella denuncia, quali passi intraprendere… a un familiare, a un amico, ancora una volta dico, rivolgetevi a dei professionisti.

La violenza domestica, anche in modo meno eclatante, ci riguarda molto più di quello che pensiamo.

Se guardi i dati e ci contiamo noi in questo momento, durante questa intervista (nella stanza siamo tre donne, ndr), se 1 su 3 è colpita da violenza…

Cosa è successo in questi ultimi anni con la digitalizzazione delle relazioni e la pandemia che ci ha ulteriormente confinati?

Abbiamo vissuti tutto di più la casa, che è diventata sempre di più una prigione, certo. C’è stata la pandemia, c’è la crisi economica, ma non cerchiamo scuse la violenza sulle donne ha una radice più profonda.

Chi legge come può supportarvi?

Abbiamo bisogno sicuramente di donazioni. Quando una donna lascia la sua casa è come se scappasse durante una guerra, a volte esce con i bambini in pigiama e ciabattine, senza null’altro. I costi per aiutarla, non solo a uscire da quella situazione ma a ripartire, sono alti. Per questo invito a scaricare l’ebook che è stato realizzato con Sorgenia.

Il motto di Pangea è ‘La vita riparte da una donna‘.

La vita riparte da una donna che sta seguendo un percorso per uscire dalla violenza si è rimessa al centro. Solo ripartendo da sé stessa può affrontare il cammino per uscire dalla violenza. Un cammino che è in salita, fatto di passi avanti e indietro ma ripartire da sé stessa è sempre la chiave vincente. Sempre con l’appoggio di un centro antiviolenza che accoglie il vissuto senza giudicarlo.

di Monica Bozzellini

Monica Bozzellini
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale

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