Nel 2014 Elena Tioli, giornalista residente a Roma, decide di cambiare vita. Da accanita fumatrice, consumatrice tradizionale e professionista indaffarata, sceglie di compiere un passo importante: dal 1° gennaio 2015 non entrerà più in un supermercato.
Elena Tioli ha scelto di non spendere più soldi per finanziare realtà che non rispettassero il pianeta e i lavoratori, oltre ai consumatori.
Cambiare vita e uscire dal sistema
La scelta di vivere senza supermercato si allarga ad una volontà di uscire dal sistema consumistico?
All’epoca vivevo a Roma. Vivevo in una metropoli, immersa nella carriera e in un consumismo sfrenato. Non mi ero mai posta delle domande sui prodotti che compravo, sulle conseguenze e sul motivo per cui li acquistavo. Ero una persona media. Dopo aver finito gli studi lavoravo a La7; ero appena laureata e sognavo di fare la giornalista, un lavoro bellissimo. Dopo una lunga serie di contratti a tempo determinato ci ritrovammo, io e alcuni colleghi, senza lavoro. Da lì è nato un grande cambiamento. La disoccupazione mi aveva costretto a pormi una serie di riflessioni. Avevo tanto tempo libero e dovevo scegliere, come in ogni crisi: o soccombi o prendi in mano la tua vita. Nella società attuale ci identifichiamo con quello che facciamo. Io sono il mio lavoro, gli amici che ho, i vestiti che indosso. Invece quando rimani senza lavoro e non hai più i soldi per permetterti i vestiti, le uscite e la vita mondana, ti chiedi: io chi sono veramente? In un momento in cui non avevo più alcun controllo sulla mia vita ho pensato che dovessi ripartire da me.
Smettere di fumare è stata una molla decisiva. Da un giorno all’altro, dopo quindici anni di onorata carriera da fumatrice, con grande presa di consapevolezza. Mi sono sentita davvero potente. Il discorso dal fumo è passato al cibo e alle scelte della mia alimentazione.
Iniziavo ad indagare sulle conseguenze di un certo tipo di alimentazione, scoprendo i libri di Berrino. Approfondire e fare scelte più oculate anche nel campo dell’alimentazione. Avevo pochi soldi e quei pochi che avevo volevo spenderli bene. Il passo successivo è stato sui prodotti personali e per l’igiene della casa. Scelte sempre più oculate, incamerando sempre maggiori informazioni sulle conseguenze dei consumi. E alla fine di questo periodo di disoccupazione entrare in un supermercato mi procurava quasi angoscia, perché non vedevo più i prodotti che mi servivano e le promesse del marketing ma sapevo quello che si celava dietro, sapevo leggere l’etichetta, vedevo i volti delle persone che quei prodotti li avevano creati. Alle volte persone sfruttate. Vedevo le situazioni ambientali devastanti. Avevo iniziato a scoprire l’altra faccia della medaglia della grande distribuzione.
Ti muovi da sola o sei riuscita a costruire una comunità che si basa su questo stile di vita?
La comunità in realtà esisteva già. A Roma non conoscevo nulla del consumo alternativo che invece esisteva. Il gruppo di acquisto solidale mi ha salvata, perché ho iniziato a fare la spesa con loro e da lì è stata una svolta. Per non parlare dei mercati contadini, le botteghe, i negozi che vendono sfuso, i mercati. C’è un mondo fuori dalla grande distribuzione ed è una bella comunità. Conosci le persone e le loro storie. In quanto giornalista ho iniziato anche a raccontarle ed è stato bellissimo perché sono persone che amano incredibilmente il loro lavoro e mi hanno convinta a mettermi in discussione anche da questo punto di vista. Ho pensato che anche io avrei voluto dedicare la mia vita a qualcosa che mi potesse appassionare così tanto e che magari oltre a farmi stare bene permetta anche agli altri di vivere bene. I contadini sono stati dei grandi maestri in questa grande avventura. Ma è possibile compiere questo percorso anche nelle grandi città. Io a Roma senza supermercato ho vissuto quasi cinque anni ed è stato bellissimo.
Partire dalla consapevolezza di sé per agire in un mondo più umano
L’impegno, l’organizzazione e la fatica spesso scoraggiano da un consumo più facile e comodo. Che cosa si guadagna e cosa si perde? C’è bisogno di maggiore consapevolezza?
Sicuramente se non percepisci una spinta in direzione di una consapevolezza e di una presa di coscienza questo percorso non lo intraprendi. A me è servito sbatterci la faccia, è servita la disoccupazione. Quando entri in questo mondo ti accorgi che ci sono tantissimi vantaggi, rispetto alla finta comodità che ci vende la grande distribuzione. E la finta varietà. Nei supermercati trovi centinaia di prodotti che sembrano tutti diversi perché hanno confezioni diverse ma alla fine gli ingredienti sono sempre gli stessi. A quel punto preferisci sicuramente il banco di un mercato contadino in cui magari hai meno varietà e più biodiversità e ti accorgi della differenza: di prodotti e qualità. Per quanto concerne la comodità, per chi fa la spesa il week end perché in settimana lavora il supermercato diventa un girone dell’inferno. Sono situazioni che non mi mancano per niente. Esistono luoghi in cui la comunità è famiglia, come la bottega di quartiere. Si scambiano chiacchiere, come nel gruppo d’acquisto solidale in cui ritrovo molti amici. Si tratta di realtà totalmente differenti, più a misura d’uomo, nelle quali instauri rapporti di fiducia.
Io non mi voglio fidare della marca, mi voglio fidare della persona.
È questo tipo di fiducia che dovrebbe esserci alla base.
Quale primo consiglio daresti alle persone che vogliono intraprendere questo tipo di percorso?
La prima domanda che bisognerebbe porsi è: chi e cosa voglio finanziare con i miei soldi? Anche se dovesse trattarsi soltanto di un euro: a chi voglio destinare quell’euro? Siamo tutti complici di un sistema fallimentare se non iniziamo a prenderci la responsabilità dei nostri acquisti. Bisognerebbe iniziare ad indagare sulle conseguenze che si celano dietro ai nostri consumi. Quali sono le conseguenze se destino 50 euro da una parte o 50 euro dall’altra? Sto finanziando qualcuno che sta disboscando, avvelenando e distruggendo o sto finanziando qualcuno che sta qualificando, valorizzando e costruendo? Secondo me queste dovrebbero essere le prime domande, perché siamo a un punto di non ritorno.
Alla luce dei dati record d’inflazione e di un aumento generale dei prezzi credi che questo stile di vita possa aumentare?
La mia è stata una scelta in un periodo di disoccupazione in cui non avevo possibilità economiche. Essenzialmente, i punti chiave sono due: meno è meglio. Smettere di avere tutto pieno, dal frigorifero agli scaffali. Non abbiamo bisogno di tutte queste cose.
E soprattutto, ripartire dalle materie prime, una semplicità volontaria.
Le materie prime di qualità costano meno di trasformati e prodotti già pronti. Ricominciare a fare, una cosa meravigliosa. Invece di impiegare tre ore a fare la spesa in un supermercato impiegarle a fare il pane o autoprodurre una marmellata, un deodorante o un dentifricio. Si tratta di minuti spesi a fronte di un risparmio incredibile.
Con l’autoproduzione si possono fare grandi cose di qualità a basso costo.
Laddove la spesa è più alta rispetto alla grande distribuzione, perché spesso succede anche questo, è bene chiedersi il motivo. Magari quelle arance io le pago un po’ di più ma non provengono da una filiera in cui è presente il caporalato, lo sfruttamento o la schiavitù.
Ascoltarsi e decidere in che mondo si vuole vivere
La questione alimentare è un tema assai dibattuto in questo periodo. Ritieni che la narrazione sia fuorviante?
Sicuramente c’è confusione ma è anche giusto così perché ognuno deve trovare il proprio equilibrio, la propria strada e anche la propria cucina. Negli ultimi anni ho letto di tutto e provato di tutto. Successivamente, mi sono costruita la mia alimentazione, in sintonia con ciò che mi fa star bene. Non credo esistano diete o abitudini alimentari universali o verità assolute. Ci sono delle cose che in un certo periodo ci fanno star bene e l’importante sarebbe imparare ad ascoltarci veramente e non essere vittime sempre delle pubblicità o del continuo bombardamento di informazioni. Bisognerebbe decidere come si vuole vivere e in che mondo si vuole vivere. Quando mangiamo stiamo decidendo proprio questo.
Vivere senza supermercato è anche il titolo del tuo libro.
Quando ho iniziato a provare questa esperienza scrivevo un blog, perché mi piaceva molto scrivere e in quel periodo il blog era un mezzo molto in voga, avevo molto tempo libero. In seguito, la casa editrice Terranova mi ha proposto di trasformare questo racconto in un libro. In realtà io non pensavo che potesse interessare così tanto. Quando è stato pubblicato mi sono arrivate tantissime richieste di presentazioni e ho potuto conoscere moltissime realtà, in contesti in linea con ciò di cui parlavo. È stata una sorpresa.
Cosa significa per te ‘ritornare alla natura’?
Compiendo questo tipo di scelte ho alimentato un richiamo sempre più forte dentro di me che mi diceva di tornare alla terra. Alle radici, alle origini. Ad uno stile di vita più lento e naturale. Non ho potuto ignorarlo. Me ne sono andata, ho lasciato il lavoro, la città, l’appartamento con il mutuo. Adesso capisco il motivo; ritornare alla terra, metterci le mani, curare un orto, camminare scalza e stare in mezzo agli alberi mi hanno permesso di scoprire cose di me stessa incredibili. Mi sento nel posto giusto quando sono in questo mondo. Quando inizi a togliere il superfluo il percorso non ha fine perché ci hanno riempito di così tanti bisogni materiali, allontanandoci dalla nostra essenza e dai nostri desideri, che quando ti accorgi di essere in una trappola dalla quale puoi evadere e una volta evaso puoi respirare ed essere felice, cambiare vita e rallentare, poi non ti fermi più.
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