Corretta rappresentazione nella donna nei contenuti audiovisivi e parità di genere nell’industria.
Sono i temi al centro della nostra conversazione con Domizia De Rosa, presidente dell’associazione Women in Film, Television & Media Italia
Fondata nel 1973 negli USA e presente in 40 Paesi nel mondo, Women in Film, Television & Media ha come obiettivo quello di promuovere la parità di genere nell’industria dell’audiovisivo e dei media in genere, incoraggiando una più adeguata e positiva rappresentazione della donna nei contenuti che tale industria produce.
Domizia De Rosa, già Executive Director, Television per Warner Bros. Entertainment Italia, è la presidente del capitolo italiano, nato nel 2018 a conferma della consapevolezza e insieme della necessità di unire le forze per evolvere il tema della Diversity di genere. E non solo.
“Consapevolezza e necessità sono due parole chiave”, esordisce De Rosa nella nostra chiacchierata.
La consapevolezza sul tema Diversity ha vissuto una accelerata, da cosa dipende?
È indubbio che il Metoo, prima negli Stati Uniti e poi negli altri Paesi, ha obbligato un settore a una riflessione sulle proprie pratiche e sulla propria etica professionale. Al tempo stesso, grazie al fatto che l’audiovisivo fa parte della nostra vita, come consumatori, e che le notizie che lo riguardano ci arrivano indipendentemente dall’ambito in cui ci muoviamo, i temi messi in luce hanno smesso di essere legati al mondo dello spettacolo, parlando a tutte di come la violenza sia un frutto di meccanismi di potere, in qualunque settore professionale.
A questo si è aggiunto il ‘2020’: credo che trovarsi a lavorare da casa sia stato un grande acceleratore di riflessioni su cosa significhi creare un ambiente lavorativo sano, in particolare quando devi ritagliarti uno spazio nella tua casa e ti trovi in una relazione a distanza con i tuoi interlocutori: relazione che può esacerbare dinamiche tossiche o, viceversa, darti delle rivelazioni.
Non è un caso, quindi, che la consapevolezza sia cresciuta, grazie a fattori interni ed esterni.
Tutti gli indicatori, inoltre, ci dicono che una prosperità economica è legata anche alla crescita dei numeri della professionalità dell’impiego femminile, finalmente è moneta corrente, non più una questione settoriale di associazioni di donne, che parlano di donne.
Agire e condividere
Consapevolezza e necessità vanno di pari passo, quindi, perché la consapevolezza ti porta alla necessità di agire e condividere. Ecco perché nascono associazioni, reti e modi di ritrovarsi insieme. Esattamente quello che sta alla radice della nostra nascita.
Qual è la vostra missione?
Come rivela il nome, l’associazione ha come focus quello di promuovere e supportare la professionalità femminile nell’audiovisivo, su più binari.
Ci sono percorsi di lunga gittata, come quelli legati alla discriminazione salariale o ai climi ambientali, che si fanno insieme alle istituzioni e alle altre organizzazioni che conducono lo stesso percorso, attraverso comunicazione, informazione ed eventi.
C’è un lavoro dietro e davanti alle quinte, per usare una metafora adatta a noi: dietro le quinte per costruire una rete allargata e in questa direzione abbiamo ad esempio aderito ad ‘Half of it, Donne per la salvezza’.
Dall’altra parte ci sono le istituzioni, con le quali interagire: far parte della loro mappa di riferimento è fondamentale, ci stiamo lavorando, è un rapporto che richiede tempo.
Come ogni associazione, poi, abbiamo lo scopo di sostenere i nostri soci , ad esempio, attraverso eventi mirati di formazione.
Come è cambiata l’interazione in questo anno?
L’essere passati alla dimensione digitale ci ha fatto capire quanto sia importante offrire strumenti di facile consultazione, perché anche la vita associativa va incastrata in una quotidianità complessa.
Per questo abbiamo lanciato un progetto di pillole di e-learning, rivolte a smascherare quegli stereotipi di genere, ma non solo, che diventano ostacoli alla propria realizzazione personale e professionale. Sono brevi video, visibili sul nostro canale YouTube, interdisciplinari, perché questa è un’altra chiave di crescita: l’audiovisivo, per sua natura, tende a inglobare nuove discipline e competenze e, con un mercato del lavoro complesso come quello attuale, è fondamentale avere un’ampiezza di visione e la possibilità di accedere a fonti di ispirazione. Diamo stimoli che ogni socia o socio elabora, trovando il modo di inserirli nella propria crescita.
In agenda abbiamo anche appuntamenti mensili di networking online e, quando sarà possibile, live; o, ancora, eventi e festival. Anche in questo caso, ci si vedrà di più quando sarà possibile.
La vostra associazione è aperta agli uomini.
Il nome dichiara la nostra missione, ma la missione è di tutti, perché come dicevamo all’inizio la professionalità femminile è un patrimonio comune. La presenza del socio è fondamentale: è un alleato, un sostenitore, un fan e, soprattutto, una persona che nel quotidiano può riportare una serie di buone pratiche.
Una alleanza tra generi
Questo mi riporta alle nostre pillole di e-learning, noi diciamo che quando inquadri uno stereotipo lo vedrai per sempre e questo è il lavoro che facciamo, con i nostri soci e, soprattutto, con tutti gli uomini delle nostre vite personali e professionali: indicare cosa guardare, perché tanti comportamenti sono innati, non tutti nasciamo con la capacità di cogliere il filtro che sta dietro.
Come si lavora sui bias?
Questa è una domanda da farsi tutti i giorni perché i bias sono dentro di noi, tanto a fondo. Prima di tutto si fa prestando attenzione anche al dettaglio, bisogna allenarsi quotidianamente per scoprire il preconcetto che è dentro di noi. Nel mondo dell’audiovisivo, siamo privilegiati perché possiamo farlo anche con tutto quello che creiamo; lo sguardo è fondamentale.
Quindi, noi raccomandiamo l’assunzione delle nostre pillole, perché ognuna fa riflettere, e di utilizzare nel quotidiano tutte le opportunità utili a capire di più e a far capire di più: la nostra conversazione, convegni, azioni specifiche. La parola formazione sia chiave.
Come si fa a dare reale efficacia all’impegno per la parità?
Abbiamo visto che organizzare un evento che utilizza la parola donne o femminile è ancora divisivo. Lo capiamo anche semplicemente dalle statistiche sul pubblico: al 90% di donne, spesso della stessa provenienza età e fascia.
C’è un lavoro da fare a monte, nella percezione per cui io uomo leggo quelle parole e dico non mi interessa, o addirittura io donna dico non mi riguarda. Si deve parlare a tutti.
Quest’anno, iniziamo finalmente a capire che il benessere di metà della popolazione determina il benessere della totalità, sembra una equazione banale eppure la dobbiamo ricordare. Se, la popolazione femminile non ha accesso alle opportunità di quella maschile è un problema di tutti, all’interno di ogni famiglia.
In questa direzione, l’audiovisivo – e lo voglio sottolineare – ha una doppia responsabilità: creare inclusione e arrivare a pratiche eque per sé stesso e, insieme, creare contenuti che influenzano i comportamenti collettivi. Siamo a volte complici, a volte promotori, a volte vittime noi stessi di quello che raccontiamo e vediamo. Il nostro lavoro è proprio quello di creare consapevolezza, affinché ciascuno la porti nel suo lavoro quotidiano, che sia di scrittura approvazione o produzione. Ogni luogo è influente per chiedersi che storia stiamo raccontando? Che mondo vogliamo rappresentare? Abbiamo incluso le voci che ci servono per saper raccontare questa storia?
È una responsabilità che sentiamo e che vogliamo far sentire a chi per ora ancora finge che non lo sia.
C’è anche una responsabilità legata ai contenuti che create?
Come industria, abbiamo la responsabilità della rappresentazione che facciamo della realtà. Perché racconti quello che c’è nel mondo, ci deve essere una pluralità di sguardi e questo si ottiene con l’inclusione di questi sguardi, non con l’appropriazione di mondi che non si conoscono.
Perciò, il punto di vista femminile e tutti gli altri sono fondamentali per costruire una rappresentazione capace di portarci davanti a uno schermo, a vedere storie in cui ci riconosciamo.
Questo è utile per il comparto dal punto di vista puramente economico, perché produce storie che richiamano pubblico; e più in generale, perché la pluralità di sguardi è sempre creativa e produttiva.
Ricerche e studi hanno messo nero su bianco che la correlazione tra pluralità e crescita del comparto e della società è diretta. E deve partire dall’interno di ciascuna realtà.
Il mondo che rappresentiamo è quello che creiamo
C’è un ambito dell’audiovisivo più ‘evoluto’ in termini di inclusività?
Non parlerei di settori, perché, fortunatamente, c’è sempre maggiore fluidità tra le persone e i lavori. Certo, la pervasività della tv è aumentata in questi ultimi anni e il racconto delle storie seriali ha una capacità maggiore di influire sui comportamenti e sul modo in cui guardiamo al mondo.
Se il cinema è fatto di tanti singoli volumi che compongono la nostra enciclopedia, una serie è una super enciclopedia e offre un immaginario composito, fatto di quello che creiamo in Italia e di ciò che riceviamo da altre culture: nella nostra giornata, possiamo passare da una serie spagnola a una coreana, o inglese.
Con l’arrivo delle piattaforme on demand, si sono creati nuovi luoghi in cui veicolare storie che, per raggiungere il maggior numero possibile di persone, hanno dovuto diversificarsi, includere e andare a raccontare tutto quello che ancora non c’era.
Credo che la serialità, oggi, per la possibilità di evolvere i suoi personaggi e di entrare nel nostro quotidiano, riesca a influenzare di più un cambiamento. Naturalmente il cappello è che trepidiamo per tornare al cinema al più presto, e, soprattutto, per tornare a vedere storie che ci emozionino. Scopriremo cosa si vorrà guardare, avremo bisogno di storie positive o di disaster movie? Vorremo vedere storie sciocche per non pensare o vorremo guardare dentro di noi?
Restando però alla serialità, specie sul fronte americano, per molti creatori di contenuti, agire sul cambiamento è un obiettivo dichiarato. Se citiamo ancora Ryan Murphy (Glee e Pose, ndr) il suo scopo è raccontare storie inclusive e praticare l’inclusività, dal casting alla scrittura del progetto. A volte, si può incontrare l’inclusività lungo il percorso, ma per essere realmente efficace deve essere nel dna e, se non lo è… esiste la formazione.
Nel dna c’è anche il linguaggio.
La parola è chiave per costruire il nostro quotidiano. Il linguaggio forma il mondo e lo rappresenta, se non hai un nome per definire qualcosa, resterà nebuloso. Il dibattito sull’uso dei nomi delle professioni al femminile va avanti da numerosi anni.
Le lingue sono mutevoli e riflettono la realtà: se una professione era declinata solo al maschile o al femminile, nel momento in cui diventa aspirabile e attuabile da entrambe le parti, ci saranno le giuste parole per definirlo.
Lo vogliamo dire chiaramente: il maschile in italiano non è neutro, il neutro maschile è una comodità, è più semplice, ma presume che un mondo a forma maschile sia valido per tutti quanti e sappiamo bene non è così.
Linguaggio, sintomo e causa.
Quando parliamo ascoltiamoci per scoprire una parte delle nostre gabbie interiori. Qui voglio fare anche un mea culpa, per tanto tempo ho approfittato del termine inglese manager o director, per definire la mia professione: lo facevo consapevolmente, perché l’italiano mi poneva di fronte a una scelta, direttore o direttrice, che comportava una percezione.
Ho scelto una strada, lo dico da sola, vigliacca, perché il contesto me lo consentiva, ma notavo la differenza di percezione. Ora, fatto l’opportuno cammino di apprendimento, dico che le parole acquisiranno quella valenza che ora non hanno e che dobbiamo dare loro.
Che rapporto avete con le giovani generazioni?
È fondamentale avere in associazione tutte le fasce d’età, ciascuna con il suo portato; cerchiamo di cogliere dalle socie più giovani gli input per coinvolgerne altre. Il tema dei bias risuona molto anche con loro, ci siamo accorte in varie circostanze che la percezione è diversa, la giovinezza porta con sé quasi una certezza che il mondo si è evoluto, una sorta di ‘a me non sta accadendo’: invece avviene costantemente, sta a noi la responsabilità di aprire quello sguardo.
Ci avviamo alla conclusione…
Aggiungerei che anche noi condividiamo un approccio positivo al mondo, siamo qui perché crediamo che si possa contribuire al cambiamento. La missione è sempre ampia, ma non per questo bisogna spaventarsi.
La pazienza riguarda molto il femminile.
Diciamo che è una qualità, e una competenza, che abbiamo dovuto sviluppare per ragioni storiche e l’abbiamo sviluppata bene. È una combinazione di ascolto attivo e capacità di calibrare i tempi. Allo stesso tempo è un’arma a doppio taglio: la pazienza non deve essere accettazione, bisogna saperla dosare.
E alzare le aspettative.
Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale