Siamo pronti per la ricostruzione? Le proposte di Deutsche Bank

Inizia la Ricostruzione. Ma esattamente come?
L’ultima analisi di Deutsche Bank propone idee su come economie, imprese e società dovrebbero ricostruirsi dalla pandemia. Dal cambiamento del modo in cui stimoliamo i mercati del lavoro, all’implementazione delle valute digitali, sino alla tassazione di coloro che lavorano da casa. Un report progettato per innescare dibattiti e confronti per riorganizzarci.
“Alcune delle nostre idee possono sembrare radicali – si legge nel report -, ma speriamo che ispirino manager e politici ad uscire da questo tragico periodo e iniziare a Ricostruire”.

L’ultimo report di Deutsche Bank dal titolo ‘What we must do to rebuild’ prova a lanciare una serie di idee per risollevarci dalla pandemia. Suggerimenti e analisi per mettere in moto la nuova Ricostruzione (qui il report).  
I temi messi sul tavolo vanno dal ruolo della politica, al dibattito sul contributo dell’idrogeno e alla possibilità che diventi il ‘carburante miracoloso’, dal ruolo delle imprese come partner sociali per guidare il cambiamento fino alla proposta di tassare i lavoratori da casa

Quest’ultima idea, venuta al macro strategist Deutsche Bank, Luke Templeman, sta facendo molto discutere. L’analista propone una tassa del 5% per coloro che lavorano da casa che starebbero beneficiando di molti privilegi rispetto ai lavoratori costretti ad andare in azienda. Questa forma di solidarietà forzata andrebbe così a finanziare sussidi per i lavoratori a basso reddito che non possono lavorare da remoto. 

“Una tassa sui WFH non si limiterebbe a sovvenzionare solo le imprese che non hanno futuro nel lungo termine quanto a sostenere tutti coloro che sono stati improvvisamente ricollocati con diverse mansioni accettando così lavori poco pagati. Da un punto di vista personale ed economico – sottolinea Templeman – , è logico che a queste persone venga data una mano. E ha anche senso riconoscere che sono i lavoratori essenziali quelli che assumono il rischio di ammalarsi di covid per bassi salari. Coloro che possono permettersi di ‘disconnetersi dall’economia delle relazioni faccia a faccia glielo deve”. Templeam aggiunge poi:

“Le persone che possono lavorare da casa e disconnettersi da una società che richiede il contatto personale hanno guadagnato molti benefici durante la pandemia. Una tassa del 5% per ogni giorno di lavoro da casa non peggiorerebbe le condizioni del lavoratore medio rispetto a lavorare in ufficio”.

Inoltre, secondo l’analisi di Templeman, coloro che lavorano da casa risparmierebbero su spese dirette come spostamenti, pause pranzo, abiti e pulizia e sulle spese indirette, come quelle legate alla socializzazione, in cui si sarebbe incorsi in ufficio, andando a impattare meno sull’economia, pur ricevendone i benefici. 
I benefit dei lavoratori da casa, secondo la banca tedesca, sarebbero una maggiore sicurezza del lavoro, comodità e flessibilità. Templeman ha anche dichiarato:

“Lavorare da casa farà parte della ‘Nuova Normalità’ anche dopo che la pandemia sarà passata. Noi sosteniamo che i lavoratori a distanza dovrebbero pagare una tassa per il privilegio”.

Secondo le stime di Deutsche Bank la smart tax permetterebbe di raccogliere 49 miliardi di dollari all’anno negli Stati Uniti, 20 miliardi di euro in Germania, 7 miliardi di sterline nel Regno Unito. Ipotizzando che venga applicata a redditi medio alti, DB stima 10 dollari al giorno negli USA su redditi di 55 mila dollari; 7,5 euro in Germania per un reddito pari a 40 mila euro; e 7 sterline per i lavoratori UK che guadagnano 35 mila sterline.

La proposta di Templeman precisa che la smart tax non si applicherebbe in periodi, come l’attuale, nei quali siano i governi a chiedere o a imporre ai lavoratori e alle aziende di svolgere il telelavoro, ma solo in condizioni “normali”, laddove l’opzione fosse  volontaria.
L’obiettivo della tassa, secondo l’analista, sarebbe una più equa redistribuzione del reddito.

L’Italia che lavora da casa 

Nel 2019 in Italia i lavoratori in smart working erano solo il 3% e le stime prevedono che nel 2021 si arriverà al 16%, pari a 3 milioni di occupati. Nel periodo culmine dell’epidemia ha interessato una platea di 4,5 milioni di persone e continuerà ad essere una pratica molto diffusa. Secondo il Sole 24 Ore se l’imposta proposta da DB venisse applicata in Italia, al di fuori dell’emergenza pandemica, si potrebbe stimare un incasso pari a circa 4 miliardi di euro.

Sempre secondo i calcoli del quotidiano di Confindustria “L’importo deriverebbe assumendo la previsione che nel 2021 il 16% dei lavoratori, pari a 3 milioni di occupati, potrebbe stabilmente lavorare da casa (era il 3% nel 2019), e un reddito medio lordo annuo pari a 28.000 euro (contro i 25.000 euro di coloro che devono lavorare in presenza). L’entrata erariale potrebbe aumentare se considerassimo i 2,3 milioni di lavoratori stimati che potrebbero lavorare da remoto per una parte della settimana (in media 2,7 giorni)”. 

Viene spontaneo chiedersi se, considerato i redditi dei lavoratori italiani in smart working molto distanti da quelli dei cugini europei, non sarebbe più opportuno un patto tra lavoratore, azienda e istituzioni per portare avanti la solidarietà.

Ma lo smart working in Italia da chi viene fatto? 

Da uno studio curato dall’INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, emerge che attualmente in nel nostro Paese per come è praticato, il lavoro agile tende ad avvantaggiare i lavoratori con un reddito alto, in prevalenza uomini, accentuando così le disuguaglianze sociali (vedi notizia) . Inoltre hanno una maggiore attitudine allo smart working coloro che lavorano nel settore pubblico.

Il problema di parità di salario tra PA e privato era già stato affrontato durante il Festival dell’Economia di Trento di quest’anno l’economista ed ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, dialogando con il premier Giuseppe Conte, aveva proposto invece di inserire la Cig anche per i dipendenti pubblici: “Perché non pensare a una Cig anche nella pubblica amministrazione, così da fare in modo che ci sia parità di trattamento fra dipendente pubblico e privato”.

Il potere delle aziende 

Lo studio di Deutsche Bank sulla ricostruzione mette sotto i riflettori l’importanza delle aziende come partner sociali: “Le aziende non dovrebbero ignorare di avere la capacità di guidare il cambiamento in vista della prossima crisi finanziaria (e sociale)”

L’impatto della disuguaglianza e la risposta aziendale

L’impatto della pandemia fornisce prove tangibili per questa generazione che la disuguaglianza può esacerbare e prolungare una crisi finanziaria. Le statistiche e le stime mostrano che sono proprio le donne le più colpite. Il target femminile rappresenta più della metà delle perdite totali di posti di lavoro dovute alla pandemia, nonostante rappresentino circa i due quinti della forza lavoro globale.
La perdita di lavoro durante la pandemia ha registrato un impatto sproporzionato sui poveri e su tutto l’indotto dato dal lavoro in nero, anche quello che piaccia o meno fa parte dell’economia. 
“Non ci si può aspettare che le aziende risolvano problemi come la disuguaglianza da sole – sostiene l’analista di Deutsch Bank Debbie Jones -. Hanno però le leve per guidare il miglioramento”. 


Cosa possono fare le aziende?


Oltre a fissare obiettivi per il cambiamento, le aziende devono essere responsabili
Il modo migliore per farlo è collegare i loro obiettivi e impegni aziendali alla retribuzione manageriale ed esecutiva. Ciò include iniziative per migliorare la diversità e l’inclusione, la parità salariale, la salute e il benessere, la sicurezza e la sensibilizzazione della comunità. I team di gestione disposti ad affrontare questioni sociali rilevanti non solo sosterranno un’economia più sana, ma creeranno anche aziende più forti e resilienti.
Il bilancio di sostenibilità, la cui redazione è diventata obbligatoria per alcune aziende, è il chiaro segno che alle imprese viene chiesto di agire responsabilmente in modo da incidere positivamente sulla società e sull’ambiente.

Jones propone che per far sì che le società si assumano maggiori responsabilità per il mondo che le circonda, debbano diventare più attraenti per gli investitori, e a noi di Quoziente Humano viene da dire anche per i consumatori. 

Il primo passo: dialogo e divulgazione

Affinché le aziende possano migliorare le metriche sociali, devono prima raccogliere i dati rilevanti e il feedback dai dipendenti per creare una linea di base. Un dialogo che metta al centro le persone sia come lavoratori sia come individui. La ricercatrice sottolinea l’importanza di un dialogo tramutato in dati. “Dovrebbero essere divulgate statistiche aggregate e dovrebbero essere introdotti obiettivi misurabili. Sfortunatamente, molte società quotate in borsa attualmente non divulgano dati sociali, soprattutto a livello di dipendenti”. 
E aggiunge: “Per essere onesti, in alcuni Paesi europei, le restrizioni all’ottenimento e al trattamento delle informazioni sui dipendenti rendono difficile la raccolta dei dati. Al contrario, le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti richiedono alla maggior parte delle aziende di monitorare i dati sulla salute e la sicurezza e le statistiche demografiche dei dipendenti, comprese quelle relative alla diversità. I risultati sono aggregati per settore e sono disponibili sull’US Bureau of Labor Statistics. Oggi, la SEC ritiene che queste metriche non siano rilevanti per la rendicontazione finanziaria, quindi spesso non sono rese disponibili dalla società”.

Nel complesso, la portata delle segnalazioni è scarsa. Infatti, quasi tre quarti delle aziende scelgono di non divulgare i dati sulla diversità mentre il 61% non rivela pubblicamente i dati di genere. Le società europee potrebbero essere leggermente migliori nelle pratiche di divulgazione, ma nel Regno Unito, il Financial Reporting Council afferma che solo il 14% delle società FTSE 100 e il 2% delle società FTSE 250 hanno obiettivi di etnia misurabili.

Passiamo ad alcune buone notizie

Alcune aziende però stanno agendo. Ciò è particolarmente vero per le aziende che si confrontano con i consumatori che tentano di affrontare la disuguaglianza sociale evidenziata sia dalla pandemia che dal Black Lives Matter. Molti stanno fornendo formazione sulla diversità e programmi di tutoraggio, enfatizzando gli sforzi di sensibilizzazione della comunità, cambiando le pratiche di assunzione e stabilendo chiari obiettivi di diversità e inclusione per dipendenti e consigli.

Un esempio è Starbucks. Dopo aver ricevuto contraccolpi sulla sua diversità, l’operatore della catena del caffè ha annunciato l’obiettivo di raggiungere una rappresentanza nera, autoctona e non bianca di almeno il 30% a tutti i livelli aziendali e almeno del 40% a tutti i piani di vendita al dettaglio e di produzione entro il 2025. Con questi nuovi obiettivi, l’azienda si impegna a collegare i suoi obiettivi più ampi alla retribuzione dei dirigenti al fine di aumentare la responsabilità. Si noti che Starbucks riporta una parità salariale al cento per cento.

Un altro esempio è Under Armour. A maggio di quest’anno, il marchio di abbigliamento ha annunciato, oltre a un impegno esistente di avere 30% dei ruoli di amministratore e superiori occupati da membri neri, indigeni e non bianchi, la società si è ora impegnata a un obiettivo più specifico di coprire il 12% di quei ruoli con talenti neri entro il 2023. Queste percentuali ora si applicano anche ai membri il team esecutivo. 

Un terzo esempio è Lululemon. In ottobre ha annunciato obiettivi di diversità mirati e ha rivelato che investirà 75 milioni di dollari in programmi di benessere azionario. Inoltre, ha ampliato l’equità salariale di genere all’equità retributiva piena per tutti i dipendenti.

Le aziende dovranno dimostrare di essere un forte partner sociale

Una semplice ricerca su Google fornisce una pletora di dati disponibili prima della pandemia che supporta i vantaggi della diversità all’interno di un’organizzazione. McKinsey ha dimostrato in uno studio che le società che discriminano per sesso, etnia e razza hanno statisticamente meno probabilità di ottenere rendimenti finanziari superiori alla media rispetto alle società che includono e sono socialmente responsabili. La conclusione è che il potenziale per le aziende meno diversificate è limitato. 

 Una volta usciti dalla pandemia secondo Jones, ci saranno ulteriori ostacoli per le organizzazioni che non si sforzano di affrontare la disuguaglianza sociale. 
A ottobre, David Swensen, investitore americano, gestore di fondi e filantropo, ha ricordato alle società di investimento che saranno misurate sui progressi verso l’aumento della diversità del personale addetto agli investimenti. Il messaggio era: avete bisogno di assumere più donne e minoranze o potreste essere esclusi dalla gestione del denaro. 

“Si potrebbe pensare che la crescente pressione sulle aziende manifatturiere per essere sostenibili provenga da investitori attenti alla sostenibilità – chiosa Debbie Jones -. Ma se poni la domanda alle aziende ti risponderanno che la vera pressione proviene dai clienti e dai consumatori. Se gli obiettivi ambientali sono importanti per un’azienda di consumatori, diventa importante per il loro fornitore”. 

Aumentare la rappresentanza richiede tempo. È meglio iniziare adesso

“Tra gli oltre 15 analisti finanziari delle varie società di ricerca che coprono le scorte di carta e imballaggi, sono l’unica donna – sottolinea Jones -. È stato così per la maggior parte della mia carriera: agli eventi del settore e poi di nuovo dopo aver avuto un figlio. Sono stata una delle fortunate. Ho avuto forti mentori femminili (e maschi) e colleghi di supporto lungo la strada”.
E continua: “Durante la mia carriera ho visto donne passare a ruoli manageriali ed esecutivi, ma il ritmo è stato lento. La diversità nella sala del consiglio si è mossa a un ritmo più veloce. A differenza di altre metriche sociali, questo numero di donne nel consiglio di amministrazione è generalmente divulgato da società quotate in borsa. 
Le aziende possono fare uno sforzo costante per assumere dipendenti che contribuiscono alla diversità, ma al fine di trattenere i talenti e con l’obiettivo di creare un’organizzazione inclusiva.
È molto probabile che le aziende e organizzazioni che non sono inclusive avranno risultati negativi. Le aziende più resilienti sono consapevoli del loro contributo sociale e affrontano le carenze, che fa anche parte del loro ruolo nel rafforzare le economie.

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